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Il percorso 'storico' di Foggia, tra stazione, Banca d'Italia e villa LA RUBRICA

Nuovo appuntamento con i testi di Aiezza

Nuovo appuntamento con la rubrica su storia e tradizioni foggiane, curata da Salvatore Agostino Aiezza.   Questa settimana si affronta un itierario 'storico', tra stazione, Banca d’Italia, Villa Comunale e Piazza Italia.

IL VIAGGIO. E’ fuor di dubbio che uno dei percorsi più intriso di storia, tradizioni e ricordi legati al passato più glorioso di Foggia, sia quello che parte dalla nostra stazione ferroviaria per poi dipanarsi per quel magnifico Viale XXIV Maggio, oggi abbandonato a se stesso e sul quale si affacciano Palazzi imponenti ( quello dell’acquedotto, il palazzo delle Poste) e istituzioni (la ex Banca d’Italia) che hanno segnato la nostra storia e l’unico Grand Hotel rimasto, il Cicolella, dopo la trasformazione in palazzo residenziale dell’ex Hotel Sarti, che pure vanto e lustro diede a Foggia, sino a raggiungere la Villa Comunale e fermarci, infine, alla gloriosa e, per tanti della mia età, insostituibile nella memoria, Piazza Italia ( quella degli anni 70/80!) con l’altrettanta gloriosa Caserma Miale da Troia. A ciascuno di questi veri e propri monumenti della nostra città, dedicherò questa “passeggiata” virtuale.
 Partiamo dal luogo che rappresentava, sino a qualche decennio fa, il biglietto da visita della nostra città per quanti vi giungevano da fuori, vuoi per motivi di lavoro che di turismo o, più semplicemente, per aspettare o prendere una coincidenza per il Gargano, il Subappennino o le altre Città italiane: La Stazione ferroviaria e il Piazzale Vittorio Veneto. Per dare un’idea ai tanti che sono ancora troppo giovani per ricordare certe cose, riporto alcune descrizione che ne facevano i libri e le cronache degli anni trascorsi (neanche tanti, in verità) quando la nostra stazione era davvero di importanza strategica e vitale per i collegamenti ferroviari ( del resto basta ricordarsi della sua distruzione durante i bombardamenti nell’estate del 43). Ben terza in Italia, dopo Bologna e Verona. “la stazione principale della città di Foggia, una delle più trafficate della rete ferroviaria è un importante snodo del Sud Italia”. E ancora: “Per volume di traffico merci e passeggeri a lunga percorrenza la stazione ferroviaria di Foggia si pone come punto strategico nei progetti delle Ferrovie Statali” e così via. In effetti il nodo foggiano rappresentava il punto di diramazione, dalle linee ferroviarie di importanza nazionale quali: Ancona / Lecce, Napoli/Roma. Potenza e per le direttrici a traffico locale e provinciale come: Manfredonia Lucera e, successivamente, anche per il Gargano attraverso le Ferrovie del Gargano.
 La stazione era dunque, a causa anche di questo movimento di persone, luogo dove si incontravano e si intrattenevano a parlare i foggiani. I più anziani e i pensionati si leggevano comodamente il giornale seduti sui muretti dei sottopassaggi o sulle panche. Un caffe’ all’accorsatissimo Bar tavola calda che per un certo periodo, nel dopoguerra, venne gestito anche dalla “Ditta del Dr. G. Sarti” e una passeggiata lungo i marciapiedi dei binari. Ma l’interno della stazione era anche un luogo di ritrovo di tanti ragazzini e giovani studenti che facevano “filone” a scuola perché dovevano magari essere interrogati o avevano un compito e non erano sufficientemente preparati; ma anche per motivi direi molto meno scolastici tra i quali il più gettonato era di far festa perché era una bella giornata e si preferiva uscire con la ragazzina. L’uscita finiva puntualmente nella Stazione dove era facile nascondersi agli occhi dei genitori o eventuali fratelli e parenti. Si passeggiava lungo il primo binario sino al lato nord dove il marciapiede era più lungo e, mancando ad un certo punto la copertura, il sole ci accompagnava nelle belle giornate.
