Velasquez, otto anni di storie: Francesco Berlingieri, il libraio visionario, si racconta
Tra le pieghe del tempo e l'eco dei ricordi, dove il Palazzo dei Contadini ancora
sussurra storie di terra e Palazzo Cutino, ferito ma saldo, risorto dalle sue stesse
macerie e divenuto porto sicuro per le Suore Canossiane, si schiude una soglia, un
respiro nuovo: la Libreria Velasquez.
Accanto al palazzo che resiste, all'ombra di memorie antiche e colonne che videro il
cielo squarciato del '43, la libreria attende.
Un rifugio silenzioso tra le pagine ingiallite della storia cittadina, un ponte sospeso tra
il passato che fu e il futuro che si scrive sulle pagine bianche.
Qui, dove da bambini si giocava a pallone e una vetrofania Pioneer resisteva al
tempo, il 9 dicembre 2017 si è riaccesa la luce, voluta per amore di un luogo che non
si voleva smarrire. Un luogo che non è tempio sacro, ma viva fucina, dove il libro è
merce e non feticcio, commercio onesto e passione schietta, per una comunità che qui
trova il suo angolo di mondo, lontano dal frastuono del mainstream, con la voglia
sincera di capire ancora.
LA GENESI. Il proprietario e visionario Francesco Berlingieri racconta della sua nascita e della sua
resistenza. «La prima volta che ho alzato la saracinesca e che ho visto il posto era il
primo di novembre del 2017, ho avuto un mese per sistemare e organizzare
l'indispensabile: prendere contatti con le case editrici, cercare di strutturare un'idea
di libreria. Un'idea che è molto distante dall'idea di libreria che c'è adesso, però è
stato comunque un modo per partire». Berlingieri racconta la genesi e la resistenza della sua impresa, confessa di aver avuto
una fretta incredibile all'epoca: a livello commerciale, saltare il periodo natalizio non
era un'opzione, e quelle settimane di dicembre erano fondamentali. Ha dovuto fare
tutto di corsa.
«Il posto si è stravolto perché era chiuso da quasi una ventina d'anni. Ho puntato a
questo locale perché volevo questo posto, in questo quartiere, non altri, che poi è il
mio quartiere e perché mi piaceva sin da bambino. C'era altro ovviamente prima, poi
è stato chiuso per una ventina d'anni, l'ho riaperto, abbiamo fatto questi lavori
velocemente e il 9 di dicembre abbiamo inaugurato».
IL QUARTIERE. Oltre alla fretta commerciale, la scelta del locale nascondeva radici ben più profonde,
un legame intimo e affettivo con il rione che andava oltre la semplice logica
imprenditoriale, come Berlingieri stesso rivela, parlando del suo quartiere.
«A livello affettivo, cioè proprio dei luoghi, questo è il quartiere dove sono nato, il
quartiere dove ancora ci sono delle persone care o dove tornano le conoscenze di un
tempo a prescindere dagli amici dell'infanzia. Questo era un posto importante perché
noi praticamente giocavamo a pallone un po' ovunque, passavo per andare alle
scuole elementari che stavano in via Arpi, questo luogo mi piaceva molto. Era una
rivendita di stereo, di autoradio, c'era ancora la vetrofania della Pioneer perché era
chiuso dall'epoca. Lo volevo perché era un modo di dare continuità alla mia
infanzia». Quella visione infantile, nutrita dalla nostalgia per il proprio rione e per i
luoghi d'infanzia, si è trasformata, una volta cresciuto, in un progetto concreto. Un
progetto che, tuttavia, ha dovuto fare i conti con la dura realtà della gestione
d'impresa, ben lontana dal romanticismo dei ricordi.
«Essere una libreria indipendente non è difficile di per sé — spiega Berlingieri — ma
la sfida risiede nella gestione della ditta individuale: gli obblighi, i balzelli e le spese
fisse rendono complicato restare a galla, tanto che molte attività non arrivano al
secondo anno. Io sono stato fortunato da questo punto di vista, ma quella è la
difficoltà maggiore». Un'altra sfida, per lui secondaria, è il rapporto con il ceto intellettuale locale, spesso
poco incline ad accogliere un'offerta editoriale indipendente e fuori dai circuiti
mainstream.
