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  • Pubblicata il: 01/02/2022 17:00:20

Camilla, una storia “foggiana”

Camilla Di Pumpo è stata uccisa da un “grezzo” che voleva fare il "buono". E dai suoi complici. Non quattro, come sembrerebbe da alcuni video che circolano. Ma tanti, complici. Anni e anni di complici.

UN PIANO. È ciò che è accaduto la sera del 26 gennaio del 2022 in via Matteotti, cuore di Foggia. Pane al pane, come si dice, vino al vino. Non un comune incidente da gocciolare nell’eco delle statistiche di sangue su strada. Non solo quello. Al di là degli accertamenti degli inquirenti e senza fare processi all’impronta, pur avendone gran voglia, balena l’impressione che forse non sia stata una casistica infelice ad interrompere una vita a venticinque anni. Ma un atto, piuttosto. Un atto frutto di anni e anni di premeditazione. Un piano preciso, elaborato a tavolino, persino alla luce del sole.

NON E’ FICTION. A uccidere Camilla è stato il subwoofer nella macchina "preparata" con i bassi a palla, la musica neomelodica che sveglia i quartieri alle tre di notte. È stata la famigliola sullo scooterone, a torso nudo, padre madre e figlio in mezzo, in tre, nella controra in canottiera. Sono stati gli adolescenti in tuta da duecento euro e girocollo d’oro che fanno esplodere petardi in un cassonetto di via Dante, talmente disattrezzati da non capire la differenza tra un attore di fiction e un mafioso vero, tra Marco D’Amore e Ciruzzo Di Marzio. Sono stati gli spari a salve dal balcone, le impennate senza casco tra la folla in piazzetta, gli schiaffi in centro alla Vigilia di Natale.

“APPADRONARSI”. È stato quel gusto sbafato di sentirsi padroni – di “appadronarsi”, ricavando un neologismo dal dialetto – del mondo, della città, di una strada, a tal punto da portare un’autovettura di grossa cilindrata a un giro folle nella principale arteria cittadina, a vent’anni, al volante senza averne legittimità. Ignari degli incroci, delle auto, degli altri esseri umani. Al pari e non meno grave di chi piazza lo stendino fuori alla porta di casa, in un’area parcheggio ritenuta propria secondo una marcia costumanza, in agguato contro l’ingenuo che avrà l’ardire di occuparlo. Che nessuno salti dalla sedia, la matrice è la stessa. Cambia il dividendo: di qua cinquecento euro di pneumatici, di là l’abisso di una vita che se ne va.

FACCINA CHE RIDE. Ma siamo stati anche noi – il piano è premeditato, s’è detto, e comprende più complici e variegati gradini di coinvolgimento. Siamo noi che conosciamo “qualcuno” e saltiamo la fila perché l’anticamera è meglio se la fa qualcun altro. Noi che facciamo scivolare di straforo la cartaccia perché “con quello che pago, vuoi vedere che mi fanno storie?” Noi che ci devono pagare e devono farlo subito, santiddio, perché “conoscere, conosco anche io le persone”. O più semplicemente noi che ci incazziamo leggendo, oggi, ma poi domani filmiamo e condividiamo: “guarda qua, siamo a Foggia”. Faccina che sorride, faccina con la mano sugli occhi, faccina che si sbellica. Faccia che non denuncia, non si indigna, tira avanti – “e che vuoi fare?”.

UN AGGETTIVO. A uccidere Camilla è stato anche il tizio che ha rubato il suo cellulare, non v’è dubbio, ciliegina su una torta amarissima. Insieme all’amico che l’indomani ha finto di averlo ritrovato, consegnandolo (e consegnandosi) in Questura: miserabile pasticcio tra ignoranti che si risvegliano di colpo nel secolo XXI. Senza dimenticare il padre del ventenne e il suo goffo tentativo di assumersi la di lui colpa – presunto amore paterno che è solo amore in ritardo, poiché bisognava impegnarne di più prima, quando entrambi erano ancora vivi, Camilla e il figlio. Perché è innegabile: anche colui che è sopravvissuto a quel 26 gennaio ha perso un pezzo di vita che solo il perdono di chi ha amato chi non c’è più potrà colmare. Ciò che non si perdona è il resto: l’atteggiamento, il fare diffuso di una città sempre più ignara di essere diventata un brutto, colpevole aggettivo.

di Alessandro Galano