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  • Pubblicata il: 29/09/2016 14:04:21

Paolo Condò, Felice Gimondi e Gigi Riva: Foggia Festival Sport Story entra nel vivo

Venerdì 30 settembre e sabato 1° ottobre: tre libri in due giorni

Paolo Condò racconta il duello dei due allenatori più vincenti degli ultimi anni. Felice Gimondi racconta la propria vicenda sportiva e umana, intrecciandola con quella del “cannibale”, il grande rivale Eddy Merckx. E Gigi Riva, giornalista dell’Espresso e scrittore, intreccia la disgregazione della Jugoslavia, la guerra e i Mondiali del 1990 in Italia. Tutto in due giorni: tre grandi libri, tre grandi personaggi, tra chi ha fatto la storia del sport e chi la racconta.

TRE LIBRI, DUE GIORNI, GRANDI PROTAGONISTI.“D’Hubert è algido, nobile, superiore e distante come Guardiola. Feraud è orgoglioso, tignoso, sanguigno ed eccessivo come Mourinho”. Paolo Condò si rifà a I duellanti di Joseph Conrad per raccontare quei 18 giorni del 2011, quando Pep e José incrociarono per quattro volte le spade. Il suo libro – alto, letterario, avvincente, l’opposto di un resoconto cronachistico – apre la “due-giorni” di libri e autori del Foggia Festival Sport Story, prima edizione di una kermesse che mette l’arte al servizio del racconto sportivo, tra libri, teatro, film e foto. Venerdì 30 settembre, ore 18.30, la celebre firma della Gazzetta dello Sport – al tempo del duello narrato inviato internazionale in terra ispanica – nonché “talent” di Sky Sport, presenta il suo Duellanti (Baldini & Castoldi), conversando con i giornalisti Michele Carelli e Raffaele Fiorella nello spazio antistante la libreria Ubik di Foggia, in Via Lanza. Un antipasto ricco in attesa dell’arrivo al traguardo di una delle leggende del ciclismo italiano, quel “Felix de Mondi” (secondo il mitico Gianni Brera) in programma alle 19.30 della stessa serata, sul medesimo palco, in coppia con Maurizio Evangelista, coautore del suo libro autobiografico dal titolo Da me in poi (Mondadori Electa, 2016). A conversare di ciclismo, rivalità e vita con Felice Gimondi – uno dei sei ciclisti ad aver vinto Giro d'Italia, Tour de France e Vuelta spagnola – sarà il presidente della Fondazione Banca del Monte, Saverio Russo (in caso di maltempo, le presentazioni di venerdì avranno luogo nella sede della Fondazione, in via Arpi).

LA JUGOSLAVIA, LA GUERRA, QUEL RIGORE E MARADONA. Al centro della serata di sabato 1° ottobre invece, ore 18.30, sempre in Via Lanza, c’è una domanda: se Faruk Hadžibegić, capitano dell’ultima nazionale slava unificata, non avesse sbagliato quel calcio di rigore nel quarto di finale contro l’Argentina di Maradona, ai Mondiali italiani del ’90, la Jugoslavia sarebbe rimasta unita? La risposta sembra facile, facilissima: il calcio è il calcio, si dirà, la Storia è la Storia. Ma il caporedattore de l’Espresso, Gigi Riva, autore dello splendido L’ultimo calcio di rigore di Faruk (Sellerio, 2016), per anni inviato di guerra nei Balcani, mette tutto in discussione e racconta, come recita il sottotitolo del libro, Una storia di calcio e di guerra, forse “seguendo” il consiglio che un certo Diego Armando Maradona gli diede al tempo di Italia ’90: “Occupati di politica internazionale, il calcio è una cosa troppo seria”. Conversa con l’autore, il giornalista Antonio Di Donna (in caso di maltempo, l’incontro avrà luogo all’interno della libreria Ubik). Per la levatura degli ospiti in programma, si rende noto infine, l’Ordine Nazionale dei Giornalisti ha accreditato gli incontri con gli autori come momenti validi alla formazione continua dei giornalisti.

IL LIBRO DUELLANTI DI PAOLO CONDO'. Nell’aprile del 2011 il Barcellona e il Real Madrid si sfidano per quattro volte in soli diciotto giorni. Una partita di campionato, una di Copa del Rey e due incontri che decideranno quale delle due compagini spagnole andrà avanti in Champion’s League. Guardiola ha tutto dalla sua parte. Il Barcellona è il suo passato e il suo presente. È cresciuto in quel club, ha saputo sviluppare in maniera geniale e autonoma gli insegnamenti di Johan Cruijff e ha dato un gioco unico, collettivo e totale alla sua squadra. Mourinho è arrivato al Real dopo l’annata trionfale del triplete interista. Ha strigliato lo spogliatoio, ne ha rotto l’equilibrio imponendosi come leader assoluto e sta tentando con tutte le sue forze di riportare i blancos alle loro antiche glorie. Entrambi hanno i propri soldati in campo. Piqué e Busquets sono l’orgoglio indipendentista catalano, Sergio Ramos la fedeltà alla corona di Spagna. Pepe è il killer freddo e spietato, Messi un ballerino velocissimo, imprendibile. Ognuno darà la vita per la propria squadra, in questa serie di incontri ravvicinatissimi che porteranno la tensione a livelli mai visti su un campo da calcio.

