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Il corredo, la sala, il nastro bianco, il dolcetto della sposa: i matrimoni di una volta... LA RUBRICA

Nuovo appuntamento con i racconti di Salvatore Aiezza

La scorsa settimana abbiamo visto, anche con un po’ di malinconia, come si organizzavano le feste e si divertivano i giovani e ragazzi della Foggia di una volta. Ma i nostri genitori? Quante volte vi sarete chiesti, magari vedendo il loro vecchio e sbiadito album fotografico delle loro nozze, come ci si sposava a Foggia nel passato; come si organizzava e com’era il giorno della feste e i locali dove si festeggiava? Al “rito nuziale” del passato è dedicata la rubrica di questa settimana. 

IL MATRIMONIO. “Mamma, papà: Io e il mio fidanzato abbiamo deciso di sposarci”. Con questa frase, i genitori, preventivamente e opportunamente fatti accomodare sul divano della vecchia camera da pranzo di una volta, apprendevano la fatidica decisione dei loro figli. Sposarsi, quaranta e più anni fa, pur essendo il più grande desiderio di figli e genitori, non era come oggi, non c’erano molte possibilità; erano poche le persone che potevano permettersi un matrimonio sfarzoso come si usa ora. I più si dovevano organizzare in modo da contenere al massimo le spese. Spesso, poi, i matrimoni erano “riparatori”: giungevano quindi inaspettati nelle famiglie, e la convivenza era qualcosa ancora lontanissimo dalla mentalità di oggi; per cui davvero occorreva fare salti mortali per metter su una festa quanto meno dignitosa. 

LA CERIMONIA. Ma lo spirito e le capacità di noi foggiani a quel tempo, erano forse più vive di oggi e, per non far dispiacere i figli, i nostri genitori e nonni erano capaci di qualsiasi sacrificio pur di fare una bella “cerimonia”. I preparativi dei matrimoni di una volta erano davvero ridotti all’essenziale, però non mancava niente, dai confetti agli orchestrali. La sposa, insieme alla mamma, la nonna e la zia nubile (zitellona, si diceva) presente in ogni famiglia, vivevano molto intensamente il tempo precedente il fatidico giorno dedicandosi in modo particolare alla “biancheria”. Il corredo era infatti, anche nelle famiglie meno abbienti, la cosa alla quale tutti tenevano particolarmente. Allora si contavano i capi, si sceglievano le lenzuola e la biancheria per arredare la camera da letto per la prima notte, si aveva cura di tenerlo un po’ fuori dalla cassapanca dove, insieme alle “palline” di naftalina, era stato rinchiuso per anni e una volta sistemato lo si metteva esposto per una settimana, prima del matrimonio, in modo che tutti potessero ammirarlo e, soprattutto, perché nessuno potesse dire che la sposa non aveva un buon corredo. 

IL CORREDO. Devo, a questo punto, aprire una parentesi su questa tradizione dedicata al corredo che, per la sposa (ma anche a volte per lo sposo), era in realtà un'arte e una “storia” che iniziava da bambina. I genitori, sin da quando nasceva la figlia femmina, non pensavano ad altro che a preparare il corredo per quando si sarebbe dovuta sposare! Ora, chi aveva la fortuna di avere in casa una persona particolarmente esperta con i ferri e l’uncinetto, il cotone, il lino, la raffia, il ricamo ecc. risolveva in parte il problema perché si provvedeva a “ricamare” asciugamano e lenzuola a mano, nella propria famiglia. Chi invece non poteva, si indebitava presso i negozi all’epoca più accorsati per acquistare i capi del corredo. A volte la spesa era piuttosto elevata e i debiti duravano tutta la vita. Più tardi, sul finire degli anni 60, cominciò un’altra tradizione, quella di acquistare il corredo dai commessi fiorentini: questi, commercianti (molto scaltri e furbi!) avevano capito che in questa parte dell’Italia il corredo era come un’istituzione e c’era da guadagnare bene, perciò scendevano una volta al mese con il loro campionario e - utilizzando il passaparola da una famiglia all’altra -, facevano loro visita convincendoli a comperare. Il pagamento avveniva poi con “comodi” bollettini postali, mensilmente. In realtà non si sarebbe più finito di pagare sino al giorno del matrimonio e anche oltre, perché c’era sempre qualcosa di nuovo o utile da prendere. 
I SUMMIT. Tornando al matrimonio, il corredo, abbiamo visto, come rappresentasse un vero e proprio “status symbol”; per chi era povero a volte era veramente l’unica cosa da poter portare in dote del futuro sposo, per questo i sacrifici si facevano volentieri. A proposito della dote, molto spesso i genitori degli sposi, specie quelli che erano proprietari di case a grandi appezzamenti di terreni, si riunivano in veri e propri “summit ” dove si curavano i dettagli dei beni che ciascuno avrebbe portato. Gli strati meno abbienti del popolo si accontentavano al massimo di mostrare ai genitori dello o della sposa, il contento del corredo e delle altre cose che si sarebbe portato in dote. La cosa avveniva, di solito, la sera della “trasuta”, cioè della conoscenza ufficiale dei consuoceri con cena compresa e utilizzo, dopo anni e anni, servizio buono! Alcuni anziani mi hanno testimoniato che per davvero, il servizio buono del loro matrimonio, lo hanno rivisto solo in quell’unica occasione della “trasuta” ufficiale del fidanzato della figlia, quando a tavola si mise il servizio di piatti con il filino d’oro e le posate argentate. Gli invitati ai matrimoni di una volta, erano molto meno di oggi, ci si limitava ai parenti più stretti, al compare di battesimo e cresima, che talvolta era già un famigliare, a qualche vecchio amico d’infanzia. 