«Apprezzo molto quei clienti che, anche dopo una certa età, hanno ancora voglia di
capire come sta andando il mondo dell'editoria — d'altro canto, la vera gioia del
mestiere sono i giovani —. La cosa più bella di questo lavoro sono i ragazzi e le
ragazze, i più giovani. Con loro si ha un rapporto molto più paritario, orizzontale e
interessante». Il libraio sottolinea come la vera stortura sia la richiesta sociale che il libraio sia
"qualcosa di più rispetto a un negoziante qualsiasi".
IL RUOLO. Berlingieri critica duramente anche l'atteggiamento comune verso i libri e il ruolo del
libraio.
«Il punto è che questa santificazione, questa sacralizzazione del libro, è il peggio che
possa capitare a un libraio. Questa sacralità ha portato a una mitizzazione di chi
"spaccia libri" che non riguarda nessun altro ambito». Il libraio ridimensiona l'oggetto a semplice merce, sottolineando l'ipocrisia di chi lo
considera un bene fondamentale, ma non lo acquista:
«Questo è un commercio come tutti gli altri. È un bene fondamentalmente superfluo.
E chi dice "Non è vero, è un bene fondamentale per l'anima" è la stessa persona che
spende 40 euro per una bottiglia di vino ma non compra un libro da otto. Sicuro!». La responsabilità della sopravvivenza di un'attività come la sua ricade, in ultima
analisi, sul cliente consapevole, è necessaria un'ottica più pratica e meno idealizzata.
Eppure, al di là delle logiche di mercato e della prosaicità necessaria alla
sopravvivenza commerciale, traspare in Francesco Berlingieri un legame
indissolubile con il suo spazio e con la sua comunità, un attaccamento che va oltre la
mera transazione economica.
IL RIFUGIO. Un luogo che è diventato parte integrante della sua
esistenza, quasi un rifugio.
«Questa è stata la mia cameretta durante il lockdown, ed è il luogo dove, appena
posso, vengo. Cerco di agghindarlo il più possibile a mia immagine e somiglianza;
voglio lasciare un segno con questo posto». Berlingieri descrive la libreria come uno spazio vitale e personale, che lotta per
mantenere in vita, nonostante le difficoltà economiche della gestione imprenditoriale,
fatte di "momenti di bassa marea pesante e altri dove stai un po' meglio".
IL CIRCUITO CITTADINO. Il bilancio,
tuttavia, resta assolutamente positivo.
La sua visione è profondamente legata al territorio e al senso di appartenenza:
«A me piace essere all'interno di un circuito cittadino, perché per me la cosa
fondamentale è la comunità. Essere parte di una comunità attiva, fare rete con altri,
cercare di interfacciarsi con delle persone». Il libraio respinge con forza i luoghi comuni denigratori sulla sua città, Foggia:
«Per me non è affatto lusinghiero quando entrando in libreria e mi dicono che non
sembra di stare a Foggia. Oppure quelli che entrano con supponenza e ti dicono:
“Ma perché i foggiani sanno leggere?”. Tu dovresti rispondere “Sono aperto da otto
anni tu mi scopri ancora adesso”. I foggiani sanno leggere, i ragazzi sono
interessatissimi e bisognerebbe smetterla di dire che non è così. I ragazzi che
vengono qui sono curiosi e scoprono il libraio accanto al commerciante, due figure
che nel mio caso convivono felicemente». Così, tra scaffali che narrano storie e colonne che resistono al tempo, la Libreria
Velasquez si erge come un atto d'amore, una sfida quotidiana che intreccia la passione
per i libri al destino di una città, dimostrando, pagina dopo pagina, che la cultura a
Foggia ha radici profonde e un futuro luminoso. Cinzia Rizzetti
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