Il teatro popolare che fa riflettere: Eje da mò che succède LA RECENSIONE

Commedia in tre atti di Filippo Tardio

Non sempre partecipo da spettatore con entusiasmo a rappresentazioni teatrali in vernacolo perché spesso si confonde l’ilarità con la grettezza, le parole in disuso con le parolacce. Ma le rappresentazioni di don Filippo Tardio mi hanno sempre incuriosito per il suo modo di intendere il teatro popolare, che da enfasi alla parola “popolare”. Con “popolare” don Filippo intende qualcosa che viene dal popolo, di cui lui è un bravo recettore, qualità dovuta anche al fatto di avere un osservatorio privilegiato dietro le grate del suo confessionale. E così, con la delicatezza di chi sa accarezzare i cuori, ieri la compagnia del teatro parrocchiale ha presentato una commedia in tre atti dal titlo: “Eje da mò che succède” in cui si riflette sul tema dell’integrazione. 

LO SPETTACOLO. Partendo dalla devozione dei foggiani per i SS Guglielmo e Pellegrino, compatroni della città di Foggia e amande dì frùstire, il canovaccio si srotola mettendo in risalto i nostri pregiudizi nei confronti degli abitanti provenienti dalla montagna, e ai quali noi foggiani associamo la durezza della testa con quella della roccia, e quella dei paesi di mare, ai quali noi associamo la sporcizia e il pettegolezzo. La scena principale si svolge in un piccolo quartiere del centro di Foggia e precisamente tra tre abitazioni adiacenti a piano terra in cui vivono Guglielmo (Peppino Rinaldi) foggiano da sette generazioni; Tomaso (don Filippo Tardio) sammarchese e Filomena (Assunta Carella) di origini napoletane. L’equilibrio si rompe all’arrivo di Tomaso che vuole imporre le tradizioni del suo paese nel quartiere considerato patria di Guglielmo. Pian piano emergono tutti i punti di debolezza di un pensiero che vuole l’affermazione del proprio punto di vista non curante di quello dell’altro. Ci penseranno le seconde generazioni a facilitare l’integrazione facendo prendere coscienza a tutti che i foggiani, in virtù del patronato con i SS Guglielmo e Pellegrino sono vocati all’accoglienza. 

I PUNTI DI VISTA. Questo modo di fare teatro, che io definisco teatro pastorale, porta la comunità a riflettere su grandi temi di attualità come appunto l’integrazione dei popoli senza l’urlo mediatico al quale il mezzo televisivo ci ha abituato, dove la differenza di vedute diventa scontro e i luoghi di discussione politica diventano arena in cui ci deve per forza essere un vincitore, di solito chi urla di più, e un perdente. Lo spettacolo di Tardio è la dimostrazione che le idee non sono squadre di calcio contrapposte ma un circolo virtuoso che porta alla risoluzione dei problemi elevando l’uomo da persona a essere sociale. La grandezza dei protagonisti risiede nella capacità di far riflettere il pubblico sul tema attuale delle immigrazioni che avvengono sul nostro territorio senza mai citarle direttamente, facendo capire che rispetto a settanta anni fa sono solo cambiati i confini ma i problemi erano e sono sempre gli stessi. Se i confini da proteggere dei nostri nonni erano circoscritti al pianerottolo di casa, quelli odierni sono più estesi mettendo noi giovani difronte alla discrasia che vuole un mondo senza confini economici ma che limiti, di fatto, l’ingresso nel nostro territorio alle persone. Con il termine frùstire nelle vecchie generazioni si intendeva una persona arrivata dalla provincia, oggi si indica una persona di un'altra nazionalità. Lo spettacolo si replica domenica 16 dicembre. L’invito è rivolto a quanti vogliano mettere in discussione le proprie idee osservando soprattutto i diversi punti di vista. 
(Giuseppe Donatacci)


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