27 gennaio, la giornata del ricordo

"Azioni e tradizioni" di Pino Donatacci

IL RICORDO. Come ogni anno, in questa circostanza, ci soffermiamo a  riflettere sui temi della guerra e sulle cause della shoah. Vorrei partire da una riflessione sull’etimo della parola RICORDO. Il termine “ricordare”, secondo il dizionario etimologico della lingua italiana, è composto da re- e cor, cuore, considerato la sede naturale della memoria.
L’etimologia ci consente di interpretare il carattere dominante della comunità da cui una determinata parola proviene. Come l’archeologia  si serve dell’interpretazione dei manufatti per risalire alle epoche di vita dei popoli, l’etimologia scava nella semantica fino a trovare l’origine che ha dato causa ad una parola.
Se, dunque, l’etimologia ci svela aspetti antropologici del carattere di un popolo,  possiamo dedurre che per i nostri avi tutto ciò che meritava di essere ricordato trovava spazio nel cuore. La memoria era considerata un sentimento fin troppo nobile se pensiamo che dal cuore, anticamente, nasceva il sentimento per antonomasia: l’amore. Con un sillogismo possiamo stabilire che il ricordo è legato indissolubilmente all’amore e questo è ancor più vero se riflettiamo sul fatto che le cose che ci stanno più a cuore non è possibile dimenticarle.
I paesi anglofoni, invece, traducono ricordo con REMEMBER, spostando nella sede della ragione, quindi nel corpo, in regioni periferiche come le membra, il luogo della memoria.
Questo spiega perché noi italiani siamo famosi nel mondo per la grande sensibilità che sappiamo dimostrare nelle più svariate occasioni e per il forte sentimento.
Parlare del ricordo, nel contesto storico attuale è alquanto pertinente e scoprire che la memoria è molto vicina al cuore ci dovrebbe indurre a riflettere.
“L’uomo nuovo” che tutta l’Europa ha invocato all’indomani della seconda guerra mondiale, aumenta, col passare del tempo, sempre più la distanza tra la sua testa ed il cuore, vivendo all’insegna dell’egoismo e dell’intolleranza, soprattutto per il diverso.
Il ricordo è fondamentale per attestare l’identità di un popolo, di un’etnia; esso passa attraverso diverse forme: dal racconto orale alle danze e alla musica, ovvero attraverso scrittori, poeti e cantanti che hanno affermato la coscienza di un popolo.
I PREGIUDIZI. Quello che è accaduto durante la seconda guerra mondiale, con la costruzione di campi di sterminio e deportazioni forzate, è potuto succedere perché l’uomo aveva subìto una crisi di valori. Quando i valori non ci accompagnano durante le nostre scelte di vita, i pregiudizi ci attaccano e ci contagiano, proprio come un’influenza. Sono le persone che ci stanno più vicine, delle quali più ci fidiamo che ce li trasmettono, proprio come l’influenza, ed a furia di sentir dire luoghi comuni, li ripetiamo senza neanche troppo pensarci. Un esempio è il pregiudizio sugli zingari: non sappiamo niente di loro, di come vivono, delle loro tradizioni, eppure esprimiamo giudizi pesanti nei loro confronti. Confondiamo con molta approssimazione i rom con i rumeni solo perché “suonano” simili, dimenticando che non tutti i rumeni sono rom. Ma la cultura rom è una cultura variegata, ricca di simboli astrali, ricca di suoni e danze che sono potute giungere fino ad oggi grazie alla caratteristica più spiccata di questo popolo: il nomadismo. La nostra cultura occidentale non ha perso tempo a sostituire il termine “nomadismo” con un termine medico “dromomania” che in sostanza indica lo stesso significato del primo, ma si riferisce ad una malattia. Secondo il dizionario medico la dromomania è la mania dello spostamento continuo, del viaggiare sempre, di non trovare pace in nessun luogo e di camminare freneticamente senza una meta precisa. Si dimentica, però, che le prime comunità di ominidi erano nomadi e che l’impellente voglia di viaggiare intesa come massimo divertimento e libertà dall’uomo del XX° secolo è da attribuirsi a questa reminiscenza primordiale. La parola zingaro, come noi chiamiamo i rom, fu coniata da Erodoto  che chiamò zinganoi il popolo nomade di provenienza indiana. Gli zingari, infatti, hanno origini ancora oggi molto dubbie, ma il fatto che la loro lingua, il loro idioma fosse molto simile al sanscrito, avvalora, secondo me, la tesi della provenienza indiana. Il popolo rom trasmette ancora oggi la sua cultura attraverso il racconto, non lasciando mai niente di scritto. Per questo motivo, sugli zingari uccisi nei campi di sterminio nazisti non abbiamo testimonianze e il nostro pregiudizio nei loro confronti continua a renderli invisibili ai nostri occhi.
UN NOBEL AI ROM. Il popolo rom, secondo alcuni uomini di cultura dovrebbe avere il premio Nobel per la pace per evidenziare come fosse possibile girare il mondo in lungo e in largo senza possedere un esercito e senza esercitare la proprietà privata. Ma assegnare il Nobel al popolo rom sarebbe scomodo per alcune nazioni che si nascondono giustificando la mancanza dei confini geografici dei rom e quindi l’impossibilità di considerare Stato o Nazione un popolo.
Quando saremo capaci di considerare un popolo dalla espressione della propria cultura e non dalla possibilità di dimostrare un esercito, avremo per sempre abbattuto il pregiudizio e compreso che accogliere l’altro significa scoprire le radici profonde della storia dell’Umanità.


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