Teatro dei Limoni: la letteratura in scena è un “rischio” che piace (e Carver è una meraviglia)
Aperitivo più lettura scenica
Buona l’idea. E buona, soprattutto, la riuscita. Che è la prima di una serie di appuntamenti fuori cartellone del Teatro dei Limoni in cui la letteratura, secondo un gioco antico ma sempre sfidante, diventa lettura scenica. Sabato 13 dicembre ha aperto Raymond Carver: due racconti topici del maestro della short story americana, “Cattedrale” e “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”. Prima l’aperitivo, poi lo show. E c’è già la prossima data “off”: 9 gennaio, Kafka, “La metamorfosi”.
LA SCENA. Gran sofà centrale, pianoforte, tavolino con patatine e, ovviamente, la credenza con gli alcolici – rifugio e prigione, problema e soluzione al problema, secondo la poetica carveriana. Stessa scenografia ma storie diverse e di diversa magia, entrambe calate nell’ambient piccolo borghese tanto caro all’autore statunitense, famoso per il suo stile al contempo minimale e, terza magia, profondissimo. Musica dal vivo – di Christian di Furia – a sostentare il pathos narrativo. Questa, in estrema sintesi, la scena disegnata per il buon pubblico presente a via Giardino, il quale ha accettato la sfida della compagnia foggiana di “vedere” questi due famosissimi brani.
CATTEDRALE. La prima lettura è “Cattedrale”, il racconto per antonomasia di Carver, nel quale un uomo non vedente – “questo cieco”, come lo appella senza misericordia il padrone di casa – piomba in casa di una coppia in crisi per rispolverare la vecchia amicizia con la moglie di lui. Voce narrante affidata a Roberto Galano – che ha curato anche la regia delle due mini pièce – abile nel tirare le corde della tensione, intervallata dalle esternazioni dell’ospite improbabile – il convincente Stefano Graziani – con i suoi “fratello”, “continua così”, “non te l’aspettavi, vero?”. Il finale è un crescendo emozionante in cui i due uomini trovano congiunzione nella purezza di un’immagine: quella cattedrale che si anima alle loro spalle grazie al disegno animato di Simona Versi – evocazione nell’evocazione.
AMORE. Nel secondo episodio c’è meno lettura e più teatro, più dialoghi – altra magia di Raymond Carver, studiata in ogni scuola di scrittura che si rispetti – e, decisamente, più alcol. Quattro amici, due coppie. Dialogano, fumano e bevono durante un pomeriggio assolato, in casa, disquisendo dell’amore, della sua natura. Graziani è Mel, il cardiologo romantico che rifiuta la versione “violenta” di sua moglie Terri – Francesca De Sandoli, a suo agio nel ruolo di provocare il dissidio – tanto da chiedere supporto all’altra coppia, quella più giovane e forse più innamorata. A spiccare qui è Laura, impersonata da Graziana Cifarelli che, a metà racconto, trascinerà tutti in una sognante versione cantata di The Girl From Ipanema.
IL BATTITO. Il pomeriggio scolora, i dialoghi si scindono nel gin che immancabilmente finisce – «a me sembra che siamo soltanto dei principianti in amore». Il medico tira fuori una storia che gli è capitata in ospedale: due vecchi mezzi morti dopo un incidente automobilistico – «dovrebbe farci vergognare di noi stessi quando parliamo come se sapessimo di cosa parliamo quando parliamo d'amore». Di Furia (Nick) intanto suona e tesse le parti, racconta la rarefazione della luce sui vetri di casa, tasta il polso emozionale dei singoli personaggi, fino all’ultimo, fino al mistero: «sentivo il battito di ognuno» dice, prima del buio. Carver lo chiama “rumore umano”.
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