L'AUTOBIOGRAFIA DI FELICE GIMONDI: "DA ME IN POI". La leggenda sportiva di Gimondi non è impolverata dal tempo, il suo modo genuino di sfidare la vita è qualcosa che affascina ancora oggi. L'autorevolezza del campione si scioglie nella saggezza dell'uomo che ha sperimentato trionfi e cadute. Gimondi ha scalato tutte le montagne più terribili ma ha dovuto spesso arretrare davanti a un uomo in carne e ossa come lui. Fiammingo, insaziabile fino alla bulimia da successo: Eddy Merckx, il fenomeno più straordinario che questo sport abbia mai prodotto. A queste pagine Gimondi non ha affidato solo il racconto delle sue imprese, che sono grandi sia da vincente sia da sconfitto. Ha riletto la storia del ciclismo del dopoguerra con la sapienza di un ultrasettantenne pieno di ricordi e di ironia. Per quanto le sue analisi siano taglienti, i giudizi netti, le parole di Felice non esondano mai nell'arroganza: la modestia, eredità della sua sana cultura contadina, non gli impedisce di essere autorevole. Ancora oggi marito, padre e nonno appagato dai suoi successi, dagli affetti e da tutto quello che ha saputo costruire in una vita senza capricci - quando parla di Merckx dice "quello lì", come se volesse mantenere le distanze. E invece lui a Eddy vuole bene, ed è ricambiato; ogni tanto i due si vedono a fanno lunghe telefonate come vecchi amici. I rimpianti resteranno, ma sono nulla rispetto alla consapevolezza di aver segnato un'epoca, spartiacque tra il ciclismo degli eroi e quello dei marziani. Da lui in poi, è stata tutta un'altra storia.

L'ULTIMO RIGORE DI FARUK. UNA STORIA DI CALCIO E DI GUERRA. Nella tragica e violentissima dissoluzione della Jugoslavia un calcio di rigore sembrò contrassegnare il destino di un popolo. Un penalty divenne nei Balcani il simbolo dell’implosione di un intero Paese, e dei conflitti che sarebbero seguiti di lì a poco. Intuendo la complessità di un evento che sembrava soltanto sportivo, Gigi Riva racconta con attenzione da storico e sensibilità da narratore un tiro fatale, sbagliato il 30 giugno del 1990 a Firenze da Faruk Hadžibegić, capitano dell’ultima nazionale del Paese unito. La partita contro l’Argentina di Maradona nei quarti di finale del Mondiale italiano portò all’eliminazione di una squadra dotata di enorme talento ma dilaniata dai rinascenti odi etnici. Leggenda popolare vuole che una eventuale vittoria nella competizione avrebbe contribuito al ritorno di un nazionalismo jugoslavista e scongiurato il crollo che si sarebbe prodotto. Proprio per la sua popolarità il calcio è sempre servito al potere come strumento di propaganda. Basti pensare all’uso che Mussolini fece dei trionfi del 1934 e 1938, o a come i generali argentini sfruttarono il Mondiale in casa del 1978, durante la dittatura. Oppure, ai giorni nostri, a come lo Stato Islamico abbia deciso di colpire lo Stadio di Francia durante una partita per amplificare il suo messaggio di terrore. Ma si potrebbe sostenere che in nessun luogo come nella ex Jugoslavia il legame tra politica e sport sia stato così stretto e perverso. Attraverso la vita del protagonista e dei suoi compagni (molti dei quali diventati poi famosi in Italia, da Boban a Mihajlović, da Savićević a Bokšić, da Jozić a Katanec), si scopre il travaglio di quella rappresentativa nazionale e del suo allenatore Ivica Osim, detto «il Professore», o «l’Orso». Nelle loro gesta si specchia la disgregazione della Jugoslavia e la spregiudicatezza dei suoi leader politici, che vollero utilizzare lo sport e i suoi eroi per costruire il consenso attorno alle idee separatiste. In questo senso il calcio è stato il prologo della guerra con altri mezzi, il rettangolo verde la prova generale di una battaglia. Non a caso si attribuisce agli scontri tra i tifosi della Dinamo Zagabria e della Stella Rossa di Belgrado il primato di aver messo in scena, in uno stadio, il primo vero episodio del conflitto. Ed è nelle curve che sono stati reclutati i miliziani poi diventati tristemente famosi per la ferocia della pulizia etnica a Vukovar come a Sarajevo. Per il loro valore emblematico le vicende narrate, risalenti a un quarto di secolo fa, sono ancora tremendamente attuali. E non è così paradossale scoprire in esergo a queste pagine le parole beffarde che Diego Armando Maradona rivolse all’autore: «Occupati di politica internazionale, il calcio è una cosa troppo seria».

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di Redazione