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  • Pubblicata il: 22/05/2014 14:10:02

Le (mezze) verità di Elio Aimola su Amica

"Nel 2009 poteva ancora salvarsi". Ma glissa sulle accuse della Procura

L’architetto Elio Aimola, presidente dell'Amica SpA dal 2007 al 2010, accusato dei reati di falso in bilancio e bancarotta fraudolenta nell'inchiesta riguardante il fallimento dell'azienda (LEGGI), ha ricostruito, in una conferenza stampa convocata a pochi giorni dalle elezioni, gli avvenimenti giudiziari che lo hanno coinvolto e che riguardano la gestione della società. Lo ha fatto "per tutelare la sua immagine e per fornire la propria versione sul fallimento dell’azienda". Ma la sua ricostruzione evita di approfondire le accuse della procura.
LE PROBLEMATICHE. “Nel giugno 2007, data del mio insediamento come presidente, - ha spiegato Aimola - l’azienda si trovava: con forti sofferenze finanziarie dovute anche all’acquisto di quote di partecipazione nella Federico II, società poi fallita; con i bilanci 2005 e 2006 in perdita per un totale di 9 milioni nonostante la società fosse stata ricapitalizzata dal Comune; con la presenza di Daunia Ambiente che doveva occuparsi della raccolta differenziata, che vide l’assunzione di 100 lavoratori, tra cui ex detenuti, e che comportò all’Amica una perdita di circa 2,5 milioni di euro; con le volumetrie disponibili in discarica quasi esaurite". Questa la situazione, a detta di Aimola, trovata all'atto del suo insediamento, ma è proprio da qui che la procura muove le accuse, riferendole ai bilanci 2007-2009.
I PROGETTI REALIZZATI. MA I CONTRIBUTI ALLE PARTECIPATE? “Nonostante le grosse difficoltà tra il 2007 e il 2009 – ha sottolineato Aimola - siamo riusciti a varare un piano strategico per la raccolta differenziata, il regolamento di igiene urbana, il piano industriale, i progetti per Capitanata 2020, il riassetto societario, la ripresa dei lavori per la realizzazione dell’impianto di biostabilizzazione”. Buone azioni che però non aiutano a fare luce sui rilievi della procura. Nessun accenno, per esempio, ai contributi erogati dal 2007 al 2009 ad Amica Gestione ed Amica Energia per un totale rispettivamente di 1 milione e di 200 mila euro, distratte alle casse dell'Amica e che secondo l'accusa integrano il reato di bancarotta fraudolenta.
iL FALLIMENTO AMICA E IL "TRUCCO" CONTABILE. Aimola, tuttavia, declina ogni responsabilità sul fallimento dell'Azienda. “Tutte le questioni relative al fallimento dell’Amica SpA non sono da ricondurre a mie responsabilità. – ha dichiarato - Ho lasciato l’azienda nel 2009 dopo aver chiuso il bilancio in attivo per due anni e dopo aver effettuato una serie di progettualità. È chiaro che se il Comune non ricapitalizza l’azienda è un problema dell’amministrazione comunale, non è un problema mio in quanto presidente dell’amica”.
La versione di Aimola però difetta di alcuni particolari. Nessuna spiegazione, per esempio, sull' "alchimia" contabile che consentì di chiudere il bilancio in attivo in quei due anni e che la procura contesta. In pratica fu inserito nell'attivo patrimoniale alla voce "Impianti e macchinari" un importo di circa 10 milioni di euro, corrispondente ai costi sostenuti nei confronti dell'impresa Frisoli per i lavori di realizzazione di argini armati nella discarica di passo Breccioso, e contabilizzata una sopravvenienza attiva per i costi imputati negli anni precedenti. Senza questa "manovra" - afferma la procura - il risultato di esercizio nei bilanci 2007-2008 avrebbe registrato una perdita rispettivamente di 7milioni e di 500mila euro.
