Il "bivio": se un film sull'antimafia non importa neppure agli insegnanti...

"Punto Fermo" di Daniela Marcone

Siamo stati chiamati ad animare un dibattito con gli alunni di una scuola superiore, successivamente alla visione di un film, “La nostra terra”. Il film in questione è incentrato su una tematica molto cara a noi di Libera, ossia l’importanza del riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie e racconta con lievità ed ironia l’esperienza di un gruppo di persone, cittadini comuni, che si approccia all’utilizzo di un appezzamento di terreno confiscato ad un mafioso, coltivandolo. In alcuni passaggi del film, si assiste all’apertura di una vera e propria finestra su un modo nuovo di vedere il contrasto alla criminalità organizzata e vengono forniti molti spunti di speranza.
Terminato il film, io e Federica, una ragazza del nostro coordinamento provinciale, abbiamo tentato di prendere la parola. I ragazzi ce lo hanno impedito, volevano andare via. Avevano assistito alla visione del film durante l’orario di scuola che, poiché erano le 12,00, non avevano terminato ma, a quel punto, si sentivano in diritto di andare. Ciò che però ho vissuto peggio è stato l’atteggiamento degli insegnanti, alcuni erano fuori dalla sala e non a guardare il film con i ragazzi. Soprattutto, sono apparsi desiderosi di andare via anche loro, senza avere il minimo rispetto o considerazione per le due persone che cercavano di gestire i ragazzi che parevano cavalli imbizzarriti. Nessuno ha preso la parola per darci una mano. Era un problema nostro. Io amo i ragazzi, mi piace parlare con loro e, soprattutto, capisco bene certe dinamiche. Ecco perché dopo dieci minuti abbondanti di tentativi, io e Federica ci siamo preparate per andare via. Due ragazzi ci hanno fermate, volevano parlare, farci capire che loro avevano voglia di ascoltare cosa avevamo da dire, anche per capire meglio il film. Quei due ragazzi mi hanno spinta ad interloquire con alcuni degli insegnanti presenti, un piccolo gruppo che ha pensato di scusarsi con noi. Non sentivo il bisogno di quelle scuse, avvertivo quanto fossero inutili. Bisognava intervenire prima, fare corpo unico e mostrare così agli alunni presenti che il mondo cosiddetto degli adulti è coerente, cammina verso un’unica direzione.
Ritengo questo episodio piuttosto grave, descrive quello che dicono di noi, l’indifferenza del cittadino medio, la coscienza sopita ed abituata a far fare all’altro, a dirci sempre “non tocca a me”. I due alunni, diciamo “consapevoli” di ciò che era accaduto, meritavano una risposta da noi dell’associazione Libera e dai loro insegnanti. L’unica risposta possibile era incontrarsi, capire come fare perché quell’incidente si trasformasse in una sfida. Invece l’accaduto è stato sommerso dall’indifferenza. Noi non siamo stati chiamati a parlare con i ragazzi in quella scuola e lo sconforto ha segnato il nostro impegno. Mi sono chiesta cosa avesse significato quel film per gli insegnanti presenti, se sono a conoscenza che realtà simili a quelle mostrate nel film, ossia cooperative di giovani che lavorano le terre confiscati ai mafiosi, esistono anche nel nostro territorio e che producono olio, olive e pomodori, e sono considerati eccellenze della produzione locale, un esempio da raccontare. #facebook#

A Foggia sono presenti numerosissime associazioni di volontariato, quindi questa indifferenza non è ovunque. Forse fra quegli insegnanti ce ne saranno alcuni che nel tempo libero fanno del volontariato. Allora dov’è il problema? Dopo tanti anni d’impegno in questa città, non riesco ancora a fare un’analisi sociale che abbia un senso unico. Un aspetto, però, mi pare evidente, non sappiamo fare rete tra noi. Ci sono tante persone di valore in città, eppure questo non produce risultati visibili o comunque non permette una svolta. Probabilmente il passo ulteriore da fare è superare la retorica del campanilismo municipale in cui abbiamo spesso la tentazione di cadere e parlare di più fra noi, fra associazioni, partecipare alla vita cittadina individuando nuovi modi per farlo. Tornare a vivere le piazze e la città. Iniziamo a raccontare e raccontarci cosa facciamo e, soprattutto, produciamo documenti, approfondimenti da proporre a chi ci governa. Trasformiamo i convegni in momenti di formazione per tutti, di interazione fra più realtà. L’obiettivo è realizzare strumenti che servano a comprendere meglio la città, che siano, però, il risultato di un fronte più vasto di persone e che riescano in qualche modo a coinvolgere chi non partecipa alla vita cittadina. Potremmo provare a chiedere a chiunque abbia capacità culturali e tecniche di mettere a disposizione della comunità anche un’ora del suo tempo. Guardo al mondo dell’università e lo vedo ancora eccessivamente chiuso, non a servizio di una città che ha bisogno come il pane di approfondimenti di qualità. Ad esempio, nei programmi dell’università di Bologna esistono corsi di insegnamento che approfondiscono la storia delle mafie, guardando anche alle realtà criminali pugliesi. Pensate a quanto sarebbe importante avere a Foggia simili percorsi di studio, che analizzando una realtà vicinissima la sottoporrebbero ad un riflettore potente, producendo elaborazioni utili anche a chi opera nel mondo delle forze di polizia e della magistratura.

Cari miei, ci intimano di svegliarci, di svoltare, di avere la dignità di un colpo di reni che mostri cosa siamo capaci di fare. Parliamone.


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