Dedicato a Chi / non c’è più / e a Chi lotta per / continuare ad esserci. Con questa affermazione si apre 42 voci per la pace (Nomos Edizioni, 2015), un libro edito con Pontedilegno MirellaCultura per ricordare il centenario della Grande Guerra in un contesto dove la stessa viene ancora raccontata col nome di guerra bianca, e dove ancora si racconta del disastroso incendio del 27 settembre 1917 a Ponte di Legno, oggi rinomata località turistica. Sono ben 42 i poeti inclusi nella nuova antologia voluta da PontediLegno MirellaCultura in occasione del centenario dalla Grande Guerra. Nel coro di voci per la Pace, ogni poesia è arricchita e accompagnata da un disegno dell’artista Edoardo Nonelli. Nel dettaglio i poeti coinvolti sono:
Franco Loi, Amedeo Anelli, Lino Angiuli, Rosario Aveni, Donatella Bisutti, Sandro Boccardi, Marisa Brecciaroli, Tiziano Broggiato, Luigi Cannillo, Maddalena Capalbi, Anna Maria Carpi, Emilio Coco, Gabriella Coletti, Rosa Maria Corti, Flaminia Cruciani, Annita Di Mineo, Curzia Ferrari, Laura Garavaglia, Gianni Gasparini, Graziano Gismondi, Giuseppe Grattacaso, Franca Grisoni, Eloisa Guarracino, Vincenzo Guarracino, Tomaso Kemeny, Giuseppe Langella, Gianpaolo G. Mastropasqua, Matteo Munaretto, Meeten Nasr, Alessandra Paganardi, Fabio Pusterla, Alessandro Quattrone, Alessandro Rivali, Mario Rondi, Pierangela Rossi, Fabio Scotto, Ambra Simeone, Fausta Squatriti, Alberto Toni, Alfredo Tradigo, Adam Vaccaro, Silvia Venuti.
(dalla prefazione di Eugenio Fontana)
Era l’auspicio, anzi la convinzione profonda di Fëdor Dostoevskij. La poesia è per definizione canto, bellezza, luce sulle strade spesso tortuose e crudeli degli uomini. L’idea è di celebrare i cento anni della Prima Guerra Mondiale – di quella guerra che ha conosciuto qui sulle nostre montagne adamelline il più alto fronte d’Europa – che ha visto svolgersi, in condizioni quasi impossibili, sicuramente proibitive, battaglie segnate dalla doppia sfida contro la natura e contro il nemico, che ha registrato il coraggio e l’ardimento dei comandanti e dei semplici soldati-alpini, che ha reso leggendari i nomi di conca Presena, del Lagoscuro, del Cavento, delle Lobbie, che ha ferito nel profondo della propria anima e civiltà Ponte di Legno bombardandola e incendiandola il 27 settembre 1917; ebbene Ponte di Legno o, più esattamente MirellaCultura, ha scelto una forma davvero originale, unica e coraggiosa per celebrare il centenario: affidare alla poesia, secondo le modalità che le sono proprie, il compito di riaccendere e tener viva la memoria di quegli avvenimenti lontani, dentro contesti di speranza. […]Desidero con forza ribadire la novità dell’iniziativa dalignese che ha il suo ispiratore in Andrea Bulferetti e che, unita al Premio Nazionale di Poesia, fa di questa stazione di villeggiatura – Ponte di Legno – un porto sicuro nel cuore delle Alpi, un luogo ove è rifiorita la poesia, chiamando a raccolta le tante voci che per l’Italia ancora credono nel detto dostoevskijano: la bellezza salverà il mondo. E taluno avverte anche che non siamo soli sui sentieri del dolore.
[…]
alcune poesie dal libro:
FRANCO LOI
Se vardi el mund
Se vardi el mund, ven sü un olter mund
uh quanti mort! quant’àrbur ch’àn s’cincâ!
câ növ, alter culur del mar, e altra gent,
e facc che rìdd, ch’j canta, e tanta vöja
de vèss fradèj al mund… Ah mì nel vent!
mì che sun pü mì, aria che rìdd la föja
e tütt me gira inturna malament
Sé gh’era d’inscì bèll ne la memoria?
Mancava el pan, mancava el vulavent,
rübaum legna per scaldàss la storia
di mort in strada, di nost amîs massâ,
ma gh’evum dent’na vöja de baldoria
lassàs aj spall el dulur passâ,
el vurèss ben, sugnass un diu in gloria
e bév la vita’me füdèss champagn.