 Nella stazione purtroppo allora, come ancora oggi, si riunivano anche alcuni ragazzini che erano un pò il terrore ( una parola esagerata oggi se paragonata a quel che effettivamente succedeva) degli adolescenti dell’epoca. Erano una specie di antesignani degli odierni “Bulletti” ma molto meno pericolosi. Si trattava di ragazzetti che avevano da tempo abbandonato le scuole, molto spesso appartenenti a famiglie disagiate e che trascorrevano il loro tempo girando per i luoghi, tra i quali la stazione, dove si intrattenevano i loro coetanei più fortunati. In genere questi bulletti antesignani, che venivano chiamati in dialetto “Zannir” non andavano al di là di qualche sfottò, magari pesante, al massimo si avvicinavano e ti chiedevano di dar loro la merenda che si portava in cartella o il cornetto appena comperato. Certo è che incutevano paura e tutti cercavano di starne alla larga. Una delle cose che ancora oggi si ricorda con particolare simpatia parlando della stazione è legata ad una persona che nessuno di noi, credo, ha mai visto dal vero! Al punto da domandarsi se mai sia esistita o se era una registrazione. Parlo della “voce” fuori campo che annunciava gli arrivi dei treni, i ritardi e le comunicazioni di servizio. Aveva, molti lo ricorderanno, una strana cadenza dialettale, anche nel suo stentato italiano. Iniziava parlando con un tono di voce che via via cresceva sino a terminare con voce acuta e, quasi allarmistica. Quante volte lo sentivamo dire, in quel suo strano parlare, la celebre frase: “Un manovratore al binario 10! Ripeto: Un manovratore al binario 10!” dove arrivavano i treni merci. Oppure l’altrettanto famoso annuncio: “Attenzione, si avvisano i signori viaggiatori che il treno per Roma arriverà e partirà dal binario unoanzichètrè” Non è uno sbaglio. Diceva proprio così, l’ultima parte della frase, tutta d’un fiato. Insomma era anche lui, a suo modo, un personaggio che ci è rimasto nella memoria. Dalla Stazione si era soliti passeggiare poi lungo il Viale XXIV Maggio: serenamente, senza questuanti, elemosinanti, extracomunitari molto spesso ubriachi e altri pericoli del genere che si incontrano oggi, e vi passeggiavano tutti: Grandi e piccini. Le famiglie, in particolare il sabato e la domenica o i giorni di festa, riempivano il Viale, meta obbligata di un percorso ( si chiamava vasca, come la piscina, ) che coinvolgeva: il viale della Stazione, via Lanza, P.zza Giordano, C.so Vittorio Emanuele. Il Viale era illuminato, con le luci scintillanti dei negozi che occupavano tutti e due i lati dell’ampia strada.
 A Natale, poi, l’illuminazione e l’atmosfera festiva che sapevano creare i commercianti e la civica amministrazione rendeva ancora più piacevole passeggiare lungo il viale alberato che dalla stazione conduce alla P.zza Cavour. Frotte di giovani frequentavano invece il Cinema Ariston, sotto i portici del Piazzale della ferrovia; uno dei cinema più accorsati del tempo e che oggi, insieme al Flagella ( già da molti anni prima) e al Capitol, hanno chiuso i battenti. Specie il sabato e la Domenica, l’Ariston era un pullulare di comitive che attendevano fuori la fine dello spettacolo precedente per poter entrare. Un movimento che contribuiva a dare vita lì dove oggi tutto sembra finito. Il cine teatro Ariston è da molti ricordato, specie dai figli degli impiegati statali di allora, perché tutti gli anni il 6 gennaio, dopo la proiezione di un film per ragazzi si consegnavano i “sacchi” della befana. In quei sacchi non c’erano semplici giochini.
