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  • Pubblicata il: 30/06/2015 08:29:02

Addio "professor" Pernice, l'omaggio della 'famosa Quinta A'

Ieri mattina, si è rianimato dopo qualche tempo un gruppo WhatsApp, dal titolo emblematico: “La famosa V A”. Riunisce alcuni degli ex studenti del liceo scientifico Volta, che per un quinquennio hanno condiviso aule, banchi, lezioni e professori. Un pezzo di vita. Tra neosposi, figli in arrivo (o già cresciuti), a distanza di quindici anni da quell’esperienza culminata con l’esame di maturità, nel gruppo si condividono ricordi ed esperienze. Ieri, però, quel trillo di WhatsApp non aveva nulla di complice o divertente: ‘E’ morto il professore Pernice’, è stato il messaggio che ha, di colpo, trasformato un’allegra chat in un funesto scambio di tristi commenti.

L’OMAGGIO. In quel gruppo (e in quella classe) ci siamo (e c’eravamo) anche noi. In due, attualmente redattori di Foggia Città Aperta, siamo stati allievi di Pernice (e colleghi del figlio Luca, a cui va – come all’intera famiglia – l’abbraccio della nostra redazione). E non era raro neppure incontrarlo per strada, dato che le nostre abitazioni distano poche centinaia di metri. Non siamo degni di fare nessuna elegia funebre, ma un ricordo un po’ più personale, come omaggio a un uomo che ha accompagnato un importante momento della nostra vita, ci sembra il minimo tributo.

L’INSEGNAMENTO. Era un grande artista, un apprezzato scultore del quale solo oggi noi riusciamo a cogliere appieno la mole di lavori realizzati e lasciati anche in città. Eppure ce n’eravamo accorti subito, a scuola: non serviva molto a comprendere che dietro quei baffi alla Dalì si celasse un artista. Era necessario conoscerlo un po’ meglio, però, per coglierne anche la simpatia, l’ironia e quel modo di prendere le distanze da un mondo del quale faceva parte – la scuola – ma che dissacrava quotidianamente, cercando di evidenziarne i limiti e i difetti. Del resto, un artista non poteva essere ingabbiato in schemi predefiniti, interminabili consigli di classe, compilazione di registri, etc… E poi a lui pesava anche “svegliarsi alle sette di notte”, come amava ripetere in uno di quei lunghi monologhi che accompagnavano le sue lezioni. Già, perché le sue lezioni erano un vero e proprio spettacolo: insegnava Disegno e Storia dell’arte, ma spesso – pur avendo una conoscenza infinita del settore – non si concentrava a impartire nozioni di quelle materie, ma si affannava a insegnarne l’amore. Come a dire: io ti seguo, ma non posso posizionare le squadre e la matita al posto tuo. Posso, però, trasmetterti l’amore necessario per imparare a farlo. E spesso, ci riusciva.

di Redazione