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  • Pubblicata il: 06/03/2018 11:29:22

Se il poeta è (anche) un medium: Franco Arminio, “Cartoline dai morti”

“Le mani nel buio della bara, una da un lato e una dall’altro. Non si toccheranno mai più”. E: “Sono morto alle sette del mattino. Un modo come un altro per cominciare la giornata”. Gravità e leggerezza. Tra questi due estremi, Franco Arminio: fermoposta poetico di chi se ne va per sempre e per sempre ritorna sotto forma di breve, pungente, talora ironico messaggio ai vivi. Buffo, commovente, descrittivo. Sono le “Cartoline dai morti” di un poeta ormai famoso, premiatissimo, inventore di una sorta di disciplina altrettanto nota, la “paesologia”, apprezzata pubblicamente, al pari della sua opera in versi, dall’autore Roberto Saviano e dai tantissimi lettori e critici che lo seguono in Italia. Pubblicate nella prestigiosa collana Gransassi di Nottetempo, in una nuova edizione che aggiorna e amplia quella del 2007, le 150 cartoline saranno al centro della presentazione di questa sera, martedì 6 marzo (ore 19), nello spazio live della libreria Ubik di Foggia, alla presenza del loro autore.

MORTI DI PAESE. “Non mi fido neanche dei morti. Ogni tanto mi alzo a mezzo busto a controllare la situazione”: c’è la personalità, il carattere di chi non c’è più concentrato pochissime parole, appena 17 in questo caso, verso in forma di prosa, “brevitas” che si dilata affacciandosi su un Aldilà carico di sostanza terrena, di mondo. Di paese. Perché è evidente, al di là di ogni aulica “correspondance” con la più celebre Antologia di Edgar Lee Masters, la connotazione fortemente comunale, nel suo senso più nobile, di queste 150 cartoline: i messaggi dei morti che il medium Arminio ha trascritto raccontano una vita di paese e di un paese in declino, un paese decadente, sulla falsariga di quello stesso spopolamento che è diventato il dispositivo artistico del poeta di Bisaccia. Sono morti semplici semplici, dolorose e amene, anche quando parlano al lettore da Zurigo, dal Belgio, da Asti – “anche se ho sempre detto che vivevo a Torino” –, emigranti di ritorno per il giorno della festa, oppure colti durante il terremoto mentre facevano una partita a scopa, con l’altro giocatore che si è salvato.

“POTER FARE UNO SBADIGLIO”. Raccontano dall’Aldilà, spesso dalla terra, qualche volta dai posti che hanno frequentato, dai ricordi. E tutti, nel racconto delicato che ne fa l’autore, raccontano la vita. Anche quando non la vogliono più, quando è un “fastidio”, oppure quando si riassume in un trattore che si è capovolto durante il lavoro e quale unico rammarico resta il fatto di averlo appena “finito di pagare”. C’è chi muore perché quel mattino non aveva niente da fare, chi pensa che “non sarebbe male” se qualcuno potesse accorciargli i baffi sulla lapide e chi, persino, non è ancora morto – unica cartolina a mezz’aria, per così dire – ma comunque si è già comprato il loculo. Tutte, però, anche quando non lo fanno apertamente o quando non hanno le parole giuste per farlo, sembrano sottoscrivere un messaggio come questo: “Io non dico di resuscitare, sarebbe troppo, ma almeno una volta, solo una volta, poter fare uno sbadiglio”. Come dire la vita, la vita, la vita, anche quando è piccola così.

di Alessandro Galano