Il ruolo delle videocamere: dall'effetto deterrente a quello "vergognante"
Le telecamere servono. Fino a un certo punto, ma servono. Su
questo, ci sono pochi dubbi. Lo ha sottolineato, per l’ennesima volta, anche il
procuratore Ludovico Vaccaro. Lo ha fatto in occasione di quella che, per
motivi cronologici ma non solo, è purtroppo l’esempio lampante dell’utilità di
un sistema di videosorveglianza: la conferenza stampa relativa all’arresto dell’assassino
della povera Franca Marasco. Servono come deterrente – e quindi per dissuadere
qualcuno dal commettere un reato -, ma anche come ausilio investigativo nel
caso di commissioni di attività delinquenziali. Le telecamere da sole, però, non bastano.
LA GOGNA SOCIAL. Fatta questa doverosa premessa, si scopre come le telecamere –
e con esse la pubblicazione di video relativi a reati - stiano cominciando ad
avere un ulteriore effetto. Non deterrente, ma “vergognante”. È il valore
acquisito dalla denuncia social, che in alcuni casi fa molto più paura della denuncia
reale. O riesce ad avere un effetto più concreto, almeno nell’immediato.
L’ultimo caso è quello relativo al ladro di zaino pentito: immortalato dalle
telecamere della libreria in cui aveva agito indisturbato, è stato riprodotto
sui canali social del bookstore, con tanto di volto facilmente riconoscibile.
Deve essersi vergognato così tanto a rivedersi (oppure sarà stato invitato da
parenti e amici), da tornare sui suoi passi, recarsi alla cassa della Mondadori,
chiedere scusa e saldare il conto. Con tanto di post social da “lieto fine”
scritto dai titolari della libreria. Qualche giorno prima era capitato in viale Colombo. Una
panchina distrutta davanti all’attività commerciale di Eddy Melissano e la
proposta social del noto parrucchiere: Ho le immagini, non costringermi a denunciarti,
vieni e ci accordiamo. E così è stato: panchina riparata e post al miele su chi
sbaglia che non merita di essere bastonato.
GLI ALTRI CASI. Andando a ritroso con la memoria, tra gli altri episodi dall’ampia
rilevanza mediatica e un efficace tam tam social c’è quello del cellulare
(giocattolo) rubato a un bambino nei pressi del ristorante del papà, poi
ritrovato dopo una telefonata anonima per indicare dove fosse collocato. E
ancora, il vaso con le piante dell’enoteca Nuvola portato via da un gruppo di ragazzi
sghignazzanti e poi restituito con una lettera di scuse.
LO SCIACALLO. Un caso a parte, per
la gravità della situazione, merita invece il caso del cellulare rubato in via
Matteotti a pochi metri dalla povera Camilla agonizzante dopo l’incidente
mortale: lo sciacallo – dopo la pubblicazione delle riprese dall’alto che lo
ritraevano intento a impossessarsi del cellulare - chiese a un conoscente di
fingere il ritrovamento casuale del telefono, venendo poi entrambi denunciati.
LA RABBIA DEI BUONI. Nessuna vendetta, nessun occhio per occhio. Semplicemente la "rabbia dei buoni", come l'indovinata definizione di Alessandro Galano in un articolo pubblicato ad aprile 2021, raccontando di una signora che contro ignoti che avevano appiccato il fuoco in un giardino condominiale, era uscita di casa e impugnando lo smartphone come fosse un’arma, cominciò a riprendere in diretta, costringendo alla fuga i vandali. Un rabbioso atto civico con la sola forza della minaccia di pubblicazione. Sono passati oltre due anni: la 'rabbia dei buoni' è aumentata, la presenza di telecamere non tanto. E se davvero la gogna social valesse più di una denuncia?