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  • Pubblicata il: 27/01/2019 12:50:40

CRONACHE DAL PASSATO/ Diario di un prigioniero foggiano

Il 27 gennaio 1945, le truppe sovietiche della 60ª Armata varcarono per la prima volta il campo di concentramento di Auschwitz, portando all’attenzione mondiale l’infamia compiuta dai nazisti verso milioni di ebrei, perseguitati politici, religiosi, testimoni di Geova, bambini, donne, anziani. e le sofferenza da questi patite. Il 27 gennaio viene perciò ricordata da alcuni anni in tutto il mondo con la celebrazione della “Giornata della Memoria”. Una data simbolica così designata dalla risoluzione 60/7 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite dell'1 novembre 2005, nonostante già nel 1944 e prima di Auschwitz, i sovietici fossero già entrati in alcuni campi di concentramento e internamento, solo con Auschwitz, il 27 gennaio, venne alla luce tutto l’orrore del genocidio. Su questo argomento ritengo sia stato detto e scritto tantissimo, e tantissimo ancora ci sia da accertare sulle colpe e responsabilità e coperture “storiche” che hanno permesso una così grande crimine contro l’umanità. Ma oggi, in occasione della giornata della memoria, voglio parlarvi e raccontarvi della storia di un nostro concittadino: un uomo nel quale ciascuno può riconoscere il proprio nonno. Padre o famigliare che venne fatto prigioniero durante la seconda guerra mondiale. Si, perché occorre ricordare che oltre alle vittime dei campi di concentramento , milioni sono stati anche i soldati, fatti prigionieri, e rinchiusi in campi di detenzione. E proprio di uno di loro voglio parlarvi. E’ il racconto, originale, scritto durante la prigionia dal signor GIUSEPPE TANNOIA, il cui figlio, Antonio, mio grande amico, nonché Presidente della locale prestigiosa scuola foggiana della “Università del Crocese”, mi dono’ qualche tempo fa proprio per far conoscere alle nuove generazioni e quanti, comunque, hanno avuto la fortuna di nascere dopo la guerra o non essere da questa coinvolti. Buona lettura a tutti 

IL DIARIO. Quella che segue è la trascrizione del diario che il soldato Tannoia Giuseppe scrisse poco prima della sua liberazione, all’indomani dell’armistizio, su sollecitazione di altri prigionieri. Dal foglio di congedo militare, sotto riportato, si rileva che egli venne messo in congedo il 18 settembre 1945. Un particolare: il foglio di congedo è stato rilasciato a San Severo, dove era ancora “sfollato” il nostro distretto militare. Il soldato Tannoia Giuseppe venne ricoverato nell’ospedale militare di Niedermarsberg dal 13 al 31 gennaio 1944 a seguito di una ferita. Il suo diario lo scrisse sul libretto personale rilasciato a tutti i soldati che partivano per la guerra, ed aveva l’intestazione “Ospedale di Campo nr 485”. E’ scritto in un buon italiano; a tratti persino forbito nel parlare, se consideriamo che il signor Giuseppe aveva le scuole elementari che già all’epoca erano un buon traguardo, ed esercitava il mestiere di barbiere, per cui aveva avuto di parlare e ascoltare molte persone. Fu prigioniero in Germania in uno Stalag, (nr 45, termine utilizzato per indicare i campi di prigionia tedeschi per prigionieri di guerra, non civili e, in genere riservate ai militari di truppa). Il diario è un insieme di sentimenti diversi e di descrizione della dura realtà in cui si trovavano questi prigionieri; si coglie l’ansia ; qualche paura e la speranza, nell’approssimarsi dell’8 settembre e della vigilia della liberazione. Ma, soprattutto, traspare la nostalgia e il ricordo della famiglia lontana che dava i qualche modo la forza di andare avanti. La trascrizione è fedelmente riportata, senza alcuna correzione o aggiunta. 
