Carnevale, ogni vestito vale?
Azioni e tradizioni di Pino Donatacci
I SIMBOLI DEGLI ANIMALI. Il Carnevale, antica festa pagana che ha ben resistito ai tentativi di fagocitazione della Chiesa romana, nel corso dei secoli ha assunto diversi significati tutti però attribuibili al risveglio delle forze primaverili, siano esse vegetali o animali. Non è un caso che in questo periodo alcune comunità tramandano dei riti dove protagonisti sono i loro totem che caratterizzano con spettacoli vari le serate carnevalesche. Gli animali totem del Carnevale sono: il cervo, che in primavera perde il palco e si spinge dalle montagne alla collina in cerca dei primi virgulti primaverili. Famosa è diventata la pantomima “Gl’ Cierv” che si tiene ogni anno a Castelnuovo al Volturno (IS) in cui la morte del cervo segna la fine dell’inverno con conseguente ingresso della primavera (Martino).
Un altro animale totem che simbolizza il Carnevale è il lupo, antico retaggio dei lupercali di derivazione romana, lupo è detta anche la maschera di Pulcinella. Ma il più suggestivo di tutti è senz’altro l’orso che proprio in prossimità della primavera si sveglia dal letargo. A Putignano il giorno della Candelora (che rievoca la rinascita della luce) si svolge la caccia all’orso per il centro storico della città in cui tutta la popolazione è invitata a partecipare.
IL VERO SIGNIFICATO DI MASCHERA. Come abbiamo visto, questi animali sono i protagonisti di alcuni dei più importanti Carnevali del nostro circondario ma non è difficile trovarne tracce degli stessi sotto altre forme e in altri luoghi. Se in passato i festeggiamenti carnevaleschi seguivano un preciso codice simbolico, che vedeva protagonisti soprattutto gli adulti, raramente le donne e quasi mai i bambini, oggi la partecipazione è garantita soprattutto dagli infanti che sfoggiano vestiti che nulla hanno a che fare col Carnevale. I bambini, bontà loro, preferiscono “travestirsi” da personaggi televisivi e cartoni animati che non riportano assolutamente ai significati di risveglio delle forze della natura, di fecondità e di capovolgimento dell’ ordine sociale che le maschere carnevalesche sottendono. Nei miei interventi didattici nelle scuole faccio notare per prima cosa la distinzione tra “personaggio” e “maschera”. Questa distinzione si rende necessaria per far riempire di senso il Carnevale. Il “personaggio” è di solito un super eroe in voga tutto l’anno, con poteri soprannaturali, che ripristina la giustizia nella società. La “maschera”, invece, è di solito un borderline (pensiamo a Pulcinella che per vivere deve inventarsene di tutti i colori, oppure al Caporabballo di Montemarano o allo stesso Arlecchino che essendo povero, si confeziona il vestito da Carnevale recuperando tutte le stoffe avanzate dagli abiti degli amici). Inoltre la “maschera” ha una validità temporale limitata al solo tempo di Carnevale e il suo senso di giustizia è inquinato dalla vendetta : come chi ha tanta sete e di fronte a tanta acqua si affoga.
L'ERRORE SULLE MASCHERE FOGGIANE. Se questi concetti i ragazzi ed i bambini sembrano accettarli di buon grado, mi risulta balzano leggere su importanti quotidiani di tiratura nazionale quanto asseriscono alcuni studiosi locali e cioè che tra le maschere foggiane ci sono Zechille e Umberte i parature. Sebbene questi personaggi siano stati catalizzatori dell’identità cittadina, non possono essere assurti a maschera carnevalesca se non si vuole offendere la loro memoria. La maschera, infatti, decide coscientemente e consapevolmente di travestirsi e di rappresentare la sua parte. I foggiani non possono riconoscersi nei personaggi di Zechille e Umberte ma, viceversa, attraverso loro ci ritorna, nell’immaginario collettivo, il foggiano come persona di gran cuore. Il modo in cui i foggiani si presero cura di questi personaggi che, ricordiamolo, erano dei senzatetto, dei clochard, dà la cifra del sentimento di coesione sociale o, come si direbbe oggi, di welfare, che si respirava nella nostra città il secolo scorso.
URSINE STAGNARILLE. A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che anche Ursine Stagnarille, anch’egli disagiato sociale, non potrebbe rappresentare la maschera foggiana. Ursino, da quello che riportano le cronache del tempo, indossava la sua maschera nel periodo di Carnevale, partecipava alle sfilate cittadine più per fare incetta di “foggianelli” e cioccolate che per spirito ludico che metteva a suo servizio nella farsa dell’orso con suo figlio Accetille. Nessuno, credo, abbia mai suggerito ad Ursino il suo vestito pieno di tappi tintinnanti, nè il suo spettacolo in cui si trasformava in orso e si faceva domare dal figlio, ma i simboli che scelse per la sua maschera sono consoni al periodo che rappresenta. Il tintinnio infatti ci riporta al più rozzo suono dei campanacci che sono i protagonisti di riti apotropaici a San Mauro forte in Basilicata proprio nel periodo di Carnevale. Per Ursino i riferimenti alla simbologia carnevalesca ci sono tutti e tutti coerenti: il vestito ricco di campanelli lo fa sembrare un Arlecchino indigeno; la sua farsa dell’orso lo avvicina ai riti di identificazione con le forze vegetative; il suo tintinnio lo pone come elemento apotropaico nei confronti della comunità; Ma Ursino non è l’unico a meritare la maschera foggiana. Prima di lui la merita “il Monaco” a ricordo di San Antonio abate il quale apre il Carnevale. Il monaco con il suo abbigliamento marrone scuro rappresenta l’inverno avaro che ruba le derrate agli abitanti. Anche Menille può a ragione essere considerata una maschera foggiana poiché solo nel periodo di carnevale faceva la sua satira politica sulle scale del Municipio. Come è facile intuire, tutte queste maschere vivevano il solo spazio della stagione carnevalesca ed erano apprezzate per la loro originalità che proveniva certamente da retaggi culturali inconsci.