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  • Pubblicata il: 22/04/2020 11:19:21

Le arti marziali a Foggia: alle radici della KickBoxing, intervista al maestro Italo Scrocchia

È uno dei più longevi maestri di arti marziali a Foggia. Un’esperienza quarantennale nella KickBoxing attraverso la quale ha visto passare nella sua palestra, la mitica Taralli in via Carlo Baffi, intere generazioni di ragazzi, molti dei quali in seguito sono diventati maestri essi stessi creando alcuni dei team più importanti a Foggia.

IL PERSONAGGIO. È per questo che abbiamo contattato il maestro Italo Scrocchia, e con lui abbiamo intrapreso un breve seppur intenso viaggio verso le radici della KickBoxing. Perché parlare con Italo Scrocchia significa tornare in quel luogo dove tutto ha avuto inizio. E con lui abbiamo parlato proprio delle caratteristiche e della storia di questa disciplina, dei suoi indissolubili legami con le arti marziali tradizionali. Una disciplina, la Kick, che a partire degli anni 80 ha avuto enorme diffusione a livello planetario.

L'INTERVISTA. Come è incominciata la sua avventura nel Mondo delle arti marziali?
"La mia avventura è iniziata nel 1965, quando a Novara ho incominciato con le cosiddette arti marziali tradizionali: karate e judo. Ero molto piccolo avevo 6 anni. Poi nel 1971 sono venuto a Foggia, un po' alla volta ho abbandonato il judo per dedicarmi esclusivamente al karate, nel 1974 partecipai ai campionati italiani di karate e nel 1977 divenni cintura nera agonista. Da qui in poi ho incominciato a dedicarmi al karate full contact, che era una novità assoluta all’epoca, e dal quale si è sviluppato quel metodo tecnico che ha portato alla moderna kick boxing. Sono stato il primo a portare il karate full contact a Foggia e uno dei primi in Italia, in quanto all’epoca in questa disciplina in Italia c’erano solo 32 cinture nere, ed io ero uno di queste".
All’interno del Team Scrocchia si praticano prevalentemente boxe e kick. Di fatto la kick boxing a Foggia lei è stato il primo a portarla. Ci vuole parlare di come è nata questa disciplina, e quindi delle radici della Kickboxing, e di come ha fatto ad avere a suo avviso tanto successo e popolarità, specie a partire dai primissimi anni novanta?
"La kick boxing nasce, come detto, dal karate full contact. La data ufficiale della sua nascita è il 1974, quando a Los Angeles si tenne il primo campionato Mondiale di Karate full contact, che fu anche il primo grande evento televisivo delle arti marziali, trasmesso dall’emittente televisiva americana MBC. L’attrattiva consisteva nel mettere di fronte i più grandi karateca americani contro i più grandi karateca europei. Dopo e grazie a questa gara il full contact incominciò a diffondersi sempre di più sia in America che in Europa. Fu l’evento che diede ufficialmente il via al full contact. Contemporaneamente in Giappone già a partire dagli anni 60 esisteva la kick boxing, nata e sviluppatesi come surrogato della Muay Thay Tailandese, una versione giapponese della Thay. La data in assoluto più importante per l’affermazione della Kick Boxing è il 1980. In Giappone in quell’anno si sfidarono in un torneo di Kick boxing i migliori karateca giapponesi contro i migliori karateca americani. Il torneo venne vinto contro ogni pronostico dall’Americano Beniu Chirets, una leggenda della Kick, che riuscì a battere tutti gli avversari giapponesi. La vittoria dell’Americano fece il giro del Mondo e permise alla Kick, come la conosciamo oggi, di diffondersi anche in Occidente. A partire dal 1983 in Italia io fui uno dei primi a divulgarla, organizzando gare, corsi per istruttori ecc.. Negli anni novanta poi sempre in Giappone la Kick ebbe un ulteriore evoluzione nel suo regolamento, trasformandosi in quella che noi oggi conosciamo come K1. Anche in questo caso grazie ad un maestro di karate, il maestro Ischi, il quale organizzò tornei con alcune variazioni alle regole tecniche fino ad allora in vigore, e riservati ai soli pesi massimi. La peculiarità di quei tornei era che le borse messe in palio erano altissime".
Possiamo affermare oppure no che anche la cultura televisiva e in particolare i film di Van Damme in quegli anni abbiano dato un ulteriore spinta alla popolarità comunque già in crescita della Kick?
"Sicuramente, in particolar modo un film di Van Damme, “kickboxer – il nuovo guerriero”. Il successo che ebbe fu determinante per la diffusione della kick. E’ un film nel quale per la prima volta si vedono gli allenamenti duri di Kick, ma anche della Thay, il ring , le regole ecc... Da quel film in poi la cultura televisiva relativa alla kick ha avuto grande impatto sulla sua diffusione. Infatti dagli anni ottanta fino ad oggi gli eventi più importanti verranno sempre trasmessi in televisione. Oggi in particolar modo oltre i canali televisivi, sono tantissimi i canali social che in streaming proiettano gli eventi e le gare più importanti".
La sua è una palestra storica a Foggia. Quasi tutti gli insegnanti di Kick sono passati da lei. Ha visto anche tante generazioni passare. Che differenza c’è tra le attuali generazioni di giovani che vengono ad allenarsi da lei e quelle passate, se ce ne sono?