Se guardo il mondo
Se guardo il mondo, emerge un altro mondo
uh quanti morti! quanti alberi hanno troncato!
case nuove, altri colori del mare, e altra gente,
e facce pallide che ridono, che cantano, e tanta voglia
di essere fratelli al mondo… Ah io nel vento!
io che non sono più io, aria che ride la foglia
e tutto mi gira intorno malamente
Cosa c’era di così bello nella memoria?
Mancava il pane, mancavano le comodità,
rubavamo la legna per lenire la storia
dei morti in strada, dei nostri amici uccisi,
ma avevamo dentro una voglia di gioia
lasciarci alle spalle ogni dolore vissuto,
il volersi bene, sognarsi un dio in gloria
e bere la vita come fosse champagne.
LINO ANGIULI
IOLANDA B. (1919-1948)
Ma cè ne sa? Cè ne sa tu du viende
c’auande e abbotte totte le semiende
cioffe de ianeme e cuerpe acciaffe
e le ‘ndrettogghie che na bella raffie
Carresce la vambe ca cosce e abbrusce
appicce e stute lambe e vusce
a masce po’ m’arrechreiesce u asce.
Iè discia disce. Ma e po’ ma se strusce
Nann’u squadrà jind’all’uecchie iè pesce.
Invesce cunde cecate fin’a da desce
alliende le diende e siende. U siende?
ci è belle a fa la pasce cu viende?
IOLANDA B. (1919-1948)
Ma che ne sai? Che ne sai tu del vento
che prende e gonfia tutte le sementi
ciuffi di anime e corpi acciuffa
e li attorciglia con una bella rafia
Carreggia la vampa che cuoce e brucia
appiccia e stuta lampade e voci
a maggio poi mi ricrea il giaciglio.
È chiacchierone. Mai e poi mai si strugge
Non lo squadrare negli occhi è peggio.
Invece conta cecato fino a dieci
allenta i denti e senti. Lo senti?
com’è bello fare la pace col vento?
ANNA MARIA CARPI
BIANCO SI DICE BAN
IN GAELICO, LA LINGUA DEI MIEI AVI,
GLI IRLANDESI,
QUIETI E FEDELI A CRISTO SULLO SHANNON.
Si tramanda di uno, nono secolo –
un vecchio, un monaco:
è comoda la cella e i manoscritti abbondano
e per compagno ha un gatto, il bianco Pangur,
che sta seduto a una certa distanza,
lo sguardo fisso a un punto:
“Ban, cosa vedi? perché fai le fusa?
Tu vedi Dio, è vero?
Io dovrò aspettare,
per fortuna ho da leggere”.
Solo di tanto in tanto alza la testa
soprapensiero il vecchio
e si guarda le mani,
poi intinge la penna e va sul margine
del sacro testo:
ha trovato da aggiungervi qualcosa.
Se gli cade una macchia,
frega col dito per mandarla via,
ma poi alza le spalle:
“Diglielo, Ban,
anche la macchia viene da lui”.
Nota dell’Autrice:
questa poesia, che congiunge l’innocenza animale con la speranza cristiana, è
un sogno o un’ipotesi di pace per il nostro angosciato Sé di questi tempi.
FABIO PUSTERLA
I
Iris Argeman di porpora, fitto viola
sulle Iture quasi deserte come un papavero
in lacrime in fuga, e lontano lampeggia il corso
lentissimo del Giordano, da lago
verso lago, da mar morto a mar morto, lontano
lingue di fuoco e muri chiudono i territori
feriti, in una bolla d’esclusione; Ciascuno
conta i suoi morti qui,
le sue vergogne.
II
Ma queste sabbie, le piste
Tra rocce antiche e perduti santuari,
i rivoli d’acqua che cercano uno sfogo e colano
da altezze modeste a modeste bassure.
con l’umiltà del dattero e della capra.
della pietra e dell’asino,
caparbie nel trovare
angusta una via più semplice per crescere,
un destino…
FABIO SCOTTO
La cometa
Il fiume scende
d’acqua e sangue
corpi ammassati
di lager e trincea
Il secolo breve ha prodotto scorie
nelle menti malate dei suoi satrapi
cose che capitano
cose che decapitano
Ora altri dèi ciechi
incappucciati annunciano al mondo
nuove palingenesi
brandendo il coltello o la mannaia
(esplodono nei mercati,
come mortaretti,
le ragazzine-bomba tra i carretti…)
Ma pace vuol dire
a contro-morte sempre
Vedere sé nell’altro e riconoscersi
Eppure il morbo insiste ovunque,
oscura peste,
da Orano ad oggi,
acceca i cuori e reca nuova morte
Sia la cometa
che s’alza dai campi dilaniati
il ramo che un bimbo porge
ad una stella
Da
42 voci per la pace (Nomos Edizioni, 2015)