VESTITI E INVITATI. Tuttavia alla cerimonia spesso si “intrufolavano”, naturalmente ben accetti, i vicini di casa più…intimi e qualche anziana abitante del quartiere dove risiedevano i novelli nubendi che non si perdeva mai nessun matrimonio! Le partecipazioni erano molto semplici ed erano gli sposi che andavano in giro per zii e parentado a dare la lieta novella ed invitarli. Gli abiti degli sposi di allora non erano molto diversi da quelli di oggi: vestito bianco per la sposa, ma anche a volte color ocra; vestito grigio scuro o blu’ per lo sposo, con cravatta e fazzolettino in tinta e camicia con i polsini chiusi dai gemelli avuti in regalo il giorno del battesimo. Completo “nuovo di zecca”, o “riciclato” dal proprio matrimonio invece per gli invitati maschi: grigio o blu, ma andava di moda, anche il meno nobile marrone e, agli inizi del secolo, i pantaloni alla zuava che specie tra i nostri “terrazzani” venivano utilizzati anche come abiti “buoni” per queste occasioni. La cravatta, a volte non proprio intonata, era, molto spesso, corta tanto da fermarsi a livello dell’ombelico mettendo in evidenza la “pancia” di qualcuno. L’abito della sposa invece, seppure meno appariscente di quelli di oggi, era molto ben fatto: di organza o seta, spessissimo, specie tra i meno benestanti, aveva il grande valore di essere stato fatto a mano dalla sposa stessa, dalla mamma oppure dalla nonna. Alcuni di questi abiti cuciti e ricamati a mano hanno acquistato oggi un valore grandissimo e sono gelosamente custoditi in molte cassapanche, insieme ovviamente al corredo, che verrà tramandato di madre in figlia. 

LA TRADIZIONE. Anche i veli per le confettate erano preparati dalla famiglia, che partecipava in tutta la sua comunità a questo evento dandosi da fare, ciascuno per quel che sapeva e poteva, alla sua buona riuscita. Le bomboniere non tutti potevano permettersele di “ceramica di Capodimonte” e simili. Chi poteva andava sino a Napoli per acquistarle a prezzi particolarmente convenienti. In molti dovevano arrangiarsi e le creavano in casa lavorando “di ferri e uncinetti” per creare piccoli contenitori colorati, centritavola o quello che la fantasia ispirava, ma in modo che potessero contenere i confetti. Mia nonna preparava personalmente all’uncinetto (era molto brava e per anni lavorò anche per un famoso negozio di Foggia, la Phildar, ricamando copertine, lenzuola, cestini, centrini, bavette ecc) le bomboniere ed i fazzolettini tutti coloratissimi per i matrimoni. In seguito questa tradizione, da povera, divenne “ricercata” da molti che, trovavano particolarmente originali queste bomboniere fatte a mano. Insieme alle bomboniere o, nei casi di famiglie con poche disponibilità economiche, al posto delle stesse, era consuetudine che gli sposi passassero tra gli invitati con il vassoio “buono” di famiglia, sul quale venivano messi i confetti e con un cucchiaio ne dispensassero un certo numero agli ad ognuno. 

