Stampa questa pagina

“Lì dove c’era l’orto ora c’è…”: il racconto di Antonio Di Donna sui piccoli campioni in (poca) erba

Nella zona della stazione di Foggia

Da quelle parti il vento soffia sempre più forte che altrove. Perché non trova ostacoli o barriere.
Per la verità ne stanno nascendo, giustamente, delle altre. Il parcheggio di un supermarket, prima. Ora, finalmente, un funzionale capolinea per autobus. 
Pare ci saranno pure negozi e bar nella struttura che tirano su. Vogliono riqualificare la zona e ordinare la viabilità. Giusto così, se può servire. 
E comunque la Golf s’è fermata là, obbedendo alla logica del serpentone dell’ora di punta. Piove forte, tutti pigliano la macchina e le code aumentano.
Prima - pensavo - da Via Manfredi non li vedevi i treni puntare e sferragliare verso nord, sotto il cavalcavia e ai piedi dei silos di via Manfredonia. Potevi sentirli, ma vederli no. Per il semplice motivo che, di fatto, via Manfredi non esisteva. Lì c’era l’Orto. Questa larga spianata divisa in due. Una parte in terra. Terra ed erbacce, pietriscolo e qualche rifiuto solido-urbano. L’altra in asfalto, con una porta disegnata su un muro. Un’area desolata che ricongiungeva l’attuale Amgas al parcheggio interno della stazione. L’Orto era dunque un’entità fisica, aveva una collocazione geografica. Ma era soprattutto un’astrazione. Un livello al quale aspirare. 
L’Orto era un luogo di culto, all’Orto non ci potevano mica andare tutti. Dovevi farne di gavetta per arrivarci, per giocare là, per trovare posto tra quelli che davano vita al meglio dell’agonismo di quartiere. In primavera, nei primi pomeriggi del sabato invernale e qualche volta di domenica. Se il Foggia era in trasferta, all’Orto c’era quello con la radio che doveva aggiornare. All’Orto, mi ricordo, apprendemmo nell’Aprile del ’94 che il Foggia avrebbe potuto centrare l’Europa. Stroppa e Roy espugnarono il Delle Alpi, bisognava battere il Napoli la domenica successiva e sperare. 
All’Orto, e solo all’Orto, giocava la “nazionale” del quartiere. 
Il palazzo che si affacciava sull’Orto ospitava, nei pianterreno, una succursale di una scuola media. Alcune classi avevano la fortuna di “dare” sull’Orto. E durante le lezioni, l’Orto era lì a guardare. Vuoto, si riposava aspettando che qualcuno ne ripigliasse possesso alla controra. 
Si decide spesso di fare pulizia, di rimuovere definitivamente qualche rimpianto che pizzica la memoria. Ho realizzato solo oggi che all’Orto io non ho mai giocato. Non avevo i numeri. Ho detto la mia su altri campi, sull’asfalto della Maddalena e nel piazzale del Mercato Generale, strappando sufficienze stentate e, troppo spesso, caviglie avversarie. 
L’Orto non c’è più, come il Delle Alpi gelato da Stroppa e Roy (inutilmente, il Napoli avrebbe vinto a Foggia). Ha fatto il suo tempo, ha lasciato spazio. Anche alla Golf che ora lo sta “violando”. Ma ancora se ne parla in quartiere. Chissà quanti millantano di averci giocato, spergiurano di averlo espugnato. E magari, non hanno mai neanche sentito il treno che andava. 
Antonio Di Donna

di Redazione 


 COMMENTI
  • lia masi

    27/11/2015 ore 11:15:35

    vivacissimo: mi piace.
  • Egidio Cavallone

    27/11/2015 ore 20:29:08

    Lettura interessante
  • Giuseppe

    28/11/2015 ore 14:43:30

    Ci ho giocato...per tanti anni. ginocchia e mani sbucciate, palloni distrutti, tute strappate.
  • Michele Dece

    28/11/2015 ore 15:40:19

    Io su quella terra ci lasciavo spesso le ginocchia...cicatrici indelebili tuttora...che bei ricordi...
  • Nicola Chiappinelli

    28/11/2015 ore 16:16:04

    Quanti ricordi mi hai riaffiorato...ho avuto la fortuna di giocare all'Orto e ai Mercati Generali...ginocchia sbucciate e .....sfide tra quartieri...che ricordi!
  •  reload