Stampa questa pagina

Le feste di ieri e di oggi: quanti ricordi... CRONACHE DAL PASSATO

Il nuovo appuntamento con Salvatore Aiezza

Corinaldo. Piccolo comune, a pochi km da Ancona; nemmeno 5000 abitanti. Una discoteca, forse unico luogo dove i ragazzi del posto e quelli dei comuni vicini possono trascorrere ore piacevoli e spensierate. Una serata, un concerto: la notte della festa dell’Immacolata. Ragazzi: tanti, forse troppi, in ogni caso, forse, troppo piccoli per avere già questa “libertà” e posibilità di partecipare ad eventi del genere. Poi la tragedia. Anche questa, ingiusta, in ogni caso. Ci saranno gli organi competenti che accerteranno il perché, come e chi è il responsabile, se responsabile ci sarà. Intanto sei giovanissimi figli di tutti noi non ci sono più: morti assurdamente in una tragedia ancora più assurda. E proprio prendendo spunto da questo tragico episodio, e da come si divertono oggi i nostri giovani, voglio riproporre, in questa rubrica e raccontare a tutti voi come ci divertivamo invece noi, quando eravamo ragazzi. Parliamo degli anni dal 60 all’80, quando non esistevano le discoteche, o almeno non intese come quelle di oggi, al massimo qualche club privato dove ci riunivamo a ballare. Ovviamente noterete come la differenza rispetto al “divertimento” di oggi è abissale. Buona lettura e... buoni ricordi a tutti. 

GLI EVENTI. Compleanni, onomastici, diciotto anni, i sabato e le altre feste di noi ragazzi ragazzi degli anni dal 60 all’80. Ve li ricordate? Sale da ricevimenti, discoteche, ristoranti, pizzerie.. Chi le ha mai viste! E non perchè mancasse la disponibilità, certo e volte anche quella, ma perché era proprio il modo di vivere, legato alla società che ci accompagnava in quegli anni, ad imporre un modo di comportarsi diverso. Anche noi facevamo festa quando c’era qualche ricorrenza, anzi, spesso organizzavamo serate, il sabato o la domenica, magari “a giro” tra le varie case: e se volete sapere come ci divertivamo non vi resta che leggere queste pagine. Per farci una prima idea di quello che era il clima allora, sappiate che: Non si usciva tutte le sere; non esisteva la “movida” intesa come oggi, la nostra “movida” erano i giardinetti di Piazzale Italia che tutti i foggiani dai 50 anni in su rimpiangono ancora oggi. Gli orari nei quali si usciva erano il contrario di quelli di oggi: Dal primo pomeriggio, all’inizio del telegiornale, normalmente. Quando c’era qualche festa o in casi particolari, si poteva arrivare alle dieci. Oltre erano drammi! Le nostre uscite poi, come abbiamo visto, erano i giardinetti, ma lì già eravamo più grandicelli, altrimenti era il quartiere dove vivevamo. 

IL GRUPPO. Nel quartiere ci conoscevamo un po’ tutti. Lì nascevano e finivano amicizie, “cotte” e amori veri e propri. A volte la fine era naturale, nel senso che due si lasciavano per motivi “personali”. Altre volte la fine di una relazione era “procurata”. Non vi sembri strano. In ogni quartiere c’era un individuo, una specie di spia doppiogiochista, che si infiltrava tra le comitive e quando non arrivava a raggiungere il suo scopo - magari quello di fidanzarsi con la ragazza che gli piaceva, ma dalla quale non era ricambiato,o solo per fare un dispetto -, cominciava a seminare zizzania. A volte arrivava a mettere in giro strane voci (eravamo sempre comunque nel campo di voci lecite), addirittura a far girare dei bigliettini, con firme false, nei quali si addebitavano questa o quella “diceria” al malcapitato. In alcuni casi, la “semina” della zizzania colpiva e le relazioni si interrompevano; altre volte si scopriva la spia e, oltre a una sonora dose di parolacce, lo si isolava immediatamente dal gruppo. Anche io avevo la mia “ragazzina” della quale ero invaghito e, come molto di sovente capitava allora, dicevo che era la mia fidanzata ancor prima che lo diventasse ( se mai lo fosse diventata) e senza che l’interessata lo sapesse. In effetti tutto lasciava pensare che così fosse, mancava solo l’ufficialità che non di rado era causata da una sorta di timidezza che ci colpiva quando dovevamo “dichiararci” alla nostra amata. 