I DOLCETTI DELLA SPOSA.  Un'altra tradizione era quella di consegnare ad ogni famiglia di invitati, al termine della festa, un cartoncino contenente dei dolcetti. Molto di moda andavano i cosiddetti “dolcetti della sposa”. Erano due palline di pan di spagna sovrapposte, farcite di crema e ricoperto di nespro; uno sciroppo di acqua e zucchero che, indurendosi, avvolgeva di color bianco ( come l’abito della sposa) il pasticcino. Ancora oggi questa usanza è molto viva nei Paesi del mostro Subappennino. Anche Il fotografo, con la sua macchinetta fotografica a “rullino”, che ogni tanto bisognava sostituire e l’immancabile flash, faceva parte della cornice festaiola dei matrimoni. Non c’era molto da scegliere a quel tempo, i fotografi si contavano sulle dita di una mano ed erano quasi considerati persone di famiglia. Immortalava i momenti più belli e commoventi, ma senza esagerare con centinaia di foto, come si usa oggi (oltre ai cd,dvd, effetti speciali e quant’altro). Uno di questi momenti era in chiesa durante la celebrazione religiosa. L’altro momento di forte commozione era, soprattutto per i genitori degli sposi, quello delle foto che si facevano in casa intorno al tavolo della stanza “buona”, accessibile solo in rare occasioni, con il suo pavimento di marmo tirato a lucido dove ci si poteva specchiare. Era la prima foto ufficiale della sposa o dello sposo in abito nuziale. E anche quella che significava la definitiva uscita dalla famiglia e dalla casa, dei figli. La sequenza fotografica aveva una gerarchia ben precisa: prima lo sposo o la sposa da sola, poi quella con la o le nonne, dopo con i genitori, quindi con fratelli e sorelle e, infine, con i testimoni. Dopo le foto la casa veniva aperta ai vicini e a quanti non avrebbero partecipato alla cerimonia, ai quali venivano offerti dolci (paste secche, biscotti fati in casa) e liquori, sempre casalinghi, che facevano bella mostra di sé sul tavolo insieme ai regali ricevuti dagli spose e come ho già detto, il corredo “esposto”. 

LA LISTA NOZZE. E’ inutile dire che le liste di nozze erano ben al di là da venire e perciò i “duplicati” dei regali non mancavano, anche se in genere, tra mamma e suocera, si cercava di spargere la voce fra gli invitati su quale fosse il regalo più utile o necessario agli sposi. Si tenga peraltro presente che non erano rari i casi, anzi tutt’altro, in cui gli sposi sarebbero rimasti ad abitare nella casa materna o paterna; vuoi per motivi economici; vuoi perché il nuovo nucleo familiare stava ancora finendo di costruirsi la casa che veniva su un po' alla volta, quando i soldi lo permettevano; vuoi ancora perché a volte le case di famiglia, specie di quelli benestanti, erano molto grandi, se non dei veri e propri palazzotti e permettevano l’abitazione di più persone. Dopo le foto, il padre prendeva la sposa sotto il braccio e si formava un vero e proprio corteo che, a piedi (il tempo delle auto verrà più tardi), si incamminava verso la chiesa. Durante il tragitto, proprio come una processione, al corteo nuziale si aggiungevano altre persone, mentre dai lati della strada e dai balconi, si applaudiva al passaggio degli sposi e si lanciavano confetti e l’immancabile riso. Il corteo si riformava subito dopo la cerimonia in chiesa e l’immancabile foto sulla scalinata con tutta la parentela e si avviava verso la “sala” dove si sarebbe tenuta la festa. 

