L'EQUINOZIO. Rimanendo dalle nostre parti possiamo osservare due tipi di celebrazioni: da un lato il Santo si festeggia con i falò, come avviene a Troia, Alberona, Bovino, Casalvecchio, Celenza, Mattinata e Monte Sant’Angelo, dall’altro con prelibatezze culinarie che vanno dal pane alla famosa zeppola.
Se questa festa cattura molte attenzioni si deve prevalentemente al fatto che è festeggiata in prossimità dell’equinozio di primavera ed anticipa di qualche giorno i significati liturgici e simbolici della Pasqua.
L'equinozio di primavera non è soltanto astronomia, esso è anche e soprattutto folklore in quanto esprime da sempre il concetto di rinascita riferito a piante ed animali. Del resto non è un caso se in corrispondenza degli equinozi e dei solstizi, la religione Cristiana ha posto figure speculari come:
25 dicembre (nascita di Gesù), solstizio d’inverno;
19 marzo San Giuseppe (padre di Gesù), equinozio di primavera;
24 giugno (nascita di S. Giovanni Battista), solstizio d’estate;
23 settembre S. Zaccaria (padre del Battista), equinozio d’autunno.
L’uomo antico ha un rapporto solidale forte con i ritmi cosmici. La storia trasmessa attraverso i miti, che diverranno divinità prima che Santi, si ripete in modo ciclico, meccanicistico.
Durante l’equinozio, il sole sorge esattamente ad est e tramonta esattamente ad ovest, inoltre la notte ed il giorno hanno identica durata di 12 ore.
Ufficialmente la data che segna l’equinozio di primavera è il 21 marzo, per fare in modo che Pasqua arrivi sempre “ la prima domenica che segue il plenilunio successivo all'equinozio di primavera”, come stabilito dal Concilio di Nicea (325 d.C.) e poi confermato nel 1582 da Papa Gregorio XIII, ma succede che avvolte questa data è spostata in avanti o indietro di qualche giorno.
SAN GIUSEPPE. La coincidenza della festa di San Giuseppe con l’equinozio di primavera fa assumere alla festa caratteristiche di rinascita, di rigenerazione e trova le sue radici nei culti arcaici di fertilità della terra ma anche nei riti dell’attività pastorale. Il falò che si allestisce in varie comunità, tanto del pre Appennino che del Gargano, è legato ai riti pastorali della transumanza di cui San Giuseppe, sovrapposto ad Ercole, ne è diventato protettore. Proprio in questo periodo i pastori che avevano svernato le greggi nel tavoliere, solevano far saltare le pecore sui bracieri per purificare e disinfettare gli animali prima di prendere la strada del ritorno.
Inoltre è facile notare come in ogni data corrispondente a solstizi ed equinozi si è soliti accendere falò. Questo serviva agli antichi come riferimento, per segnare dei punti fermi, delle porte che chiudevano ed aprivano i cicli stagionali.
I segni dell’equinozio si possono interpretare anche attraverso il dolce di San Giuseppe che è la zeppola che, come tutti i dolci tradizionali, si preparano solo una volta l’anno. Il nome del dolce si presume derivi dal latino serpula che significa serpe, per la sua forma.
LA ZEPPOLA. In effetti la zeppola conserva l’aspetto tondeggiante dei dolci natalizi (cartellate, taralli neri) ma l’impasto è fritto in sugna, il che ci riporta al tempo di carnevale durante il quale ogni pietanza risente dei derivati del maiale. Il colore è dorato, caricato di crema con al lato un’amarena che rappresenta la posizione del sole rispetto alla terra proprio in questo periodo.
Possiamo pertanto eccepire che la festa di San Giuseppe, come tutte le feste poste in corrispondenza dei solstizi e degli equinozi, è una celebrazione della periodicità cosmica e umana della vita e in questo contesto, se il tempo della festa è avulso dalle dimensioni spaziali e temporali, il cibo diventa sicuramente l’elemento di accesso alla realtà ed al sacro.