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  • Pubblicata il: 05/06/2019 17:53:50

Facciamocene una ragione: il Foggia è in serie C. E le colpe sono di tutti. Proprio tutti...

Il fischio d'inizio di Salernitana - Venezia sancisce la fine dei sogni. Certo, nonostante l'avvio dei playout, qualcuno ancora conserva la speranza di un altro (l'ennesimo) terremoto in Serie B che possa portare a cambio format e ripescaggi. Ma in realtà, dobbiamo farcene una ragione: il Foggia è retrocesso. Meritatamente. Ed è ora di rassegnarsi, convincersene e fare tesoro di tutti gli errori commessi in questa disgraziata stagione. 

IL TEATRINO. Le "porcate" istituzionali di fine anno non si discutono. Tra ricorsi e decisioni affrettate, i vertici calcistici hanno perso, per l'ennesima volta. Il Foggia è stato (parzialmente) danneggiato e dovrà essere risarcito (almeno da un punto di vista economico). Ma fatto salvo lo schifo, scusate il termine ma non ce n'è uno migliore che possa rendere il teatrino di fine anno, il Foggia deve fare solo mea culpa. Tutte le componenti. E anche l'espressione "Sul campo ci siamo salvati" è una frase che non regge: le responsabilità di quei punti di penalizzazione sono tutte 'made in Foggia'. Il "peccato originale" è tutto lì, ma lo abbiamo commesso noi.  

TRA SANNELLA E NEMBER. E così per l'intero anno la società è stata assente. Proprio a causa delle note vicende giudiziarie, i fratelli Sannella hanno tenuto un profilo basso per l'intera stagione. C'erano, ma non parlavano. Agivano ma non si vedevano. Operavano ma non comunicavano. E hanno affidato le chiavi della società al direttore sportivo, Luca Nember, a cui hanno dato carta bianca, ma provando a togliersi qualche sfizio. Il risultato è stato un calciomercato più per la piazza che per il terreno di gioco. Più per qualche abbonamento (e liquidità) in più che per il campo. Dal Re al figliol prodigo, era una serie di ritorni a casa. E andava ammazzato il vitello più grasso, nonostante ci fosse poco da festeggiare. Quella vittoria a Benevento è stata l'unica, vera soddisfazione di una stagione calcisticamente drammatica. E ha illuso. Come aveva illuso un portiere ormai in odor di pensione, come aveva illuso mister "spanna in più", come aveva illuso l'inizio di stagione di un difensore che ha poi palesato i suoi limiti. Come avevano illuso tutti. 

LA PROSSIMA. Ma a Foggia si fa finta di non vedere. La prossima è decisiva. Ce lo siamo detti da fine gennaio, per ogni santa domenica. Ogni partita era quella del riscatto, della scossa, della ripresa. Eppure eravamo sempre lì. Perché le altre mostravano di avere un livello tecnico scarso. E quindi ci illudevamo. La prossima è decisiva. Il cambio di allenatore, le partite giocate senza tirare in porta o con la paura di non chiuderla. E puntualmente si pensava alla partita successiva. Decisiva. E si pensava ai punti che ci avrebbero ridato, eccetera eccetera. Eppure eravamo sempre lì, perché le altre erano scarse quanto (e più di noi), ma con una differenza: avevano cominciato a cacciare quella grinta che il Foggia, invece, lasciava negli spogliatoi. 

PASSIONE E SILENZI. Colpa di tutti. Colpa dei tifosi, che non hanno capito in tempo. Tanta, troppa la passione e l'amore. Quell'appuntamento fisso del giovedì ha finito per rappresentare quasi un alibi per i giocatori. Tanto i tifosi ci sono sempre. Tanto ovunque il Foggia gioca in casa. E colpa anche dei giornalisti, sì anche noi. Troppo "protettivi" verso un ambiente che invece faceva evidentemente acqua da tutte le parti. Viziare e proteggere, come i genitori di oggi che al brutto voto del figlio al posto di sgridare il bambino corrono a picchiare l'insegnante. Si guardava la pagliuzza nell'occhio - controllare la sezione dell'arbitro e i suoi precedenti, analizzare nel dettaglio le prestazioni degli altri, autoconvincersi che "ci vogliono far retrocedere" - e non si guardava la trave nel proprio: squadra senza grinta, guidata e assembrata male, iper protetta e viziata.

LA CONFERENZA. E poi, gli scontri diretti. Quei rigori sbagliati, quelle occasioni mancate, quei gol subìti con ingenuità, fino all'ultima, plateale concretizzazione di un anno maledetto: la conferenza stampa dei giocatori che assicurano impegno per le ultime tre partite. Patetico, ridicolo, surreale. Fino alla fine. Fino a quell'illusione di Verona. Il vantaggio, la rimonta e i gol mangiati che avrebbero assicurato una salvezza diretta. 

LA MAGLIA. Le altre scadenze erano speranze. I ricorsi, il punto in più, i playout avrebbero rappresentato semplicemente un'altra possibilità. Ma il Foggia è retrocesso al Bentegodi, eppure non abbiamo elaborato il lutto. Perché ci siamo illusi che qualcosa potesse ancora accadere (e in fondo, ci speriamo ancora). Invece, dobbiamo prendere coscienza. Il Foggia non ha meritato la serie B. Per colpa di tutti (ognuno con la sua fetta, più o meno grossa, di responsabilità). Eppure, chi si è reso responsabile in campo è andato via così, nel silenzio. Il morto (calcistico) in casa ce lo piangiamo noi. Loro andranno in vacanza. Ma proprio per questo, il primo grande errore da non fare nella prossima stagione è quello di idolatrare questi professionisti che scendono in campo. La maglia. Solo e soltanto la maglia rossonera. Niente partite a carte con i direttori sportivi nei club, niente ammirazione costante sui social, niente cori o striscioni ad personam, ma solo e soltanto la maglia.

di Redazione