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  • Pubblicata il: 16/02/2016 13:31:36

Lo “spasso infinito” di David Foster Wallace, il film sull’autore di “Infinity Jest”

Anche a Foggia, alla Città del Cinema, “The end of The Tour”

Non farà la fortuna dei botteghini, soprattutto di quelli italiani. E non fa ridere – e riflettere, almeno così dicono – come Checco Zalone, ormai finissimo osservatore dei vizi del popolino italico – sempre loro, lo dicono. Né, meno che mai, tiene incollati davanti allo schermo per oltre due ore in attesa che quelle benedette pistole – tra un cazzo e l’altro, in senso di enunciazione, s’intende – finalmente sparino – ah, a proposito, alla fine sparano, che sorpresa! – proprio come l’ultimo film di Quentin Tarantino. Eppure, negli Stati Uniti, è stato accolto come un piccolo film-evento. E, dallo scorso week-end, è stato inserito anche nella programmazione della Città del Cinema di Foggia (ma potrebbe essere già saltato, causa le ragioni di cui sopra). Si tratta di “The End of the Tour”, il film sullo scrittore David Foster Wallace, colto durante il tour di presentazione di “Infinity Jest”, il mattone che secondo alcuni avrebbe cambiato il corso della letteratura Americana – ebbene sì, questo articolo parla di un film su uno scrittore e sul suo libro: addio lettori.

UN MATTONE DI OLTRE MILLE PAGINE. Infinity Jest è un patchwork letterario, più che un romanzo, di 1079 pagine e 388 note, scritto a 34 anni dallo scrittore americano David Foster Wallace autore, nella sua fulminante carriera, di appena due romanzi (ma di straordinarie raccolte di racconti e altrettanti “reportage letterari”). Infinity Jest, pubblicato nel ’96 (quest’anno compie vent’anni), è ambientato in un futuro prossimo che, secondo alcune teorie che ne hanno accresciuto il culto, coinciderebbe con il 2008, anno in cui David Foster Wallace si è tolto la vita per impiccagione. Infinity Jest ancora, è anche il titolo che James Incandenza, uno dei personaggi del libro, dà al suo audiovisivo (qualcosa di più di un semplice film) definito universalmente “L’intrattenimento” e in grado di produrre nei suoi spettatori un piacere fisico e una dipendenza tali da rasentare la catatonia. Infinity Jest, in ultimo, è un verso tratto dall’Amleto di Shakespeare (Atto V, Scena III) e riferito al “povero Yorick” che il principe di Danimarca, con il suo teschio in mano, ricorda letteralmente come un tipo da “spasso infinito” (o “scherzi infiniti”, a seconda della traduzione).

“COME DIVENTARE SE STESSI”. Una premessa lunga e necessariamente incompleta per, citando un altro grande della letteratura americana, provare a rispondere ad una domanda legittima: “Di cosa parliamo quando parliamo di Infinity Jest?”. Un interrogativo che (ri)sale a galla in contemporanea con l’uscita italiana (11 febbraio) del film “The End of the Tour – un viaggio con David Foster Walace”, pellicola molto attesa dai fan dello scrittore di Ithaca, presentata alla Festa del Cinema di Roma e tratta dal libro-intervista di David Lipsky. Quest’ultimo infatti, ebbe la fortuna di intervistare DFW – com’è anche noto negli States – nel corso dell’ultima parte del tour promozionale di Infinity Jest, viaggiando e chiacchierando con lui tra il 5 e il 10 marzo del 1996 (la versione italiana del suo libro si intitola “Come diventare se stessi”, minimum fax).

TRA SILENZIO E RUMORE TOTALE, LO SCRITTORE CON LA BANDANA. Il film, diretto da James Ponsoldt e interpretato da Jason Segel e Jesse Eisenberg rispettivamente nei ruoli di Wallace e Lipsky, racconta proprio questo viaggio negli Stati Uniti, provando a immortalare quello che è considerato il più geniale scrittore americano degli ultimi trent’anni, probabilmente nel momento più alto della sua capacità creativa. Capelli lunghi, bandana, spalle enormi, occhialini alla John Lennon e ventre da ex alcolista: Segel/Wallace racconta se stesso, fedele all’intervista-confessione realmente avvenuta in quei cinque giorni trascorsi con l’allora inviato della rivista Rolling Stone, Eisenberg/Lipsky. Centinaia di chilometri in macchina, reading, presentazioni, tv, dolciumi e, soprattutto, parole, idee e aspetti privati della vita di DFW, compresi i rapporti con le droghe (ha mai preso l’eroina, sì o no?) e la battaglia contro la sua più grande nemica: la depressione. Nonostante quest’ultima considerazione, il film – e il libro da cui è tratto, insieme a quello che fa da sfondo alla storia, Infinity Jest appunto – racconta la grande umanità di un genio fragile e complesso, in grado di costruire un’intera opera su – parole sue – due tipi di abisso: il Silenzio e il Rumore Totale. Come dire: uno “spasso infinito”.

di Alessandro Galano