GLI AMORI. Le relazioni sentimentali (presunte o effettive) erano comunque tutte uguali. Si svolgevano nel seguente modo. Prima cosa sin dalla scuola media (perché le “cotte” ce le prendevamo presto) cercavamo di capitare nella stessa classe e, comunque, nella stessa scuola della nostra amata. Alle superiori la cosa era più difficile e cominciavano i problemi. Che c’entra la scuola, vi domanderete? C’entra, c’entra. Alzi la mano chi tra noi non è mai andato a prendere la “ragazza” a scuola e, per giunta, non le abbia portato la cartella. Non dite bugie, non ci credo! Lo abbiamo fatto tutti! E anche la mattina quando andavamo a scuola facevamo la stessa cosa (se facevamo la stessa strada). Superavamo anche i problemi logistici: quando uscivamo prima dovevamo correre per arrivare in tempo a prenderla; se poi non andavamo a scuola o anticipavamo l’uscita, era una festa perché facevamo in tempo a correre a casa per lasciare la nostra cartella. E le delusioni? Quando, arrivati qualche minuto più tardi, scoprivamo che la nostra “anelata” si era già avviata con qualche altro compagno? La gelosia ci pervadeva e il cuore cominciava a battere a mille. Subito ci mettevamo alla loro ricerca. Lo stesso sentimento ci colpiva quando la vedevamo parlare con qualcuno che, noi, sospettavamo essere un nostro potenziale concorrente. Hoplà! E ci presentavamo anche noi. In questo clima di amicizie ed equilibri amorosi, si svolgevano le nostre feste. Anch’esse erano legate alla scuola e al profitto. 

LE FESTE. Infatti per chissà quale sorta avversa i nostri compleanni e onomastici cadevano sempre subito dopo il giorno dei fatidici colloqui con i professori. Erano i giorni più angoscianti dell’anno. Anche chi andava bene temeva che qualche professore potesse fare un “blitz” e dire qualcosa che non ci aspettavamo. Chi andava male, ovviamente si scordava la festa. La nostra discoteca era la camera da pranzo di casa (quando i genitori ce la concedevano); più spesso la cameretta opportunamente attrezzata, a volte per chi ce l’aveva, poteva essere la camera in più che c’era nell’appartamento. Si mettevano le sedie in numero congruo intorno al perimetro della stanza; l’attrezzatura per la musica su un tavolino e il rinfresco ( bibite, pizza, panini farciti in cassa e biscotti vari) su un altro tavolo e si iniziava. Naturalmente tutto ciò che sto per raccontare avveniva sotto la direzione e con la diretta partecipazione dei genitori del festeggiato che la sera della festa, per non far vedere che erano troppo invadenti, si chiudevano in cucina a vedere la tv e a cenare. Ogni tanto “piombavano” nel mezzo della festa con la frase: “Avete bisogno di qualcosa?”. Dopo aver avuto la concessione a festeggiare, la solenne promessa che tutti gli invitati si sarebbero comportati bene, anche perché i genitori li conoscevano tutti e la certezza sul numero di invitati ridotta al minimo indispensabile, il festeggiato provvedeva a diramare gli inviti. “Sabato faccio una festa a casa, è il mio compleanno”. Così si esordiva e cominciavano i problemi: Chi porta gli ultimi dischi? Di vinile. Niente a che vedere con i cd di oggi. E le cassette? Funziona il mangianastri e il giradischi o il “mangiadischi!” tipo tostapane? E, quando si diffusero i primi stereo a mobile ( quelli con l’antina di vetro a più ripiani, con la radio, il piatto, l’amplificatore e il mangianastri doppio) c’era sempre il solito invitato cui veniva affidato il compito di portare il piatto, le casse e l’amplificatore; non basta: doveva anche fare il Disc jockey ma era un ruolo ambito perché piaceva alle ragazze. Poi si passava a studiare le tattiche per “acciaffare” durante la festa, che puntualmente finivano nel nulla. Siccome le ragazze erano sempre, costantemente, immancabilmente in numero (molto) inferiori ai ragazzi, in una proporzione che potremmo dire di 1 ogni 3-4 maschi, ci si doveva industriare su come fare colpo più degli altri. Si decideva, quasi sempre, che il momento opportuno sarebbe stato quello dei balli lenti ( la maggior parte perché eravamo furbi!) e lì sarebbe scattata la famosa domanda: “Vuoi ballare?”. Fatto sta che o perché ci precedevano mentre stavamo cambiando il disco; o perché ce ne stavamo lì impalati nell’attesa che ci venisse il coraggio di invitarla a ballare, il disco finiva e noi rimandavamo alla… prossima canzone! Un altro modo per tentare di fare movimento con qualche ragazza era quello di andare fuori al terrazzino ( quando c’era) se era in primavera o estate e aspettare, pazienti, che la tizia che ci piaceva ci raggiungesse e allora, dichiararle il nostro perduto amore. Inutile dire che il più delle volte ci facevamo solo sangue amaro perché lei rideva e scherzava dentro la stanza con gli altri, infischiandosene di noi che eravamo lì fuori ad aspettare. In orario che oggi farebbe ridere a tutti, massimo le dieci, si presentavano i genitori o fratelli maggiori a riprendersi i nostri invitati e la festa aveva fine. 

DA MAGGIORENNI. Quando, dopo i diciotto anni prendevamo la patente e, raramente, i nostri genitori ci davano l’auto, c’erano sempre le solite mamme che si fidavano solo di noi (eravamo i prescelti, che volete!) per riaccompagnare le figlie a casa. Fiducia, ovviamente ricambiata! Queste le nostre feste. Non era molto, ma ci divertivamo un mondo. Se non altro, rispetto alle odierne discoteche, c’era la possibilità di parlare, coltivare amicizie e perché no, magari al dolcissimo suono del disco dei Pooh, “pensiero” poteva nascere un amore che durava per sempre.
(Salvatore Agostino Aiezza)

Contenuto sponsorizzato

di Redazione 


 COMMENTI
  •  reload