IL NASTRO. Durante il percorso, specie nei quartieri storici e quelli più vecchi di Foggia, poco e spesso bisognava fermarsi perché gli abitanti ponevano un nastro bianco all’estremità della strada che gli sposi, incrociando le mani, dovevano tagliare. Era questa una forma di augurio molto in voga allora. Seguiva l’immancabile lancio di confetti e petali di fiori. Dopo questo “tortuoso” ma “felice” percorso, si giungeva dunque alla mitica “sala” dove si sarebbe celebrata la festa. Sino agli albori degli anni 60 la festa nuziale (il pranzo di oggi) si faceva in apposite sale che venivano fittate per l’occasione. Non tutti però potevano permettersi la sala e in tanti, specie a ridosso delle due guerre mondiali e subito dopo di esse, tornavano a casa dove si festeggiava molto modestamente tra pochi intimi. In taluni casi, le persone che vivevano in bei palazzi signorili organizzavano invece la festa nei loro ampi saloni. I nostri concittadini andavano dunque, chi poteva, in queste famose e oramai storiche sale. Nella nostra città tutti noi ricordiamo certamente, per essere stata una tra le più famose, la sala Eden, che si trovava sotto il mitico palazzo Antenozio, in Via Fuiani, poco prima del distretto militare. Nella sala Eden si sono celebrate centinaia di nozze e buona parte dei foggiani sono passati da lì; per esservi stati invitati o per avervi fatto la festa del proprio matrimonio. La sala veniva affittata anche per altre feste: comunioni, battesimi, compleanni ecc. Oggi al suo posto c’è un garage! Oltre alla sala Eden, c’era Villa Maria, nei pressi di Piazza Padre Pio, alle spalle degli attuali giardini; di proprietà degli odierni gestori del “Bar Delle Rose” e spesso proprio con, uno dei titolari, ci soffermiamo ancora a parlare dei vecchi tempi e della loro sala dove ebbi tra l’altro il piacere di festeggiare il battesimo dei miei due gemelli, dei quali uno purtroppo prematuramente scomparso. C’era poi l’accorsatissima sala De Filippo, in Viale Ofanto, nei pressi della corrispondenza con l’attuale Viale Michelangelo e, sul viale della Stazione, subito dopo la guerra e per una decina di anni ci fu la Sala Imbriani. Molti anziani ricordano ancora la sala Majestic, a Viale Ofanto e la sala al piano interrato del Bar Haiti. 

IN PROVINCIA. Accanto ad esse nacquero poi le più grandi e più moderne sale Sarti e Cicolella annesse ai rispettivi hotel. Era rarissimo che si andasse fuori Foggia per festeggiare il matrimonio. Un notevole successo ebbe negli anni 70/80 la sala per matrimoni di Accadia, di proprietà del Cavaliere del Lavoro Giuseppe Sacchitela. Uno dei primissimi alberghi della nostra provincia con una sala, dove ben presto anche molte famiglie foggiane ( ve ne furono alcune anche di censo elevate), celebrarono il proprio giorno di nozze: l’arredamento e i banchetti delle sale per ricevimenti, erano ovviamente quello di un tempo e rispettavano le condizioni economiche del dopoguerra: spartano ma molto ben tenuto; pulito, completo di tutto ciò che poteva bastare per i bisogni degli sposi di allora. Non crediate infatti che si facessero lussuosi banchetti. Questi si limitavano ai dolci, per lo più pasticceria secca, che veniva ordinata nei bar più famosi della città. Per chi poteva permetterselo, perché magari li produceva per la propria famiglia, si aggiungeva un taglio di salsiccia casereccia e formaggio del proprio allevamento. A volte si potevano ordinare al Bar Casiello le famose cassate che venivano poste in contenitori di metallo ghiacciati e bisognava stare attenti a non prenderli a mani nude perchè altrimenti queste si appiccicavano e per staccale era necessario mettere mani e contenitore sotto l’acqua. Il vino era quello di cantina; prodotto dallo sposo o da qualche parente e bagnava il rinfresco. La solita torta e lo spumante (molto spesso era vino spumante, cioè fermentato e fatto scorrere in teli di sacco a forma di imbuto dal quale goccia a goccia scendeva il frutto delle viti) chiudevano i festeggiamenti. Quello che non mancava mai era la musica. Fisarmonica, chitarra o mandolino e tamburello, allietavano sino al pomeriggio gli invitati con balli, tarantelle, quadriglie e canzonieri. Il bello di queste feste era che davvero tutti si stringevano agli sposi i quali erano sempre al centro della festa e, come si direbbe oggi, parafrasando una nota pubblicità: “tutto ruotava intorno a loro” Solo sul finire degli anni 60 qualche sala cominciò ad attrezzarsi con vere e proprie cucine per preparare dei rustici, pizza e qualche primo piatto caldo ma sempre di modesta entità e pretesa. Per esempio il 7 marzo 1964 in occasione delle nozze di una mia zia, mi racconta, al Sarti furono serviti, una delle prime volte, i timballetti al forno. Erano comunque i segni dei nuovi…albori che avrebbero visto in poco tempo la nascita delle moderne super attrezzate sale da (…multi)ricevimenti nelle quali, seduti in 6, 8 o anche 10 persone intorno a vari tavoli, si tengono oggi interminabili pranzi che, se non fosse per la foto di rito o per il “passaggio” degli sposi, preoccupati di sapere se tutto vada bene, ci farebbero persino dimenticare che stiamo partecipando ad una grande festa. Questo è senz’altro al passo con la modernità ma paghiamo ad essa, a parer mio, lo scotto di quella sana semplicità ed armoniosità dei matrimoni di una volta.
(Salvatore Agostino Aiezza)

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di Redazione 


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