 Oltre ai regali per i bambini, c’erano veri e propri regali di una certa consistenza come: piumoni, completi per il letto e così via. Insomma una vera e propria Befana. Lungo il Viale, quasi alla fine, si incontrava la Banca d’Italia, quando venne lì trasferita dalla vecchia sede di C.so Garibaldi destinata poi ad ospitare il comando dei vv.uu. Intorno a questa Istituzione decennale, anch’essa finita nel nulla come tutte le altre cose belle di Foggia, ruotava, in tantissime famiglie foggiane ( tutte quelle che avevano uno stipendio da riscuotere a fine mese), un vero e proprio rito. Tutto aveva inizio il fatidico giorno 27! Allora a giusta ragione battezzato “San Paganino”. Il giorno dello stipendio del quale, peraltro, le donne, vere dominus della famiglia, avevano già deciso come spenderne una parte e conservarne ( allora si poteva) un’altra. Di buon mattino la sveglia. Si doveva far presto perché altrimenti la fila agli sportelli diventava lunga. Ma già alle 7.30 c’erano persone ad attendere fuori dai cancelli della Banca che avrebbe aperto solo alle 8.15. E li, fuori, al freddo pungente l’inverno o al vento e alla pioggia, si passava il tempo con gli altri colleghi stringendosi nei cappotti e sfregandosi le mani per farsi un po’ di calore. Quando l’usciere appariva sulla porta e apriva il cancello non sempre si rispettava la fila. Il più delle volte si correva dentro, verso gli sportelli, sfiorando i Carabinieri di servizio con il loro bel mitra a tracolla. Anche la fila, che pian piano si ingrossava con l’arrivo degli impiegati che avevano chiesto il permesso per andare a prendere lo stipendio, diventava luogo per intensificare i rapporti sociale e le pubbliche relazioni. Si parlava di tutto e ci si lamentava, anche, di come buona parte dei soldi che si riscuotevano, subito dopo si sarebbero spesi all’Ufficio Postale proprio di fronte alla Banca! Questa cosa rattristava non poco. Anche gli impiegati di Banca erano volti oramai famigliari e conosciuti. Nei loro impettiti abiti si davano un contegno da veri e propri “modelli di funzionari bancari” ma in realtà erano spesso propensi a scambiare due parole con i loro clienti. Lo stipendio naturalmente si riscuoteva in contanti e si poteva anche decidere quali tagli di banconote avere: Dieci da cento (mila lire). Cinque da cinquanta, e così via. Alla fine si contavano per l’ennesima volta, si riponevano in tasca, gli uomini, mentre le donne li conservavano nei posti più strani e finanche nel petto. Inutile dire delle tragedie quando si cominciò a rendere obbligatorio, in taluni enti, l’accredito dello stipendio. Le donne soprattutto avevano due ordini di motivi per i quali erano in crisi per questa novità. Il primo era che non avevano né l’abitudine, né la voglia di imparare ad usare quelle che allora erano viste come vere e proprie “diavolerie. Conti correnti, assegni, bancomat.. Cose dell’altro mondo. Il secondo motivo, in realtà molto più concreto e materialista era che avevano paura che il loro stipendio confluisse in quello dei mariti o che questi ultimi potessero usare anche i loro soldi.
