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  • Pubblicata il: 23/03/2020 16:42:26

Dalla laurea “al fronte”, a lottare contro il Covid: “Non fate lo stesso errore che è stato fatto qui”

San Raffaele di Milano, l’esperienza di un giovane specializzando foggiano

IN UNA PAROLA: IL CAOS. “Lavoro in una struttura ospedaliera che fa dell’organizzazione il suo forte; qui nulla è lasciato al caso, ogni visita ambulatoriale, ricovero, esame diagnostico viene programmato al dettaglio. Poi, all’improvviso tutto è cambiato: le prestazioni differibili sono state prima scremate, poi annullate. Molti reparti hanno chiuso i battenti e lasciato spazio ai posti letto per pazienti Covid positivi, chirurghi o perfino dermatologi sono stati arruolati nei reparti di malattie infettive, il pronto soccorso è stato stravolto e destinato all’emergenza. In una parola: il caos”.

L’INTERVISTA. È l’esperienza di un giovanissimo specializzando in medicina, foggiano, 25 anni, al suo primo impatto lavorativo. Dalla laurea all’emergenza sanitaria più drammatica degli ultimi cento anni, in un colpo solo, nel giro pochi giorni. È al fronte, si può dire, praticamente da quando tutto è cominciato. Milano, ospedale San Raffaele. E, scegliendo l’anonimato, racconta la sua piccola, grande storia.

LE DOMANDE. La prima andrebbe fatta a chiunque sia al lavoro in un ospedale, come stai?

Ho passato momenti migliori... Qui non si è mai smesso di lavorare. Fisicamente sto bene, sono giovane e riesco a fare ciò che mi viene chiesto; emotivamente e psicologicamente sono provato, ma ho anche tanta voglia di fare.
È un momento in cui serve l’aiuto di tutti, anche di voi specializzandi: in cosa siete impiegati maggiormente?
Siamo medici internistici, dunque veniamo arruolati nei reparti di degenza per covid positivi, quelli occupati dai pazienti non necessitanti cure intensivistiche. Non prestiamo servizio nelle terapie intensive perché sono reparti molto delicati, che richiedono preparazione e capacità specifiche: non ci si improvvisa rianimatori. Allo stesso tempo continuiamo a garantire il minimo indispensabile nel nostro reparto: i turni nel pronto soccorso pediatrico e i ricoveri d’urgenza.
Dunque ti saresti dovuto occupare di bambini, e invece…
I bambini se vengono colpiti è solo in maniera molto blanda, di conseguenza ci troviamo a prestare assistenza a fasce d’età di cui non ci si occupa routinariamente e questo ha preso alla sprovvista finanche i nostri medici strutturati. Spesso si assolve a compiti più da factotum che da medici, ma poco importa. Conta dare una mano e basta, in qualsiasi forma.
Si lavora in sicurezza?
Nei nostri reparti di origine abbiamo ancora difficoltà a reperire i dispositivi di protezione: avere una mascherina chirurgica e dei guanti non è così scontato. Nei reparti covid tutti hanno almeno il minimo necessario: mascherina FFP2 o FFP3, cuffia, camice, guanti e sovrascarpe.
Quando ti sei reso conto che la situazione era diventata grave lì in Lombardia?
All’inizio nessuno ci credeva. L’attività in reparto non era cambiata, si ironizzava persino sulla malattia… Poi, improvvisamente, tutto è stato stravolto. Avevamo saputo di persone che arrivavano con sintomi respiratori gravi trasferiti da Lodi e da altre città lombarde, prima 2, poi 4, poi 16, ecc. Nel frattempo si vociferava che le terapie intensive di tutta Milano stavano arrivando al collasso, mentre quelle di Bergamo, Brescia e Cremona lo erano da giorni…
L’immagine più forte che hai davanti agli occhi…
Due, entrambe in pronto soccorso. La prima: un medico che urla in preda al panico agli infermieri del triage: ‘così non ce la facciamo, stanno arrivando codici rossi uno dopo l’altro e neanche ci avvisate più!’. Sai, è strano: improvvisamente vedi le stesse persone che fino a qualche settimana fa erano lì ad insegnarti il ‘mestiere’ con tutta la loro esperienza e calma, naufragare miseramente in questo caos e perdere la lucidità. La seconda: il corridoio del pronto soccorso. Non che sia diverso dal solito: il corridoio del pronto soccorso è spesso ‘abitato’ da persone che sono in fin di vita. Ma stavolta è diverso: le persone sono sole, non ci sono i loro famigliari accanto. È drammatico vedere persone in ventilazione polmonare, ancora vigili, morire da sole”.
Hai paura?
Come medico no. Credo nelle possibilità della scienza, nelle risposte che la ricerca può darci, come ha fatto con la polio, la tubercolosi, l’HIV. Come uomo sì, tanta. Temo per i miei famigliari, per le persone più fragili. Inorridisco all’idea che qualcuno non riesca a ricevere le cure necessarie. Nessuna vita vale meno di un’altra, nessuna. Sto iniziando a sperare che sia un brutto sogno, sto iniziando a sperare di non vedere più i bollettini delle 18 della protezione civile, di non contare più i morti come fossero statistiche da mettere in un grafico.
Avresti potuto fare ritorno a Foggia? E se sì, perché non l’hai fatto?
Avevo dei biglietti già fatti per il fine settimana dell’8 marzo a cui ho rinunciato. L’ho fatto per rispetto e timore, per la mia famiglia e per tutta la gente; non potevo essere sicuro di non essere un portatore asintomatico e non sono sceso, punto.
Da queste parti non tutti hanno compreso la gravità della situazione: cosa ti senti di dire ai tuoi concittadini?
Non fate lo stesso errore che è stato fatto qui, non è un gioco, non è finzione. Avete la ‘fortuna’ di aver avuto un vantaggio in termini di giorni, non sprecatelo. La sanità lombarda è al collasso, pur essendo probabilmente la più organizzata d’Italia. Cerchiamo di prevenire, fatelo per chi vi sta vicino, per chi amate, per chi è più debole. Fatelo perché è l’unica arma a disposizione. Resistete, quando tutto sarà finito sarete fieri di voi stessi.

di Alessandro Galano