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  • Pubblicata il: 10/06/2013 12:40:03

Da Torremaggiore a Napoli: maxi blitz contro la ricettazione del rame

40 tonnellate di oro rosso sequestrate, 7 indagati

Il furto e la ricettazione del rame – l’oro rosso, come viene definito per il suo alto valore commerciale – continua a rappresentare una emergenza in Capitanata. Questa mattina, il blitz messo a segno dai carabinieri e dai militari della Guardia di Finanza, coordinati dalla Procura di Lucera, ha permesso di sgominare un’organizzazione stabilmente dedita alla ricettazione del rame, portando all’esecuzione di una ordinanza applicativa di misure cautelari personali nei confronti di 7 indagati, tutti accusati di concorso in ricettazione.
IN MANETTE. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del Tribunale di Lucera, su richiesta della locale Procura della Repubblica. Le misure cautelari sono state eseguite a carico di C.S., di 55 anni e di suo figlio f., di 26. Con loro due, figurano anche R. Ma., di 35 anni, D. G., di 57 anni e suo figlio L.. Ai domiciliari, invece, D. G. T., di 32 anni e M. R. di 41 anni. Allarmanti, per gli inquirenti della procura lucerina, i bilanci dell’inchiesta che ha avuto come epicentro la città di Torremaggiore: oltre 40 tonnellate di cavi di rame sequestrate, per un giro di affari stimato intorno ai 200mila euro.
L’INCHIESTA colpisce in particolare il sistema di ricettazione e riciclaggio dei cavi di rami. Tale tipologia di reato (che vede la provincia di Foggia al 1° posto nel Sud Italia) sta mettendo in ginocchio centinaia di aziende agricole e attività produttive zootecniche con gravi ripercussioni sull’economia del territorio. La febbre da “oro rosso” che ha contagiato il territorio è salita a causa dell’aumento delle quotazioni del metallo. Ad essere presi di mira sono soprattutto le linee di comunicazione, elettriche e ferroviarie. I ladri di rame sono solo l’ultima parte di un sodalizio criminale più ampio, in cui si sono inseriti anche operatori del settore della raccolta di materiali ferrosi che, con l’aiuto di professionisti, reimmettono quanto oggetto di furto nel circuito legale con artifizi tali da ostacolarne l’identificazione della provenienza illecita.
IL PRIMO SEQUESTRO. L’indagine ha preso avvio da un ingente sequestro di cavi di rame eseguito dalla Guardia di Finanza nei pressi di Torremaggiore quando, su un rimorchio parcheggiato in un terreno incolto, vennero rinvenute matasse 30 tonnellate e mezzo di filo elettrico utilizzato dell'Enel per la distribuzione dell’energia. Il carico era occultato sotto una rete oscurante, di quelle normalmente utilizzate per la raccolta delle olive. Durante le operazioni, sul luogo giungevano C. S. e M. R. a bordo di un trattore, con l’intento di agganciare il rimorchio. La successiva perquisizione del deposito del S. consentiva di rinvenire ulteriori 88 quintali di cavo di rame. Il contestuale sequestro della documentazione contabile consentiva di rilevare la mancanza di corrispondenza tra materiale rinvenuto all’indagato e quello risultante dalle fatture d’acquisto: l’uomo, infatti, era in possesso di una provvista cartolare, volta a dare apparente legittimità alla disponibilità o al passaggio del materiale in questione, ma le verifiche eseguite hanno consentito di accertare che 33 tonnellate di rame, delle oltre 41 tonnellate acquistate con apparente regolare fattura negli anni 2010, 2011 e 2012, venivano disconosciuti dai presunti fornitori.
LE INTERCETTAZIONI raccolte dai Carabinieri, confortate da puntuali riscontri costituiti da sequestri di cavi di rame, hanno consentito di individuare responsabilità e ruoli di ogni singolo indagato: S., collaborato dal figlio e dal dipendente R. il collettore del rame di illecita provenienza. Quest’ultimo veniva conferito loro tanto da T. quanto da D. G., dipendente dell’ENEL, per il quale il figlio teneva i contatti e si accordava per la consegna del materiale. I cavi di rame, raccolti in un deposito di materiale ferroso in Torremaggiore, venivano lavorati nel “mulino” oppure nel “trituratore” ed in seguito venduti a ditte di import-export e trasformazione di materiale ferroso ubicate nella Provincia di Napoli dove venivano trasportati a bordo di autocarri. Tra queste ditte è stata individuata quella di R. M., arrestato a Napoli, amministratore unico della ditta “MAR.CAVI Srl” con deposito a Napoli. Nel caso in cui i cavi non potevano essere preventivamente lavorati, venivano occultati nei cassoni sotto mero cascame o rottami.
TRA ‘PORCHERIA’ E ‘COSE BELLINE’. La compravendita illecita di rame, seppur in presenza di soggetti apparentemente autorizzati alla raccolta di materiale ferroso, è stata dimostrata sia dall’assenza di documentazione attestante la liceità delle negoziazioni, sia dal tenore delle conversazioni telefoniche intercettate dai Carabinieri durante le quali, gli interlocutori evitavano di riferire chiaramente l’oggetto delle conversazioni utilizzando parole convenzionali o allusive quali “porcheria” “roba bellina” “quel coso” “quella roba là”, “ferraglia”. Gli accertamenti della Guardia di Finanza hanno consentito di denunciare il commercialista la cui azione è stata fondamentale per dare una vestizione lecita alle condotte illecite perpetrate: a questi è stato contestato l’aver proceduto alla registrazione delle false fatture di acquisto e la tenuta della contabilità dell’azienda del Serlenga pur sapendo della provenienza illecita della merce. Nel complesso, nel corso delle indagini, sono state denunciate 11 persone per ricettazione, favoreggiamento e false fatturazioni.

di Redazione