 Ancora oggi che l’accredito è obbligatorio, se ci fate caso, molte donne preferiscono il Banco Posta per tenere separati i conti famigliari. Da qualche anno anche la Banca d’Italia ha dovuto arrendersi. Chiusa al pubblico e ridotta ai soli servizi di tesoreria interni. E’ stato l’ennesimo “Scippo”. Uno dei tanti perpetrati ai danni della nostra città… Al termine di Viale XXIV Maggio fa bella vista di sè la fontana del Sele, La più antica tra le fontane di Foggia, inaugurata il 21 marzo 1924 alla presenza del Sacro Tavolo della Madonna dei Sette Veli. Fu costruita su progetto dell'ing. Cesare Brunetti, in cemento armato, rappresenta una stella marina a cinque punte. Nella vasca della fontana, in passato, truppe di giovani, in occasione di importanti eventi sportivi che riguardavano la nostra squadra di calcio o dei trionfi della nazionale, erano soliti bagnarsi tra le sue zampillanti e fresche acque. Ancora oggi, come tanti anni fa, non c’è matrimonio che si rispetti se non ha la sua foto degli sposi sullo sfondo della fontana. E arriviamo così, cammin facendo alla Villa Comunale: immortalata nelle cartoline illustrate della città, in quelle postali e immancabile, come la fontana, in ogni album fotografico degli sposi foggiani. La nostra Villa, una dei giardini pubblici più imponenti in Italia, (secondo Wikipedia essa  rappresenterebbe, per dimensioni, il secondo giardino pubblico dell'Italia centro-meridionale). Progettata nel 1820 dall'ingegnere Luigi Oberty il suo 'ingresso principale è costituito dall'imponente pronao, composto da 28 colonne di ordine tuscanico disposte in doppia fila. Tutti conosciamo le tragiche conseguenze che ebbero sulla villa i bombardamenti e della sua successiva ricostruzione con l’immancabile “scippo” o “furto” delle statue dei re borbonici dalle nicchie poste sul pronao e oggi.. Vuote! Ma la Villa, dopo la guerra e nonostante tutto, come solo noi foggiani sappiamo fare, temprati da catastrofi, umane e naturali, che nel corso dei secoli si sono abbattute sulla Città, negli anni settanta rinacque ed ebbe forse il periodo di maggior splendore. Quanti bambini hanno vissuto le loro domeniche e i giorni della festa passeggiando tra i suoi giardini con i genitori ( lo leggeremo nella prossima puntata della rubrica); quanti giovani si sono promessi “amore eterno” tra quei viali, un tempo alberati e ombrosi. Quante mamme si sono sedute su quelle panchine a guardare i loro figli correre spensierati o giocare, all’interno del parco giochi. E le giostrine di una volta? I cavallucci? Le macchinine a pedali? Quanti le ricordano tra noi? …
 Lasciamo la Villa Comunale con i suoi ricordi e passeggiando lungo il viale che costeggia l’ex Tribunale, ora sede dell’Università di Foggia, giungiamo a Piazza Italia. Già denominata Piazza XXVIII Ottobre e inaugurata niente meno che dal Re Vittorio Emanuele III, in persona, il 4 novembre 1928, custodisce, al suo centro, il monumento ai Caduti, opera dello scultore Amedeo Cataldi. La Piazza ospitava anche il Parco della Rimembranza. Così denominato perche vi erano 308 pini austriaci che riportavano, ciascuno, la targa con il nominativo di un soldato foggiano morto nella Grande Guerra del 15/18. Dopo varie vicissitudini, la Piazza, come vedremo fulcro della vita cittadina dei giovani e meno giovani foggiani negli anni 70/80, è stata “rifatta” nel 1997 dall’allora Amministrazione Agostinacchio. Nel rifacimento sono state anche eliminate, purtroppo, le due Antenne della Vittoria alte ciascuna ben 36 metri. A far da sfondo ai giardini l’altrettanto storica Caserma Miale, che con la Piazza Italia, costituisce un “unicum” indivisibile e, insieme ad essa, conserva ricordi e tradizioni di tanti foggiani. Già sede del Corpo delle Guardie della Polizia di Stato e, dopo , divenuta scuola allievi agenti,anche questo importante monumento è stato dismesso e la scuola portata altrove. Dopo alterne vicende intorno alla sua futura destinazione (sede universitaria, banca, centro commerciale ecc) oggi e solo un “vuoto” desolante.
(a cura di Salvatore Agostino Aiezza)

di Redazione 


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