“Feriti un diario di una fase della nostra prigionia mi fu detto un giorno da diversi amici da veri camerati di sventura se così si possono chiamare questi cari ragazzi. E’ un compito difficile difficile si, ma, non inferiore alla mia capacità. Mi fu detto scrivere qualcosa; non siamo esigenti, scrivere qualcosa da poter conservare e poter leggere nei giorni migliori nei giorni quando saremo se Dio vuole ciascuno di noi unito alla propria famiglia. Questo compito non è superiore alla mia capacità perché sono sicuro che qualcosa uscirà, buona o cattiva; mi son detto mi proverò, fin che vivo in questo ambiente sapendo che queste righe non passano i reticolati dove se ne sono viste veramente di belle e dove continuano cose veramente eccezionali che meriterebbero veramente di essere scritte con più ampiezza, l’idea non mi dispiace. Una fase della nostra prigionia e precisamente alla vigilia della nostra libertà. E’ superfluo incominciare dal primo giorno poiché in tal modo uscirebbe un vasto libro di tristi avventure; secondariamente chi oramai ricorda con mente limpida i tristissimi giorni passati? Tutti sappiamo il triste risveglio: i reticolati i tavolacci sporchi e scomodi dove eravamo buttati come bestie, le cimici i pidocchi, dopo aver passato il soffribile nel viaggio verso la maledetta prigionia in carri bestiame chiusi come sardelle in barile, il freddo, la fame. Dove la prigionia o sempre creduto ma mai a questo punto. Dall’un campo improvvisamente venni separato dagli amici più cari e sbattuti in un’altra di già lungo peggiore del primo, non le baracche ma qui tendoni in mezzo il fango dove anche la stagione pessima cooperava per aiutare questi nostri nervi già tanto scossi. Chi osa negare che l’uomo non è la macchina più perfetta che sia stata inventata non ha conoscenza di quella che è la vita. Poveri nervi nostri povero spirito povera nostra giovinezza destinata a sfiorire cosi lentamente nei campi di disagi. Povere mamme nostre povere spose che piangete per guarire la nostra dura sorte, voi che ci avete visti passare giorni belli accanto a voi, voi mamme voi spose che conoscete i nostri difetti ed i nostri pregi non piangete, l’uomo il ragazzo che tanto amavate è accanto a voi mantenendo ancora intatta la mente e i cuore per condurlo dopo tante dure prove a voi mamme a voi spose che potrete con sincerità affermare che il vostro figlio o lo sposo vostro non ha tradito la vostra fiducia e si è conservato come la conservarsi l’uomo padrone di se l’uomo sovrano. Sono certo mamma e sposa che pensate con superbia ai vostri uomini che soffrono per tornare a casa, soffrono? Ci son tanti modi di soffrire, c’è chi soffre d’insonia chi soffre di monotonia chi soffre alte cose leggiere di tutto questo qui si soffre il soffribile paragonabili al supplizio di Tantalo. Ognuno di noi potrà in tal modo ampliare colorire questi poveri appunti scritti dopo dieci ore di duro lavorare a centinaia di metri sotto terra con i vestiti laceri, dal sudore, per il duro lavoro del piccone delle macchine perforatrici che vincono l’opposizione della dura roccia, dove si lotta con l’umidità con le lampade cetelene appese al bottone della camicia dove si lotta per vivere, dove si lotta per l’amore della famiglia, per il ritorno. Questi poveri appunti scritti dopo aver consumato un pranzo composto da semplici amare rape, fossero stata sapri (probabilmente : saporite” n.d.s.) , pazienza, acqua amara di crude rape, poveri appunti miei gettati al vento, miei cari camerati abbiate comprensione e cercate di perdonare queste mie confusione scritte in queste triste situazione. Lavorare il chiodo dei nostri implacabili carcerieri lavorare. Non è abbastanza di più di più ancora ed il povero prigioniero internato per loro detto beffeggiato offeso con calci schiaffi è trattata peggio di uno schiavo, sudavo facevo già più di quello che potevo con nervi tesi nel massimo sforzo sopportare per ritornare. Non bastava a questa razza infame questo senza cuore senza coscienza imprecavano, gridavano e talvolta ci battevano. Povere misere vittime di un crudo fato, privi di notizie