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Giordano in Jazz: Suzanne Vega e Stanley Clarke

Due concerti in rassegna, due artisti importanti

La Summer Edition 2018 del Giordano in Jazz dice solo due date quest’anno, ma entrambe sono di alto livello, come ormai da alcuni a questa parte grazie all’iniziativa dell’Assessorato alla cultura del Comune di Foggia e alla collaborazione con il Moody jazz cafè. In Piazza C. Battisti (chiusa, per l’occasione, ai soli possessori del biglietto), due artisti diversi tra loro, ma entrambi da non perdere: Suzanne Vega e Stanley Clarke. Complessivamente, in città arriveranno ben sei Grammy Awards nell’arco di una settimana (biglietti su www.bookingshow.com).

LA COPPIA VEGA-LEONARD. Si parte il 13 luglio con una vera e propria icona della musica internazionale, antidiva per scelta, vera regina del cantautorato: Suzanne Vega. Compositrice, cantante, chitarrista, ha dettato i tempi del folk e del pop di qualità negli anni ’80 – opponendosi a una certa, ingombrante deriva kitsch di quel decennio – proseguendo sulla stessa scia anche negli altri due decenni, spianando la via a tante nuove voci femminili che molto, moltissimo hanno tratto dal suo modo di cantare e comporre. Davanti al Teatro Giordano, pertanto, l’artista di Santa Monica – 58 anni portati divinamente – avrà al suo fianco il chitarrista dublinese Gerry Leonard, noto per le sue collaborazioni con David Bowie, con il quale ha inciso i suoi ultimi tre album. La coppia Vega-Leonard, pertanto, ripercorrerà i migliori successi della cantante americana, peraltro riproponendosi a distanza di un anno dal successo di pubblico della Notte della Taranta di Melpignano, il concertone finale che segna la fine dell’estate salentina.

CHI NON HA CANTICCHIATO TOM’S DINER?. Anche chi non ha seguito da vicino la carriera di Suzanne Vega avrà sicuramente canticchiato, almeno una volta nella vita, uno dei motivetti più celebri a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, quel “Tom’s Diner” che ha portato le sue tonalità così personali praticamente in ogni angolo del globo. Nello stesso album datato ’87, “Solitude Standing” (splendido l’omonimo singolo), è presente un altro capolavoro dell’artista, la ballata folk “Luka”. Ma è con “Days of Open Hand”, nel 1990, disco più maturo, sperimentale e profondo, che l’artista si aggiudica un Grammy nella categoria Best Package. Più dance l’album “99.9F”° di un paio di anni dopo, diverso da “Nine Objects of Desire”, datato ’96, semplice ed essenziale. Dopo alcuni lavori non proprio memorabili e altri di raccolta, nel 2006 vince un Grammy con “Beauty&Crime”, come “best engineered album, non classical”. Dopo un silenzio durato sette anni, nel 2014 esce “Tales from the Realm of the Queen of Pentacles”, stupenda collezione di canzoni ispirata al mondo materiale e spirituale. Due anni dopo è la volta di “Lover, Beloved: Songs form an Evening with Carson McCullers”, un omaggio alla scrittrice americana Carson McCullers.

“IL MESSAGGIO” DEL GIOVANOTTO STANLEY. Cambio di scena e di registro il 20 luglio, ma stessa location e stessa modalità di accesso anche per la Stanley Clarke Band. Nato a Philadelphia, bassista elettrico di fama mondiale, Stanley Clarke si presenta in città con il suo trio jazz-fusion, forte di “The Message”, LP fresco d’uscita: quella foggiana è una delle tre tappe del tour estivo italiano, quella d’apertura – la band sarà in Toscana e, ultima uscita, al Fano Jazz. In Piazza Battisti, Stanley Clarke riprenderà senz’altro alcuni dei suoi brani più celebri, profondendosi poi nel suo recentissimo lavoro discografico nel quale, pizzicando anche in acustico, ha approfondito il dialogo sonoro con accenni rap e fiati, contaminando vivacemente le sue consuete sonorità funk-jazz-fusion.

PROTAGONISTA NEGLI ANNI ’70. Interprete indiscusso del basso, strumento protagonista della scena fusion e free-jazz degli anni ’70, Clarke è un giovanotto di 67 anni che continua a seminare ansia di prestazione tra le nuove generazioni di jazzman, soprattutto quando ha tra le mani il suo strumento. Dopo una breve infanzia da violinista – strumento subito rinnegato a causa delle sue dita troppo grosse, “già” da contrabbassista – l’artista si è imposto sulla scena americana sin dall’età di sedici anni, prendendo poi parte all’avventura sperimentale cominciata sul finire degli anni ’60 e collezionando dischi con altri avanguardisti di prima qualità, Chick Corea, Al Di Meola e John McLauglin su tutti. Vincitore di ben quattro Grammy, con l’album “School Days” del 1976 ha praticamente inciso sul marmo della storia della musica le sue iniziali, scavando un solco importante per quanto riguarda qualsiasi sonorità jazz-funk e rock-fusion: non c’è bassista elettrico che, da allora, non si sia confrontato con questo importantissimo lavoro di ricerca e sperimentazione sonora.

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di Alessandro Galano


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