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  • Pubblicata il: 13/08/2018 08:26:22

Le bande, i fuochi, il galluccio, i crocesi: il Ferragosto di inizio Novecento a Foggia 

Il racconto di Ettore Braglia

“A nu miezze melone a nu turnese!”.
  “Duje ciucce nu sold; tenghe pure a catene pull’orge” 
 “Nu giarrone e nu turnese”. 
Così gridava, durante le giornate di processione e maggiormente in quella più solenne del 14 Agosto, il venditore di angurie che imporporava le fette dell'acquoso frutto col vetro rosso della lanterna; il tarallaro che con la spasella a tracolla s’insinuava, tra la folla, per eccitare il desiderio dei bambini; il gelatiere che giunto al “pizzo” della strada, deposto a terra il tino del sorbetto agitava il trimone per richiamare l’attenzione dei piccoli clienti, mentre di lontano giungeva l’eco di “nucelline americane calde, calde; u terrone nu solde d’o piezze” . Né mancavano altri venditori ambulanti di cibarie e leccornie. Vera festa del popolo che sbucava dai più lontani vicoli della periferia, invadendo strade e piazze del centro, era il nostro Ferragosto. 

L'APPUNTAMENTO. Il ferragosto, come ancora oggi, aveva inizio la mattina del 13 agosto: alle 11, il tavolo della Madonna dei Sette Veli, protettrice della città, avvolto nel tradizionale lenzuolo veniva portato a San Tommaso, dove sostava fino al pomeriggio del giorno successivo. I festeggiamenti, nella prima giornata si limitavano all’intera via Arpi sfarzosamente illuminata, nelle cui piazze Nigri, Baldassarre e Sant’Agostino s’installavano i palchi delle bande musicali, che svolgevano i loro programmi tra una folla enorme che a stento permetteva di passare. 

LA FESTA. Nelle mattine del 14 e deò 15 i rituali spari e le note gaie dei passi doppi della banda di Gaetano Amatruda davano il buon giorno, mentre in ogni cucina si andava torcendo il collo ai gallucci e le massaie intensificavano i preparativi di lauti pranzi e succulenti cene, consumate queste ultime in compagnia di amici e conoscenti, sulle terrazze illuminate o davanti la porta di casa, in attesa del primo sparo dei fuochi artificiali. La sera del quattordici, rientrata verso le 22 la Madonna in Cattedrale, mentre la folla invadeva il tempio, il Maestro Luigi Nigri direttore della grande orchestra, il cui palco sovrastava la porta maggiore attaccava le note del Te Deum e il Dio sia benedetto con i cantori Giacinto Festa, Frisotti, D’Antonio, Matera, Notariello, Rizzi e altri. Terminata la funzione religiosa, le bande occupavano posto sui palchi e cominciava la passeggiata che terminava a notte alta, dopo i fuochi. Un quadro di effetto era offerto dai nostri crocesi che, al completo, lasciando in casa solo i vecchi, si riversavano sulle principali vie: gli uomini dall’immancabile vestito di zegrino nero, con pantaloni a campana, che ricordava lo sposalizio, dalle scarpe verniciate con gambali di stoffa colorata e dal cappelluccio nero sulle ventitrè; le donne inanellate, dai lunghi orecchini e pesanti collane d’oro, indossanti vaporosi abiti rosa e celeste. Per tutti era di stretto obbligo sedersi a uno delle centinaia di tavolini dei caffè, che occupavano i marciapiedi da Piazza XX Settembre a piazza Cavour, per gustare il gelato. 

LE CORSE. Grande attrattiva per i crocesi era costituita dalle corse ippiche, per le quali pur di gridare “u scazzusielle annante” avrebbero pagato qualunque somma. Infatti, nel pomeriggio del quindici, gli abitanti del popoloso e rurale rione delle Croci, nei propri carretti, ben forniti di scaldatelli, meloni, frutta, vino, in lunga fila percorrendo la polverosa strada del piano delle fosse e si dirigevano al Parco della Pila e croce. Era, questo delle corse, lo spettacolo che esercitava maggiore influenza sull’animo non soltanto dei “proletari del Tavoliere”, ma sull’intera popolazione. Alla mezzanotte del quindici, in qualche anno anche del quattordici allo sparo della prima carcassa le vie sfollavano e l’enorme massa del popolo preceduta dalle bande si avviava verso porta Cerignola per assistere all’accensione dei fuochi. In quell’ora la città illuminata a giorno, rimaneva completamente deserta, tanto che in ogni anno qualche famiglia trovava la casa visitata dai ladri. Nell’allestimento dei fuochi gareggiavano, di solito, i pirotecnici concittadini Buonpensiero e Giampietro, esponenti delle due correnti politiche locali; il primo dei vicci o detti piedi tondi, cioè i democostituzionali Salandrini elettori dell’on. Eugenio Maury e l’altro degli ogna longhe, progressisti o liberali Giolittiani elettori dell’on. Pietro Castellino. Terminati i fuochi, i festeggiamenti del Ferragosto erano ultimati, ma non ancora per i festaioli mai stanchi, perché quelli più in gamba partivano per Lucera, dove le feste in onore di S. Maria si protraevano.
(Ettore Braglia)

di Redazione