delle nostre cose care della nostra famiglia già stanchi prima di iniziare il lavoro un tempo fummo uomini ora stracci senza cuori senza mente senza spirito, non è il cervello che ci comanda ma parole oltraggiose e talvolta pedate. Dopo è venuto per noi un po’ di sole . Qualche lettera dei nostri cari. Ricordo ancora la prima, non sapevo se dovevo essere contento oppure gia temevo aprir quella temevo dopo molto tempo qualche disgrazia. Soltanto quella mancava. Non poteva essere così orrenda la nostra sorte. Notizie buone tutto procede bene. Questo fu sufficiente per mettere ancora un po di spirito un po di sangue in questo corpo morto, il lavoro abituale cominciava allora ad essere un po meno pesante , oramai i nostri nervi erano temprati a quelle dure fatiche mai provate. Nella nostra baracca fra quelle quattro pareti tutto ritornava possibile. Il nostro rifugio, continuavano sempre le discussioni ed allora la speranza coloriva questi tetri visi smunti ed avviliti, poi il silenzio la disperazione la nostalgia la gloria e la superbia del passato, chi pensava oramai all’avvenire. Passano i giorni così come li può passare una bestia qualunque continuano i giorni i più fortunati riescono a trovare impieghi leggeri adatti alle loro forze prevedendo in tal modo di provvedere a qualche pezzo di pane. Per tanti giunsero finalmente i pacchi. Non più prigioniero allora vitas normale. Per tanti altri invitanti dove le battaglie infuriavano sulle zone della loro famiglia. Giorni tristissimi e tormentosi. In tal modo continuava questa vita. Stagione sempre pessima intanto la camerata dove uniti i più intimi si poteva trovare un po’ di tranquillità. Le discussioni continuano la speranza aumenta. Tute le mattine alle quattro quella maledetta campana che ci chiama al lavoro è è quell’avviso mi dava ai nervi. Procedeva in tal modo la nostra vita intanto arrivava ogni 15 o 20 giorni un giornale La Voce della Patria, giornale insipido che ci lasciava tutti apatici o per lo meno a coloro dotati di una certa tempra. Continuava così fino al giorno e fino alla fine alla vigilia di quella indimenticabile e fatale per taluni decisione. Già correva voce che tutti gli italiani internati sarebbero passati civili, chiacchiere di reticolato , chiacchiere alle quali io non davo nessuna informazione dato che veramente non credevo possibile un cambiamento dopo già quasi un ano passato da internati. Intanto ricevemmo un giornale che mi annunciavo già la trasformazione che doveva avvenire il primo settembre, grande fermento nel nostro campo alle discussioni seguivano dichiarazioni accese, a cosa pensavano questi forse, questa trasformazione avrebbe permesso a tanti, dopo le ore di miniera di uscire per andare nei campi a lavorare presso contadini per riempire lo stomaco Questa trasformazione rendeva tanti contenti e tranquilli ma mentre il giornale affermava che tutti gli italiani sarebbero passati indistintamente civili ci fu annunciato che sarebbe giunta una comunicazione la quale avrebbe chiesto la scelta; le vie erano due. Passare civile oppure passare da internati cioè a prigionieri di guerra con trattamenti pari a tutti i prigionieri sottoposti ai più duri lavori. Seguono le discussioni. S’arriva così alla vigilia di quel giorno fatale. Ricordo quella sera, le discussioni erano più accese che mai alle difficoltà dell’una, si contrapponevano gli ostacoli dell’altra, due strade malsicure ed al quando incerte. Chi sapeva chi ancora oggi può sapere il prezzo di quella decisione. Ricordo coricato sulla mia branda, eravamo circa quaranta e passa e pressa a poco una risposta unica. Siamo stati fino ad ora trattati mali peggio ancora dei prigionieri perché dare una soddisfazione a questa gente cosi’ canaglia , no, no era la risposta più specialmente di coloro che sembravano i più accaniti nemici di coloro che venivano ad offrire un così vergognoso mercato dopo un anno di sacrifici. Protestare bisognava. Alcuni non si pronunciavano forse anno già la risposta preparata perché dopo tanti preoccupazione altri ancora, diceva un filosofo.
(Salvatore Agostino Aiezza)

di Redazione