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Ricordare non basta, bisogna raccontare: “Non a caso”, il libro che narra le storie delle vittime pugliesi della mafia

A curarlo, Daniela Marcone, intervistata per l’occasione

“Tanto io lo sfondo lo stesso quel monte”. Sono le ultime parole dell’ingegner Boscia, la sera del 2 marzo del 1988. A rivelarle è il suo assassino, anni dopo, durante una sorta di confessione a mezzo stampa. Gliele spara in faccia, si direbbe, quelle parole, “l’ingegnerino” di Gioia del Colle, sibilandole poco prima dell’ultimo colpo di pistola. Il monte è il Grifone di Palermo, la “grande opera” dell’acquedotto siciliano, da perforare per portare acqua al capoluogo. La mafia vuole metterci le mani ma il direttore dei lavori non si piega: il 14 marzo 1988 l’opera deve essere consegnata. Dodici giorni prima però, l’omicidio.

FICTION E VERITA’: “UN’OPERAZIONE NECESSARIA”. È tutto vero, anzi no. Perché la prima parte è falsa o, per meglio dire, è letteratura. Finzione, racconto. La seconda, invece, è vera. Cronaca, sangue. Ed è proprio in questo compromesso stilistico che si gioca tutta la raccolta di brani che compone “Non a caso” (edizioni la meridiana, luglio 2017), il libro che racconta le vittime pugliesi della mafia attraverso la penna di alcuni scrittori italiani, alcuni dei quali – felice intuizione – non pugliesi. A curarla, la foggiana Daniela Marcone, vicepresidente nazionale dell’associazione Libera e da anni impegnata al fianco delle vittime di tutte le mafie (figlia di Franco Marcone, direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia ucciso il 31 marzo del 1995), intervistata in occasione di questa interessante operazione editoriale che mette insieme fiction e verità con inedita efficacia. Oltre a Piergiorgio Pulixi, l’autore del brano incentrato sulla vicenda di Donato Boscia, la raccolta accoglie i contributi di altri importanti nomi della scena italiana: dal Premio Strega Nicola Lagioia al giallista “puro” Romano De Marco, passando per Gabriella Genisi, Marco Vichi e altre penne apprezzate dai lettori di noir e non solo. “Un’operazione unica e necessaria – secondo le parole della direttrice editoriale Elvira Zaccagnino – perché raccontare le vite delle vittime mentre si costruisce una memoria delle mafie può essere la strada più breve per depotenziare il potere della criminalità nel territorio pugliese: una duplice narrazione che può aiutarci a liberare la nostra terra dal potere malato e insano generato dalla criminalità”.

L'INTERVISTA. Parole che ben si accordano a quelle di Don Luigi Ciotti, il quale nella prefazione all’opera lo dice con chiarezza: “Ricordare non basta”.
E riprendendo proprio le parole del presidente di Libera, abbiamo domandato alla curatrice del libro, Daniela Marcone, se la letteratura può assolvere ad un compito così grande: trasformare la semplice memoria, in “memoria viva”.
La letteratura può contribuire a dare vitalità alla memoria, attingendo sia alla creatività dell’autore che alla potenza che la narrazione può imprimere ad un fatto realmente accaduto. Negli ultimi anni si è sviluppata un’attenzione elevata alle varie forme di narrazione ed alle potenzialità ad esse legate, proprio perché ci si è resi conto che il raccontare è una delle capacità più antiche dell’uomo e va salvaguardata ed implementata, soprattutto in presenza di una memoria fatta di ricordi che rischiano di scomparire per sempre. Indubbiamente, la memoria è legata fortemente alla testimonianza di coloro che hanno vissuto direttamente le vicende raccontate: possiamo però ritenere che la letteratura può supportare, con risultati importanti, il racconto dei testimoni diretti e laddove tali testimoni non ci sono, può costituire una base per la costruzione della memoria.
Ci sono autori che non sono pugliesi in questa antologia, alcuni nati in territori e in contesti ben differenti rispetto a quelli raccontati. Come mai la scelta di affidare queste storie a “soggetti estranei”?
Una delle caratteristiche del progetto editoriale è proprio il confronto con persone diverse, perfino estranee alla tematica, al fine di realizzare una narrazione che seguisse percorsi non ancora battuti. Indubbiamente non è stato facile pensare a come “abbinare” i vari autori con le vittime da raccontare, ma in qualche modo sono arrivata alla meta e ho compreso di aver colto nel segno quando alcuni autori, nell’inviarmi il contribuito realizzato, mi hanno scritto la loro emozione nell’aver conosciuto quella storia in particolare e nell’aver avuto un’occasione in più per addentrarsi in riflessioni complesse ma importanti.
Com’è stata fatta la scelta tra le varie vicende legate alle vittime di mafia pugliesi?
Non è stata semplice, eppure sono stata obbligata a farla. Ho scelto le vittime legate ai familiari pugliesi che, negli anni della nascita in Puglia del percorso di Libera, si sono incontrati e confrontati e con i quali abbiamo realizzato una sorta di rete. C’è però da dire che le altre vittime non sono state lasciate “sole”, infatti nelle ultime pagine del libro è presente un elenco “parlante”, ossia per ogni vittima pugliese c’è un piccolissimo racconto che permette al lettore di percepire le vite dietro i nomi.
Il libro racconta il foggiano Giovanni Panunzio ma anche l’ultimo giorno di Francesco Marcone…
Quando ho letto per la prima volta il contributo di Giovanni dello Iacovo ho avvertito una sensazione strana, proprio perché l’autore ha scelto di raccontare mio padre in prima persona, nelle sue ultime ore di vita. Negli anni ho provato molte volte ad immaginare quel maledetto ultimo giorno, a ripercorrere i passi di papà, da casa alla sede del suo ufficio e viceversa. Avrei voluto parlare con chi gli ha rivolto la parola per l’ultima volta, forse in ufficio oppure nel negozio di generi alimentari in cui si è fermato prima di arrivare a casa. Soprattutto, ho pensato tante volte agli ultimi istanti, quando ha capito che stava per morire, temendo che avesse avuto paura. Oggi penso, con tutte le cautele del caso e senza voler generalizzare a tutti i costi, che affidare a qualcuno che non ha vissuto in prima persona il racconto degli eventi che ci hanno fatto tanto soffrire è quasi terapeutico, aiuta ad uscire da noi stessi, dalla pena profonda in cui ci siamo rintanati per tanto tempo.
È possibile realizzare un lavoro analogo anche per tutte le vittime nazionali della mafia?
Penso che sarebbe un progetto molto impegnativo ma non impossibile da realizzare. “Non a caso” è un pezzo del puzzle che attraverso la storia delle vittime contribuisce a chiarire la storia del nostro territorio: spero che cammini e segni una traccia, custodendo una memoria che rischia di cadere nell’oblio.

di Alessandro Galano


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