Il miracolo atteso alle slot machine

dal blog "Le Città Invisibili" di Raffaele De Seneen

Ore 19,00 circa, c’è la fila sul marciapiede antistante l’ingresso della rivendita di tabacchi: tre donne e un uomo, al muro il dispencer automatico delle sigarette protetto da una grata metallica.

IL BANCO. Dentro c’è il pieno, oddio l’ambiente non è proprio spazioso, meno di dieci persone, diverse donne. L’unico che compra le sigarette sono io, devo chiedere permesso per arrivare al banco, passare di traverso fra l’uno e l’altra, tutti in piedi non ti vedono, non ti sentono tutti presi, con la testa alzata, quelli in seconda fila, a guardare il display luminoso sul banco/cassa di sinistra che vomita combinazioni di numeri in continuazione. In prima fila un a paio di avventori “danno i numeri” all’esercente ritirando uno scontrino rosato che quando esce dalla macchinetta si curva come a porgere un ringraziamento, un altro controlla e verifica lo scontrino già ricevuto con i numeri dell’ultima estrazione.

TRE GIOCATRICI. Sull’altra parete tre slot machine: luci, colori, rumori accattivanti, e tre donne tre a pigiare sui bottoni; alle loro spalle altri/e in attesa del loro turno, come quelli/e che stanno fuori dalla porta. Ho il tempo di osservare di spalle le tre giocatrici, l’esercente deve spostarsi dal banco-vizio-del gioco al banco-vizio-del fumo, due hanno capelli lisci tirati dietro e chiusi in una coda, giubbotto, fuson e scarpe di gomma ai piedi, mamme più o meno giovani di un sottoproletariato di ritorno, vestita di nero, capelli bianchi la più anziana.

IN CHIESA. Un tempo, le donne del popolo del mio quartiere a quest’ora stavano in Chiesa per il Santo Rosario o la messa vespertina, la loro slot machine era l’elemosiniera che veniva passata tra i banchi dove depositavano, stretto nel pugno, perché quella accanto non sapesse quanto, qualche spicciolo risparmiato sulla spesa giornaliera. A volte anche niente, ma il gesto andava fatto un po’ per non perdere la faccia, un po’ per far capire al Padreterno che quel giorno era andato giusto giusto per apparecchiare e mettere il piatto in tavola. Quella accanto non avrebbe saputo i fatti tuoi e il Padreterno chiudendo entrambi gli occhi qualche combinazione buona, qualche tris lo concedeva. Li chiamavano miracoli, roba semplice poi, per gente semplice: al bambino calava il febbrone, il marito aveva trovato un lavoro più sicuro, riuscivi a pagare il fitto di casa, ricevevi buone notizie dai parenti lontani.

IL MIRACOLO. Oggi il miracolo (Bingooooo!) se lo aspettano dalla macchinetta, ma con quella non si può fingere, a parte l’aver perso un certo senso del pudore, perdi anche quel poco che hai risparmiato e forse sottratto per cose più utili. E il miracolo, se viene, non ti risolverà alcun problema.


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