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  • Pubblicata il: 19/06/2023 18:31:43

Troia è caduta, il Foggia come Icaro: un sogno d’ali e di nuovo il labirinto

Il mito come consolazione di una sconfitta

Cantami, o Diva, del Pelide Achille l’ira funesta. O la delusione, il pianto, lo sfranto abbandono di chi ha perso. Era a un passo, e ha perso. Ché gli dei del pallone sono così, somigliano davvero a quegli altri che dimoravano sull’Olimpo: ti portano fino in cielo, ti coprono d’ambrosia, ti indicano la porta. E poi ti ricacciano giù, a un passo.

TROIA. È quanto accaduto domenica 18 giugno al Rigamonti-Ceppi di Lecco: a prendere Troia è stata la squadra lombarda. Un assedio lungo cinquant’anni il loro, a quanto s’è detto e ripetuto: quasi che dovesse andare per forza in porto, che i numi, appunto, avessero già deciso. Eppure così non sembrava perché quando Bjarki l’ha messa, a inizio inizio, be’, Atena sembrava volgere a Meridione il suo sguardo favorevole – curioso anche che si fosse servita dell’eroe più nordico, anzi norreno, com’è detta la mitologia di quelle lontanissime lande.

L’INGANNO DI ATENA. Tutto un tranello, in realtà. Tutto un inganno. Come Ettore contro Achille, come quel famoso canto dell’Iliade, il poema della guerra: l’eroe troiano parte sconfitto ma all’inizio del duello vede Deifobo, il fratello scudiero, che gli porge la lancia da scagliare. Forse gli dei sono dalla mia, pensa Ettore: “Non mi pianterai la lancia nel dorso mentre ti fuggo”, dice, “evita la mia lancia di bronzo!”. Ma il divino figlio di Peleo la para con lo scudo e ha già in mano una nuova lancia: è Atena, proprio lei, che gliel’ha data. Colei che ha ingannato lo stesso Ettore: quando il capo d’eserciti si volta per chiedere una nuova arma, Deifobo non c’è più, non c’è mai stato. Era tutto un inganno.

IL FATO, LA SUPERBIA, LA VENDETTA. Come un gol segnato nei minuti iniziali che risistema la bilancia del fato, come un primo tempo giocato nel migliore dei modi, costringendo il nemico oltre le mura, lontano, quasi in ginocchio. Un inganno giocato ancora dagli dei che, proprio al fato, anche loro devono obbedire: è il rigore, il solo e unico tiro nella porta del Foggia in quel primo tempo di illusioni. Ed è l’hybris anche, quella parola cara ai greci attraverso la quale definivano la superbia, la tracotanza umana quando non accetta l’ordine, quando rifiuta il volere divino. A questa segue la vendetta e la vendetta è Achille che infilza Ettore, è il Lecco che nella ripresa ne fa altri due a uno stremato Foggia.

PIU’ FORTI DELL’INGIUSTIZIA. Ma quale sarebbe la superbia rossonera? Quella di aver addirittura sperato di uscire indenne dalla guerra dei play-off? Di averci, nientemeno, creduto? Chiunque l’avrebbe fatto, qualsiasi tifoso – ed Ettore stesso, c’è da scommetterci, sarebbe stato tra questi. Quattro battaglie che hanno tolto il fiato, quattro imprese sportive che hanno somigliato molto a quelle troiane, quattro duelli folli che hanno entusiasmato il popolo. Tanto da ritenersi persino più forti dell’ingiustizia, come hanno pensato in tanti dopo la prima delle due sortite finali.

IL FOGGIA COME ICARO. Se c’è un mito in grado di rappresentare questa avventura sportiva, allora questo è quello di Icaro. È il figlio di Dedalo che fugge dal labirinto con ali di cera e vola, vola, vola sempre più in alto fino a che il sole non gli scioglie le ali. Troia è caduta, la serie C è il labirinto, ma quel sogno d’ali resta: non è stato un inganno, non è stata superbia. È stato reale, a un passo e dannatamente reale.

di Alessandro Galano