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'Pci', tra segreti e confessioni pulp: "Quanto mi dai se ti uccido?" (ma solo a teatro)

Chiarello mescola sangue e poesia, ottenendo applausi

Se fossimo in uno studio psichiatrico forse parleremmo di patologia bipolare o schizofrenia. Ma poiché il nostro ambito di riferimento è quello teatrale - un palcoscenico, chiuso da tre pareti nere – possiamo tranquillizzare gli animi: stiamo parliando delle due anime di un personaggio tanto folle e pericoloso (un serial killer, per di più insofferente e permaloso), quanto profondo e sensibile (uno scrittore nottambulo, innamorato della sua Luna: una donna o una affascinante proiezione di sicurezza e protezione?).
FIORI E PISTOLE, POESIA E FOLLIA. Nella mano destra un revolver, il colpo è sempre in canna; nella sinistra una rosa rossa. Si presenta così l’uomo dalle due anime, protagonista senza nome interpretato da Ippolito Chiarello, istrionico attore salentino che, lo scorso fine settimana, ha presentato al pubblico del Piccolo teatro impertinente “Quanto mi dai se ti uccido?”, studio teatrale liberamente ispirato all’omonima raccolta di storie, una mitragliata pulp firmata Walter Spennato ed edita da Besa.
Uno spettacolo folle e poetico, come il suo protagonista, capace di coinvolgere il pubblico – sia passivamente, ovvero come spettatori, che attivamente, ovvero come co-attori, direttamente sul palco – e di tenerlo sulla corda, fino alla fine dello spettacolo.
UNA PARTECIPATA CONFESSIONE PULP. Una confessione o piuttosto una ammissione di colpa, quella dello scrittore-serial killer che mette a nudo, sul palco, la deriva morbosa e pruriginosa di certa informazione (tra tv e carta stampata) che sguazza senza rispetto nel sangue e nell’odio alla base dei principali fatti di cronaca.
Sul palco, illuminato da tre fari, solo Chiarello con una rosa rossa e una pistola. Tanto basta per uno spettacolo che oltrepassa spesso la “quarta parete”, ma senza invadenza. Al contrario, l’attore salentino risulta sempre “giusto” e “dosato”, un funambolo sul filo sospeso tra eccesso e misura. Capacità, questa, sicuramente affinata grazie al progetto di Barbonaggio Teatrale che lo ha visto recentemente impegnato nelle piazze leccesi alla ricerca di un punto di contatto, reale e concreto, con il pubblico.
IDENTIKIT DEL POETA-SERIAL KILLER. Il carattere della denuncia, se così possiamo definirlo, è però nel retrogusto dei sorrisi – a volte sinceri, a volte amari – che lo spettacolo regala per tutta la sua durata, alternando momenti di ilare comicità a parentesi più introspettive. Dal serial killer consumato e mai sazio allo scrittore e viceversa: numerosi indizi si affastellano sul palco per costruire l’identikit del protagonista. Ma la verità è spesso sfuggevole, come la cronaca, ed il finale aperto: di certo c’è un uomo che scrive per la necessità di esorcizzare il sangue e la morte, simboli che ci appartengono sin dall’infanzia al punto che gli spari, oggi, non fanno quasi più rumore.
Ecco dunque che la carrellata di omicidi cambia volto e forma: forse non sono stati mai commessi, se non sulla carta, oppure sono semplicemente scivolati in sordina, in quella spirale violenta di una rinnovata “Legge del Taglione” in nome della quale l’omicidio diventa “show televisivo”, business per avvocati catodici, vetrina per falsi criminologi, meta per gite dell’orrore. Materia per uno spettacolo teatrale, anche. A tratti folle, a tratti poetico.

di Redazione 


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