RICAPITALIZZAZIONE MAI EFFETTUATA. “Ci sono una serie di documenti e di atti che avrebbero portato alla ricapitalizzazione dell’Azienda su espressa volontà dell’amministrazione comunale. – ha tentato di difendersi Aimola – Ma le successive amministrazioni hanno deciso di non ricapitalizzare più l’azienda”. “I beni erano stati conferiti con pareri di regolarità tecnica contabile sia di Giunta che di Consiglio. Ad un certo punto – ha proseguito Aimola - sono state rilevate delle irregolarità amministrative all’interno delle delibere firmate precedentemente ma non spettava a me correggere queste irregolarità derivate da deliberazioni di Giunta e di Consiglio che erano gli organi che controllavano l’azienda”.
LE "COLPE" DI AIMOLA. Il riferimento è alle delibere di Giunta e Consiglio Comunale dell'ottobre 2007 con le quali fu stabilito di coprire le perdite dell'azienda con il conferimento di diversi immobili del valore di circa 15 milioni di euro. Tali delibere non ebbero corso poichè diversi immobili individuati non risultavano formalmente di proprietà del Comune o non potevano essere cedute. E' il caso, per esempio, del parcheggio interrato "V. Russo" ubicato di fianco al Comune e dell'impianto di biostabilizzazione. Ad Aimola, tuttavia, la procura su questo punto contesta la "colpa" di aver iscritto a bilancio tale importo come credito certo nei confronti del Comune. Un credito che, invece, non aveva ancora i requisiti per essere considerato tale.
LE DIMISSIONI? Cosa accadde al termine dell'esercizio 2009 quando ormai le perdite dell'Amica avevano superato i 20 milioni di euro? “Nel mese di dicembre 2009 - la versione di Aimola - dopo aver avuto contezza di quella che era la situazione dell’amministrazione, sia rispetto al parere espresso dal notaio, il quale diceva che non poteva essere effettuato il conferimento dei beni, sia rispetto alla questione in cui venivano riconosciuti soltanto una parte dei crediti dell’azienda, ho chiesto la liquidazione con la quale si dimette l’intero consiglio. Successivamente mi era stato chiesto di ritirare la liquidazione dell’azienda e di andare alla convocazione dell’assemblea per la costituzione degli organi sociali. E dopo aver ritirato l’istanza sia dal Tribunale che dalla Camera di Commercio ho riconvocato l’assemblea e mi sono dimesso”. Una ricostruzione, anche questa, differente da quanto risulta agli atti e che omette alcuni particolari. In primis che Aimola non ha mai rassegnato ufficialmente le dimissioni. Non è vero, inoltre, che la richiesta di liquidazione comporta le dimissioni del consiglio (che rimane, infatti, in carica per l'ordinaria amministrazione); tanto è vero che a gennaio 2010 il cda da lui presieduto ha avuto il tempo di riunirsi e di ratificare l'aumento dello stipendio del direttore generale Simone. In realtà, dopo che nel novembre 2009 il Consiglio Comunale aveva deliberato una modifica degli indirizzi nella nomina degli amministratori delle partecipate, Aimola fu revocato, così come l'intero consiglio, nel febbraio 2010 e fu nominato un amministratore unico.
L’AMICA POTEVA SALVARSI. “In quelle sedi mi è stato detto che l’azienda non sarebbe mai fallita e sta scritto negli atti e nelle carte. – ha concluso Aimola - L’azienda nel 2009 poteva ancora salvarsi perché aveva un bilancio in attivo e l’ammontare dei crediti, nei confronti del Comune, era pari a quello dei debiti. Inoltre, aveva messo in campo delle progettualità (AIA, raccolta differenziata, certificazione di qualità) che avrebbero aumentano notevolmente i ricavi ma gli interessi differenti hanno contribuito al fallimento”. Una situazione di "equilibrio", insomma, basata sulla copertura annuale delle perdite da parte del Comune. Non proprio da manuale del bravo amministratore.

di Redazione