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  • Pubblicata il: 27/09/2018 08:28:18

Foggia, 27 settembre 1943: l'alba di un nuovo giorno

Il nuovo racconto di Salvatore Aiezza

IL 27 settembre rappresenta una data significativa: l’inizio di una nuova “storia” per la città di Foggia. É doveroso ricordarla, soprattutto per le nuove generazioni. A nove giorni dall’ultima incursione aerea del 18 settembre che procurò ancora vittime e feriti, e a 20 dall’armistizio annunciato da Badoglio (già firmato segretamente il 3 settembre a Cassibile) i tedeschi avevano ormai quasi completato l’abbandono della nostra città, ripiegando verso il Molise. Ciò non senza aver fatto prima saltare alcune importanti infrastrutture della città, tra le quali il sottovia di via Scillitani e il ponte di via Manfredonia e procurato ancora morti e tragedie in provincia, come gli 11 trucidati a Cerignola (eccidio di Valle Cannella del 25 settembre), e i 15 caduti, del giorno successivo, ad Ascoli Satriano. 

LE ROVINE. Le colonne dei soldati alleati dell’VIII armata britannica, provenienti da Via Bari, stando ai diari ufficiali dei reggimenti, fecero il loro ingresso in una città “fantasma” alle 8 del mattino. Erano mezzi e persone della 4th Armoured Brigade, reduci da uno scontro a fuoco coi tedeschi nel bosco dell’Incoronata che si ricongiungevano alla piccola compagnia ausiliaria del Maggiore Vladimir “Popski” Peniakof, già in città in avanscoperta, con il compito di perlustrare e prevenire azioni sabotatrici da parte dei tedeschi in ritirata. Inutile dire del panorama di desolazione nel quale si facevano strada i carri armati Sherman: macerie, odore di morte, corpi ancora numerosi sotto le macerie. “La città è un ammasso di rovine”, titolava il 30 settembre l’Evening Post. Non mancarono di certo scene di entusiasmo ed accoglienza da parte dei pochi rimasti in città, dopo il corposo sfollamento della popolazione nei paesi della provincia ed oltre. La storia che vogliamo raccontare, oggi, in occasione di questa ricorrenza, è però un’altra. E’, piuttosto, la storia di una difficile, ma accettata, convivenza tra popoli (quello foggiano, italiano in genere) e quello composto da soldati ed ufficiali appartenenti alle più diverse nazioni: inglesi, americani, canadesi, australiani, neozelandesi, ecc, intrecciati in un difficile rapporto quotidiano di non totale stima e fiducia. La convivenza tra foggiani e alleati non fu, infatti, delle più facili. 

GLI ALLEATI. La libertà e il potere dei liberatori si manifestò per prima cosa con l’occupazione di tutti gli alloggi disponibili e ancora abitabili della città. In quelli più signorili (come palazzo Barone Perrone) vi costituirono i Comandi generali, in cui soggiornarono anche generali del calibro di Carl Spaatz; i circoli ufficiali e i vari uffici dell’“American Red Cross” andarono ad interessare i più svariati locali. Ciò comportò una vera occupazione, con l’utilizzo di oggetti e servizi di foggiani ormai riparati altrove. La libertà, che portò all’abbattimento di molti edifici pericolanti ma non per questo non ripristinabili, fu causa ulteriore di non pochi dissidi con le autorià locali. Il rientro dei foggiani che pian piano ritornavano dai paesi ove erano sfollati dovette confrontarsi con il dolore della mancanza di tutti quegli affetti (famigliari ed amici) colpiti sotto le bombe e con la difficoltà di rientrare in possesso delle abitazioni. Anche se, grazie all’arrivo degli alleati, la città iniziò a risorgere, con la nascita di nuovi locali di ristoro ed esercizi commerciali, non mancarono episodi anche gravi, di risse e scontri tra popolazione locale e soldati alleati che, spesso, ubriachi, molestavano i nostri avi importunando, talvolta le ragazze del luogo. Dissapori e soprusi che, però, si accompagnarono a tante opere di ricostruzione, come il rifacimento di strade e servizi pubblici anche con l’ausilio di prigionieri tedeschi utilizzati in città per molte mansioni. Le brutture della guerra, le cicatrici aperte e la lotta alla sopravvivenza fu comunque velata dal desiderio e la necessità di rinascere di una popolazione provata sino all’estremo delle forze e della dignità. Fu grazie all’abnegazione ed allo spirito che sempre ha animato la popolazione dauna, ai progetti di risanamento italiani ed americani, che Foggia, pian piano, ebbe modo di scrollarsi le ceneri della guerra. Al recupero delle zone colpite si aggiunse presto la nascita di nuovi quartieri: nei decenni a venire sorsero così il Candelaro, il CEP, congiuntamente ad una nuova economia del territorio. 

LA MEMORIA. Oggi, dopo 75 anni dai fatti che, seppur brevemente, abbiamo voluto raccontare, sentiamo il dovere di non perdere questa memoria; di far si che il sottile filo che lega passato e futuro resti integro. Solo così i nostri concittadini, che visero gli infausti anni della guerra, non l’avranno fatto invano, coloro che, come scrisse Alberto Perrone nel 1967, curarono da soli, in operoso silenzio, le proprie ferite.
(Salvatore Aiezza)

di Redazione