"Caro ragazzo della notturna 3"... lettera ai giovani alla ricerca di un futuro

di Claudio de Martino

Caro ragazzo che non conosco, scrivo a te, che mi sei davanti, sulla circolare notturna numero 3, che accompagna orde di tuoi coetanei dalle periferie verso il centro e viceversa, e me, di ritorno dallo studio, una sera in cui ho fatto troppo tardi.

IL GESTACCIO. Allunghi le gambe sul sedile di fronte al tuo, un sedile in stoffa che si sporca facilmente, un sedile di un autobus relativamente giovane, rispetto alle carcasse che ancora circolano per la città. Noti forse il mio sguardo infastidito e le ritrai un attimo, poi ti concentri sul tuo smartphone, scambi due parole con un amico e, giunto all'altezza di Viale Europa, scendi dalla circolare e saluti noi tutti con un gestaccio, con il dito medio.

IL SENSO. Caro ragazzo che non conosco, trovare un senso a quindici anni è forse impossibile. Tu cerchi un senso nei tuoi pantaloni larghi e nell'odio verso chi ti circonda. Io lo cercavo nella curva di uno stadio e nei risultati a scuola, e non era mica così diverso. Poi, a diciannove anni, come un fulmine a ciel sereno, l'ho trovato negli occhi lucidi di un polacco ubriaco, a cui Antonio offriva un bicchiere di latte caldo, davanti alla stazione ferroviaria. Quello sorrise, strinse a sé il bicchiere e baciò Antonio su una guancia, ebbro di felicità. Lì ho iniziato a dare una risposta alla domanda “a chi sono utile?”, una domanda che mi perseguita da sempre e dalla quale provo a fuggire ancora oggi. Forse il tuo senso è dove sei appena sceso, caro ragazzo della notturna 3, in uno straniero costretto a chiedere l'elemosina, o in un coetaneo su di una carrozzina, o nei tuoi genitori che ti aspettano in piedi impazienti. O forse semplicemente in una ragazza che ti voglia bene come tu oggi non ami nessuno.

IL VOLONTARIATO. Sai, a trentatré anni uno inizia a chiedersi se la strada imboccata sia quella giusta. Perchè “è triste trovarsi adulti senza essere cresciuti”, come quel Giudice troppo basso descritto da De Andrè. Ti guardi allo specchio e vedi sempre quel ragazzino quindicenne timido e imbranato, alla ricerca di un senso, nel corpo ben vestito di un avvocato. Non mi vergogno a dirtelo: a me il volontariato ha cambiato la vita. Si, lo so che stai pensando. Quello che pensavo anch'io, quando mio fratello mi parlava di volontariato: preti anziani, sorrisi da Telethon, soldi in beneficenza, lavaggi di coscienza. Nulla di tutto ciò. A me ha cambiato la vita un gruppo di amici che nel servizio agli altri ha investito tutto, mettendosi in gioco, provando a inventarsi di sana pianta idee, iniziative, progetti, contando solo sulla forza del gruppo e (per chi ci crede) sulla Provvidenza di Dio. E il tutto non per sé, ma per gli altri, senza tornaconti personali di nessuna natura, tantomeno economica. A me la follia di quei volontari, che chiamammo Fratelli della Stazione, ha salvato la vita. Una vita che si incanalava come e peggio di altre, in un tran-tran di lavoro, amicizie più o meno vere e famiglia. E senza quel primo gennaio del 2002, oggi non sarei qui, a farti la paternale.

RENDERSI UTILE. Caro ragazzo della notturna 3, io un senso credo d'averlo trovato. E il mio senso è quello di non assistere inerme al mondo che mi sta attorno, ma di diventarne protagonista, in qualche modo, anche a costo di tornare tardi la sera e sacrificare il tempo libero. Per il gusto di poter dire a me stesso, prima che agli altri, che le cose erano in un certo modo, erano sbagliate, e io ho contribuito a cambiarle. Io ho scelto di occuparmi dei poveri, anzi i poveri hanno scelto me (e tanti altri). Ma quello che oggi voglio augurarti, mentre ti scorgo ancora in lontananza attraversare un prato, è di trovare la tua strada, ma soprattutto di cercarla sempre, come nel buio di stanotte, muovendoti a tentoni fino a trovarla. Pensaci, se ti va, uagliò. E leva i piedi dal sedile la prossima volta.


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