I riti del fuoco a San Marco in Lamis

di Pino Donatacci

 
Li favarazze si preparavano sulle aie delle masserie la notte del 23 giugno aspettando il giorno di San Giovanni. Esse erano dei covoni formati da bucce e piante secche di fave accatastate e inumidite per far in modo che il fuoco durasse più a lungo. La notte di San Giovanni (solstizio d’estate) era considerata una notte magica un po’ dappertutto e per questo motivo sul fuoco venivano buttate e bruciate le scope di saggina (junge) perché si riteneva che proprio in quelle scope, che avevano la funzione di filtro, fossero finite impigliate le streghe, pronte a fare qualche fattura ai padroni della masseria. Il fuoco de li favarazze durava poche ore e per questo motivo doveva essere alimentato dall’alto. Dalla forma delle fiamme gli anziani e gli agricoltori prevedevano l’andamento della mietitura mentre i più esperti riuscivano a prevedere se ci fossero stati degli incendi alle culture. Le donne, dopo che il fuoco si era estinto, mettevano sotto la cenere patate novelle e uova che toglievano dopo un po’, sode. La cenere sarebbe servita, oltre che per disinfettare il terreno, anche a lavare i capelli delle donne perchè il giorno di San Giovanni ricevevano una particolare forza che li avrebbe tenuti per sempre sani, forti e lucenti. I giovani, invece, amavano saltare sul rogo per dimostrare coraggio alle ragazze presenti e per rendersi disponibili al matrimonio.
 
Li foche de vampugghje, invece, avevano una funzione più ludica. Erano delle piccole fascine di rametti secchi che si trascinavano dietro i giovani per mezzo di una corda legata alla cintura. I ragazzi dovevano correre in discesa fino ad un punto stabilito evitando che le fiamme li raggiungessero. La corsa con la fascina attaccata dietro produceva molte faville alle quali andavano incontro gli spettatori che incoraggiavano i partecipanti. La credenza popolare vuole che “Sante Mattè a chi fa arrevà li vampugghje sotta la strata, non l’adda fa pezzecà dalli serpe e dalli cane”, per questo i ragazzi si prestavano a queste sconsiderate corse. Li vampugghje si accendevano ai due lati estremi e solo dopo partiva questa corsa iniziatica.
 
Come possiamo notare la comunità sanmarchese esprime la sua religiosità attraverso il fuoco. Se il solstizio d’inverno (nascita di Gesù) è rappresentato ovunque attraverso il fuoco del ceppo che ha la caratteristica di durare a lungo, il solstizio d’estate ( San Giovanni Battista) è caratterizzato dall’accenzione de li favarazze, un fuoco che dura molto meno. Lo stesso possiamo dire per la festa di San Matteo, alter ego di San Giovanni poiché l’immaginario collettivo vuole San Matteo bicefalo: “tine doje facce cume Sand Matteje Salirne” si dice a Foggia così come il Santo Evangelista e Apostolo è invocato come protettore della rabbia “ eje salate cume a raggia de Sand Matteje”. La figura di San Giovanni si è sincretizzata prendendo il posto del dio pagano Giano bifronte, infatti nelle vicinanze di San Marco in Lamis abbiamo dei toponimi che fanno riferimento a Giano (Stignano- porta di Giano; Rignano, Celano, Cagnano, Jano, etc).
 
Indagando la simbologia, se San Giovanni è l’alter ego di Gesù, la Madonna Addolorata rappresenta la sua parte ctonia, il suo opposto. Per questo motivo l’accensione delle fracchie nel Venerdì Santo (equinozio di primavera) chiude il cerchio della religiosità legata ai simboli del fuoco. Le fracchie sono dei grandi falò di legno di quercia o di castagno coricati su un lato e trasportati per mezzo di due ruote ferrate. Il motivo per il quale le ruote sono due e non tre, è da attribuire all’esigenza di far toccare l’apice della pira a terra, creando un angolo di 90° rispetto all’asse terrestre. Le fracchie sono alimentate dal lato e hanno un fuoco che ha una lunga durata.
 
Possiamo così notare che i momenti che la comunità di San Marco in Lamis dedica al fuoco sono in corrispondenza dei solstizi e degli equinozi e che anche il tipo di fuoco e la sua durata, il modo e il lato da cui si accende hanno i loro significati simbolici. Se, infatti, al solstizio d’inverno il fuoco si accende da sotto e dura a lungo, al contrario, al solstizio d’estate (li favarazze) il fuoco brucia presto ed è alimentato dall’alto; lo stesso accade all’equinozio di primavera in cui il fuoco è alimentato di lato ed è più durevole (fracchie) al contrario dell’equinozio di autunno in cui il fuoco è meno duraturo ed è appiccato di lato (vampugghje). Insomma possiamo vedere il fuoco, simbolo solare per eccellenza, muoversi proprio come si muove il sole rispetto all’asse terrestre. Questa ipotesi smentirebbe tutte le altre ipotesi che vogliono le fracchie sviluppatesi nel tempo. Nate per dare luce al percorso della Madonna Addolorata, in origine si portavano in mano proprio come torce per poi diventare sempre più grandi da farle viaggiare coricate, tirandole.
 
 
* Per ulteriori informazioni consultare “Beni demoetnoantropologici immateriali i fuochi a San Marco in Lamis” di Gabriele Tardio scaricabile su internet.
 
LE DATE
San Matteo 21 settembre equinozio d’autunno
San Giovanni 24 giugno solstizio d’estate
Gesù 25 dicembre solstizio d’inverno
Madonna Addolorata 21 marzo equinozio di primavera


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