Giordano in Jazz, “Riverside”: tutta la bellezza dei “fiati”
Ultimo concerto in rassegna sul palco del Teatro U. Giordano
Concerto intimo per intimi quello di ieri sera, martedì 28 novembre: ultimo serale in programma sul palcoscenico del Teatro U. Giordano, prima dell’ormai tradizionale gospel del 25 dicembre in Piazza C. Battisti, ultima fermata del Giordano in Jazz – Winter Edition.
NON SOLO “RIVERSIDE”. La delusione per una cornice di pubblico inferiore alle attese – come nelle parole di Mario De Vivo, tra gli organizzatori della kermesse firmata Comune di Foggia e Moody Jazz – è stata confortata da una performance che, in termini di proposta, si è donata molto al pubblico del Giordano – seconda e ultima tappa italiana, dopo Palermo, di un tour autunnale che ha toccato Londra, Parigi e Berlino. Oltre ai brani di “Riverside”, infatti, progetto sonoro nato dalla creatività dei due fiati Dave Douglas e Chet Doxas e ispirato alla musica del grande Jimmy Giuffre, il quintetto di ieri sera, completato dal batterista Jim Doxas e dal duo Steve Swallow-Carla Bley, ha proposto anche brani nuovi di zecca, sondando il terreno per quello che sarà il loro prossimo lavoro discografico. Una “chicca” – più d’una, in realtà – alla quale non sempre i grandi jazzisti cedono, tale da attestare la stima nei confronti di un pubblico e di un circuito, quello foggiano, ormai riconoscibile anche fuori dai confini più prossimi.
I FIATI PROTAGONISTI. All’energia dei primi due concerti della rassegna, dal duo Corea-Gadd all’enfant prodige Matthew Whitaker, ha fatto da contraltare un’idea di jazz più sorvegliata e di certo meno coinvolgente, concentrata in uno strutturato lavoro di composizione, come testimonia la scelta di ritagliare per la gran parte dei “solo” spazi di accompagnamento pacati, talvolta silenti. Se il duo musicale – e di vita – composto da Carla Bley e Steve Swallow rappresenta la sapienza del suono, forte di oltre cent’anni di musica complessivamente suonata, a trainare sono stati soprattutto i due fiati Douglas e Doxas, a conferma di un abito calato a loro misura e forma – in questo fedele all’insegnamento di Giuffre. Nel riprendere gli strumenti cari all’artista di Dallas poi, il sax e il clarinetto, Doxas ha omaggiato in modo significativo quel particolare linguaggio jazzistico a metà strada tra cool e free jazz, molto personale e di non semplicissima ricezione: sia da esempio il brano “View From a Bird”, dove la devozione per la tradizione diventa pura e gioiosa creatività. Nel bis “Demigods”, infine, una sintesi del modo di intendere la musica secondo Carla Bley: ottantuno anni di eleganza pianistica.