Quanto al silenzio biografico dell'autore, non si può invece dire che egli sia stato un'anima taciturna, anzi, il suo carattere indomito lo ha portato, a soli vent'anni, ad imbarcarsi per l'Africa, dove vi ha passato ben dieci anni (una sorta di Rimbaudiana reminiscenza) per poi ritornare nel paese natio, soggiornando per un periodo a San Patrignano, e per dedicarsi definitivamente, come fa tutt'ora, alla poesia, ribadisco, da un luogo imprecisato dell'anima, sempre con discrezione e maneggiando il silenzio come antidoto al male quotidiano. Dopo appunto molti anni di silenzio letterario è uscita, nel 2013, con l’aggiunta di alcune poesie inedite, l’opera antologica «Dei corvi e delle spighe» (Di Felice edizioni, collana "Il Gabbiere", diretta da Sante De Pasqale) proprio di Antonio Camaioni, “Poeta avventuriero e ribelle: proprio come Arthur Rimbaud, compie un viaggio in Africa che dura più di dieci anni. Poeta notturno: proprio come Dino campana… Testimone inquieto e interprete radicale dell’essere..” (dalla bella prefazione di Valeria Di Felice).
La poesia di Antonio Camaioni vive del suo precipitato lirico, così pieno di rimandi e di strappi metaforici e sintattici, passando tra le varie forme ora con tumulto passionale, ora con consapevolezza nitida e piana, sempre marchiando il ritmo con un simbolismo oscuro però suadente. Gli intrecci e i rimandi ad una certa produzione quale quella di Campana o di Celan, o proprio ricordando il già citato Rimbaud o anche volendo Baudelaire o Whitman, si annidano a questo singolare dire metalirico che, senza alcun timore musicale e panico, si fa fuori da ogni scuola contemporanea, e trova una sua strada autonoma e precisa, che assurge a delirio e grido d'invettiva contro la propria condanna umana. La scuola di questo poeta rimane la strada, la durezza intrapresa appunto nei viaggi, non solo fisici, al quale il Camaioni è stato abituato durante la sua esistenza, e che non sembrano abbandonare, tramite il loro influsso magico, la parola poetica dell'autore, che si fa dunque poesia dell'erranza divina e del ritorno. Un poeta non facile da penetrare, ma davvero denso e vivo, come pochi, proprio per questa sua tellurica modulazione iper poetica e spiazzante, così sperduta e scantonata dal variegato mondo della "poesia" odierna.
*
Solo stelo
la parola -
radici ai vortici
cresce, s'infiora -
se appena un soffio -
dei tremori suoi...
e ali
i suoi petali
ai tuoi involi: osali!
le più leggiere, credi,
delle croci.
*
E franto, d'improvviso,
l'orizzonte impietrito de l'attesa:
dal ghigno
d'un dio coagulo
di nembi - conflagranti
su atterriti verdi crinali
sprofondanti
in sepolcrali nebbie -
e lontano,
lontano, laggiù,
in foschi albumi
tuorli di lombi e cuori, forse:
gli erranti, partenti o tornanti
e mai giunti, mai evasi
dalle mura catenati
delle segrete, ignari,
dei se stessi...
*
Il dormiente -
quel destriero
che pestò prati
delirando cieli -
è questo ciuco
dai garretti rotti
arrancando, aggiogato,
volto a strame, a sterco.
*
Spogli
di mondi
in veli di brume:
sussurri
sui labbri di sera...
oh, dalla sera, ferita:
fiumi d'orti, preistorie di luce
libata, raccolta in questa valle,
in un nicchio d'inchiostro.
*
Di certi suoi inchiostri torrenti
tu non puoi risalire
alle fonti
ma seguendone il corso
scoprire le fosche tue foci...