Il giorno in cui Elkann scoprì i nuovi "giovani lanzichenecchi”: ok, ma perché Foggia?
L’enigmatico articolo (e titolo) pubblicato da Repubblica
“Per loro chi era costui?” Se lo chiede Alain Elkann nell’articolo scritto durante il viaggio in treno che, qualche giorno fa, l’ha condotto da Roma a Foggia – era atteso al Libro Possibile di Vieste. Se lo chiede a proposito di un gruppetto di adolescenti presente sulla sua stessa carrozza Italo (prima classe, ovviamente). E se lo chiede, infine, definendoli lanzichenecchi – i famigerati mercenari narrati da Manzoni, quelli del feroce sacco di Roma che, nei Promessi Sposi, portarono addirittura la peste. Titolo dell’articolo: Sul treno per Foggia con i giovani “lanzichenecchi”.
IL SOSPETTO. Un titolo “acchiappa clic”, si direbbe online. Se non fosse che il pezzo compare sull’edizione del 24 luglio 2023 – anno e secolo non sono secondari – del quotidiano cartaceo la Repubblica. Di proprietà di John Elkann, figlio di Alain, pubblicato nell’area dei commenti illustri o dedicata alle storie – se di storia, qui, si può parlare. Perché acchiappa clic? Perché suona quanto meno sospetto l’accostamento, nel titolo, tra il già problematico capoluogo di Capitanata e i mercenari saccheggiatori forieri di pandemia, tanto più in un pezzo il cui centro è dato proprio da quei “ragazzi tatuati che venivano dal Nord”.
DA ROMA A FOGGIA, STAZZONANDOSI. E allora perché Foggia? “Cosa” Foggia? Misteri dei titolisti, forse. Giacché è indubbio che nell’iperuranio elkanniano siffatta figura professionale deve ancora esistere, considerando il grado di scoperte rilevate durante questa traversata infausta – meno di tre ore, tre fermate, aria condizionata e snack. Anzitutto, il buon Alain scopre che per arrivare a Foggia, da Roma, bisogna passare per Caserta e Benevento – dunque bypassando il Tagliacozzo e addio sogni di gloria federiciani! Poi, superba novizia rivelazione, apprende che i ragazzi di 16 e 17 anni parlano ad alta voce. Di calcio, persino. Nonché, udite udite, di ragazze. Di più: parlano ad altra voce di calcio e ragazze senza minimamente considerare le altre persone. Di più ancora: senza minimamente considerare “quell’altra” persona seduta tra loro “in un vestito molto stazzonato di lino blu e una camicia leggera”. Cioè lui.
LA “RECHERCHE” DI ALAIN. E qui – a parte l’utilizzo del termine “stazzonato”, la cui riemersione è forse l’unica implicita notizia fornita dal pezzo – casca l’asino. Perché l’autore dell’articolo ci tiene a contrapporsi personalmente a questi furibondi adolescenti – alcuni sono addirittura tatuati! Altri indossano nientemeno che un cappello da baseball! – attraverso un mirabolante corollario di auto-retorica. Il buon Alain ha “una cartella di cuoio marrone” dalla quale estrae i giornali. Quali? Il “Financial Times del weekend, il New York Times e Robinson, il supplemento culturale di Repubblica”. Come dire: la sua carta d’identità – censo, latitudine (è nato nella Grande Mela, mica a Ordona) e ceto sociale. Inoltre: “Stavo anche finendo di leggere il secondo volume de la Recherche du temps perdu di Proust e in particolare il capitolo Sodoma e Gomorra” – ma guarda il caso però, direbbe Vasco, giusto quel libro e giusto quel capitolo così intitolato, e indovinate un po’ chi è Sodoma e chi Gomorra?
MEGLIO LA CRONACA NERA. Infine, dopo aver scoperto che i lanzichenecchi appestatori del Nord gettano “nei vari cestini per la carta straccia lattine di Coca Cola o tè freddo” – eh, lo fanno, lo fanno – Alain Elkann conclude il suo reportage prendendo la cartella di cuoio – c’è anche un diario e una penna stilografica dentro, sic! – e scendendo dal treno. Senza salutare, tiè: “perché mi avevano dato fastidio quei giovani lanzichenecchi senza nome”. Scende qua, a Foggia. La città “con problemi” citata nell’inspiegabile titolo. Quella stessa che, se avesse un sindaco – uno presentabile però – scriverebbe a Repubblica chiedendo di tutelare il nome della città da lui rappresentata. Perché, Proust o no, forse è meglio vederla citata nella cronaca nera piuttosto che in una roba del genere – ah, quasi sfuggiva, quei fagocitatori nordici non indossavano neanche l’orologio… Mah.