ERA COSI'. Lavoro, valigia, partire: prima Toscana, poi fra i crucchi del Trentino Alto Adige, e lasciare casa paterna, città e ragazza in stan byke.
Era così metà anni ‘60 inizi ’70: diploma, due-tre anni ad arrangiarsi e a fare domande e concorsi, poi arrivava pure per te…. il lavoro.
A stare fuori, emigrato in terra “straniera”, lì parlavano solo tedesco anche se non stavi in Austria, non ti sopportavano, altri tempi, sentivi di più il richiamo di quello che avevi lasciato.
TORNAVI A CASA. Allora, ben venuto 1° Maggio, chiedevi un altro paio di giorni di ferie, il cuore allegro e scendevi.
Così come approfittavi delle elezioni politiche, mi pare ci fosse anche lo sconto sul biglietto ferroviario; treni sempre affollati, viaggiare in piedi 10-11 ore.
Tornavi a casa, lì ti aspettavano, ma il benvenuto iniziava già prima, da parte di gente che non conoscevi, in Emilia, nel bolognese, sulle banchine dei binari gente con le bandiere rosse a salutarti sorridente, a dirti: “Vai, col tuo voto cambieremo le cose!”.
IL TRASFERIMENTO. Poi è arrivato il momento di tornare definitivamente (sognato trasferimento!), e le cose stavano ancora così, se non per te che un lavoro comunque lo avevi, per gli altri più giovani che appena usciti dalla scuola dovevano iniziare la trafila.
In sezione, giocando a carte o parlando con loro, lasciavi il pacchetto di sigarette a disposizione sul tavolino, almeno quello. Ma era ancora il tempo dei concorsi: Ministeri, Ferrovia, Municipalizzate, ecc., e i “ragazzi” venivano incoraggiati a farli, li si aiutava per prepararli ad affrontare le prove di selezione ed esami.
All’epoca anche se non entravi nel numero dei vincitori, ma risultavi idoneo, speranze ce n’erano ancora.
Passavano due-tre anni, di più, e te li vedevi arrivare in sezione sorridenti con un pezzo di carta in mano: “Mi hanno chiamato!”
Anche per loro, la valigia e la partenza.
Buon lavoro, buon 1° Maggio, una valigia di speranza per tutti.