"Senti, dice un proverbio “Mondo era e Mondo è”. I ragazzi, i giovani sono sempre gli stessi, ciò che è cambiata è la società. E cambiando la società chiaramente è cambiato anche il modo di intendere lo sport da parte dei ragazzi. Prima a fine anni 70, ti parlo di Foggia, non c’era granché con cui sfogarsi a parte il pallone, qualche arte marziale e il pugilato. La differenza principale che ho riscontrato è che le generazioni passate, parlo delle generazioni che vanno da fine anni 70 fino ad arrivare a fine anni 90, erano molto più agoniste di quelle attuali, avevano più fame e grinta. Ti faccio qualche esempio: prima se un ragazzo doveva combattere lo potevi avvisare anche un giorno prima, non si faceva problemi, il giorno dopo saliva in macchina e andava a combattere. Oggi una cosa del genere non sarebbe possibile in quanto i ragazzi vengono distratti da tutta una miriade di situazioni. Un altro esempio. Prima quando c’era una gara ai nostri atleti non interessava niente chi fosse l’avversario, salivano sul ring e combattevano e stop. Mentre oggi tendono sempre a informarsi su internet, vogliono conoscere il peso esatto dell’avversario, poi vengono da te e ti dicono che non vogliono combattere perché non si considerano all’altezza. Insomma si fanno tanti, troppi problemi. Un’altra grande differenza è rappresentata dall’ansia di prestazione. Prima quando si combatteva si saliva sul ring e se vincevi bene, se perdevi non era comunque un dramma. L’avversario poteva anche romperti la faccia, il giorno dopo l’atleta tornava in palestra ad allenarsi come se nulla fosse. Oggi è cambiato tutto, un ragazzo se perde un incontro, anche se non si è fatto male, sembra che abbia perso la vita, se ne va in depressione, non si fa più vedere, non viene più in palestra. Le generazioni di oggi rispetto a quelle passate sono cambiate proprio dal punto di vista caratteriale, sono pochi pochissimi i ragazzi forti caratterialmente, in grado di salire sul ring dare il massimo, accettare le eventuali sconfitte e ripartire. Perché poi il fine ultimo, l’insegnamento di questi sport consiste proprio in questo, ovvero nella capacità di saper superare le difficoltà e andare avanti sempre".
Per quello che ho avuto modo di vedere io, all’interno della vostra palestra durante gli allenamenti c’è un clima di grande serenità, oserei dire di familiarità. Da un punto di vista prettamente educativo quali sono gli obbiettivi che vi prefissate quando un ragazzo entra nella vostra palestra?
"Con questa domanda mi permetti di cogliere nel segno l’aspetto in assoluto più importante di queste discipline. La violenza presente in queste discipline è sempre una violenza fisica ma mai psicologica. La violenza da evitare sempre è quella violenza in cui un uomo picchia una donna, il forte prevarica il più debole, gli ultras che si aggrediscono tra di loro, giusto per fare qualche esempio. Parliamo di una violenza sconsiderata, gratuita, alimentata dall’odio, e soprattutto che non ha alcuna utilità. Ciò che insegniamo noi può essere paragonato al modo di concepire la guerra dei samurai, almeno dal mio punto di vista. Ovvero il saper fare la guerra al fine di preservare la pace. Un pacifista al 100% che non concepisce alcuna idea della violenza soccomberà sempre contro chi lo vuole prevaricare. Ma se il prevaricatore sa che io so fare la guerra e non ho paura di morire non si avvicinerà a me. In questo concetto, secondo me, si racchiude il fine ultimo delle arti marziali. I samurai non erano persone cattive, erano persone dedite al bene del prossimo, ma con in più la capacità di saper combattere. La stessa cosa i monaci shaolin, in Cina erano considerati dei santi uomini, ma pronti a combattere se si trattava di difendere i bambini, le donne, i deboli dalle grinfie di uomini malvagi. Ecco questa è a mio avviso la filosofia da tenere in una palestra di arti marziali. L’allievo deve essere un bravo combattente, deve saper coltivare la sua combattività, ma tenerla dentro, e tirarla fuori solo se si tratta di difendere se stesso o le persone a lui care o i più deboli e bisognosi di aiuto. Quello a cui ho sempre tenuto più di ogni altra cosa nella mia palestra, è che chi viene da noi sia una persona equilibrata, o se non lo è lo diventi strada facendo. Chi non sa accettare questo discorso inevitabilmente non viene più in palestra".
Potremmo dire che avviene una sorta di selezione naturale.
"Esattamente, perché quando un ragazzo che entra in una palestra di kick boxing sa che deve comportarsi in una certa maniera nel rispetto dei compagni di palestra degli insegnanti ecc… o si adegua oppure comprende che quell’ambiente non fa per lui. In tutti questi anni ho visto tantissimi ragazzi, ti potrei fare tanti esempi, che erano teste calde portate alla violenza gratuita e che grazie all’allenamento di kick boxing hanno rivisto totalmente i loro valori e si sono trasformati, in positivo. Altri invece non sono cambiati e quindi se ne sono andati. E per noi va benissimo così dal momento che abbiamo impostato tutto il nostro operato e il nostro team sul rispetto, l’amicizia, la fratellanza e l’allenamento duro. E chi no si allinea con questi valori è giusto che se ne vada".
L'autore. Gaetano Lagattolla

di Redazione