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La villa comunale di Foggia? Poteva diventare una mega galleria...

L'articolo di Salvatore Agostino Aiezza

Uno dei luoghi simbolo di Foggia è senza dubbio la villa comunale, con il suo architettonico pronao, costruita su progetto di Oberty nel 1820. Vero e proprio “polmone verde” della città, seppure trascurata in questi ultimi decenni, ha rappresentato per le nostre generazioni un punto di riferimento: per i bambini, che vi passeggiavano la domenica e i giorni di festa con le loro famiglie, magari noleggiando uno di quei cavallini e automobiline a pedali e per tanti “giovanotti” che amavano passeggiare lungo i freschi viali con la fidanzatina e magari al riparo da occhi indiscreti. Anche per gli anziani la villa comunale era ed è il luogo preferito dove incontrarsi, trattenersi, leggere il giornale o chiacchierare con i loro coetanei su una delle tante panche. E non dimentichiamo come, nelle calde e afose giornate estive foggiane, i giardini pubblici ancora oggi costituiscono riparo sicuro dove godere di un po’ di frescura.

UN RICORDO. Ebbene, cari concittadini, sappiate che, causa l’atavica propensione per i nostri amministratori a mettere al primo posto dei loro pensieri la speculazione edilizia e abbattere tutto ciò che, a prescindere dalla importanza storica, può essere abbattuto, per costruire nuovi e, a volte, obbrobriosi palazzi, tutto quello che avete appena letto, poteva essere solo un lontano ricordo. Come!, direte. Si, perché, molti dei foggiani nati dopo la guerra (la seconda, per precisione), non immaginano quando si sia andati vicino al rischio di ritrovarsi, al posto della villa che oggi vediamo, una larga e lunga strada con albergo, palazzi e… ciliegina sulla torta, una mega galleria. Si, avete letto bene: una vera e propria galleria che, nella mente di quanti la sognavano, doveva fare concorrenza nientemeno che a quella di Napoli, Roma e Milano. Tutto vero, documentato. Scritto nero su bianco nei verbali dei consigli comunali e riportato nelle cronache dei giornali che si interessarono alla questione tra il 1947 e il 1950: vale a dire da quando vennero stanziati i fondi per la ricostruzione della villa, in particolare del pronao completamente distrutto dai bombardamenti, al 1950, data della sua ricostruzione, per fortuna.

GLI ALBERGHI. E non immaginate quante siano state dure e, a tratti, anche violente, proprio nel senso fisico, le polemiche. Nel mese di agosto del ‘49, ad esempio, alla vigilia dell’Anno Santo del 1950, indetto da Papa Pio XII, ci raccontano le cronache del tempo, che Foggia ebbe la visita addirittura di un importante imprenditore alberghiero che propose al sindaco, la realizzazione di tre mega alberghi in centro, dei quali: uno al posto dei ruderi di Palazzo Scillitani; uno sul Viale della stazione e uno… dove vi era il colonnato, al posto della sua ricostruzione. Alle precisazioni del sindaco che l’amministrazione comunale aveva già deciso di realizzare una galleria (sic!) in quel luogo ma che vi erano problemi legati alla soprintendenza ed anche alle proteste dei cittadini che volevano la loro villa, si venne ben presto, alle mani e agli insulti… ma questa è un’altra storia. Importante è invece sottolineare come il Consiglio Comunale, nella seduta del 12 luglio 1949, avesse deliberato la costruzione di una galleria e di grandi palazzi al posto della villa. In barba al fatto che la Villa insistesse su suolo demaniale, peraltro protetto da vincolo archeologico nella parte confinante con l’ex ippodromo, pertanto non poteva, il comune, decidere la costruzione di alcunché se non prima di aver, eventualmente, acquistato il terreno dallo Stato, pagandone il relativo esoso importo.

LE LEGGI. Insuperabile anche l’ostacolo del nulla osta da parte della Sovrintendenza ai Monumenti per la Legge n 1089/39 che tutela le cose di interesse storico e artistico. Lo stesso Genio Civile aveva più volte messo sull’avviso i nostri amministratori dell’epoca di decidere in merito alla ricostruzione del portico, pena la perdita dei fondi stanziati all’uopo dal Provveditorato alle OO.PP. per la sistemazione dell’ingresso della villa, ben 16 milioni, in favore di altre opere e altre città più solerti ed attente agli interessi della loro terra. Eppure la questione: Portico/Galleria, andò avanti sino a quando, nel 1950, finalmente si ricostruì il portico, sia pure arretrato rispetto alla collocazione anteguerra per questioni prospettiche e architettoniche e il polmone verde e la villa comunale furono salve. Ma il rischio di perderla era stato davvero enorme. La galleria che parte dei politici di allora avevano in mente dovesse essere la più grande d’Italia e diventare luogo di incontro di civiltà e multietnico: luogo dove, come , con una punta di ironia riporta uno dei tanti articoli dedicati all’argomento dai giornali locali di quegli anni ( Il Corriere, Il Foglietto, Il Gazzettino Dauno ecc), “potevano darsi convegno un milanese e un brindisino; uno svedese con un etiopico, un pinguino del Polo Nord con uno del Polo Sud…”.

IL ‘REFERENDUM’. Sebbene sostenuta da più parti, non si capiva, peraltro, chi e come dovesse finanziare una tale opera che prevedeva costi altissimi e con una quasi certa ipotesi di fallimento ed a rischio di trasformare Piazza Cavour in un cantiere a cielo aperto per decenni. A questa idea, si contrapponeva quella di quanti , la maggior parte dei foggiani di qualsiasi livello socio culturale e professionale, anche attraverso una sorta di referendum lanciato dai giornali, erano contrari alla galleria e per nulla volevano rinunciare alla freschezza e alla rassicurante amenità della storica villa comunale, unico luogo dove poter portare i figli a passeggio ed a prendere una boccata di aria sana, lontani dai pericoli delle strade e delle piazze. Nella famosa seduta consiliare del 12 luglio 1949, fu comunque e salomonicamente deciso, come abbiamo detto, di “dar luogo” alla realizzazione della galleria e di spostare (sic!) il portico in altra zona. Insomma, si voleva, per dirla con il Conte Franchini, di vecchia memoria, “Portare il mare a Foggia…” o almeno questo e ciò che i sostenitori della galleria facevano credere ai foggiani nei loro discorsi: palesando il lustro, benessere e ritorno economico che un’opera “grandiosa” come la galleria avrebbe significato per la Città e citando come esempio Roma e Milano.

IL PROGETTO. Tutto ciò, cari amici lettori, mentre, a quasi sette anni dalla fine della guerra, un gran numero di foggiani ed in alcune zone di Foggia, si viveva ancora nella miseria più assoluta; in alloggi di fortuna: grotte e sotterranei, insieme agli animali; tra malattie infettive che la facevano da padrone; promiscuità e mancanza di beni essenziali e dunque vi era bisogno di ben altro che di un faraonico e irrealizzabile progetto come quello della galleria che, fortunatamente è rimasto nei sogni e desideri di qualcuno.

L'AUTORE. Salvatore Agostino Aiezza

di Redazione 


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