Arrivata all'epilogo anche
la II edizione del Foggia teatro Festival, Foggia città aperta ha provato a tracciare un bilancio del Festival che ha visto sfilare più di 80 artisti di strada, tra cui trampolieri, giocolieri, funambolisti, burattinai, bande di acrobati, musicisti stravaganti e ballerini di musiche popolari. A parlarne è il direttore artistico del Cerchio di gesso e organizzatore del Foggia teatro Festival, Mario Pierrotti.
Al termine della II edizione del Foggia Teatro Festival, volendo tracciare un bilancio, quest'anno si è rivelato all'altezza delle aspettative rispetto all'anno scorso?
E' un bilancio non positivo, ma più che positivo, seppure inizialmente ci aspettavamo un miglioramento in termini di partecipazione di pubblico per le prime serate. Successivamente abbiamo appurato la triplicazione del pubblico rispetto alla prima edizione. Si è creata anche una maggiore attesa grazie alla prima edizione, e questo è stato anche merito delle associazioni e del passaparola tra di esse. Tra Prefestival, spettacoli al Chiostro di Santa Chiara e nelle piazze, abbiamo riscontrato nella città una voglia di vedere varie rappresentazioni di arte.
Come ha coordinato la Compagnia Cerchio di gesso il lavoro con altre compagnie teatrali?
Nell'ambito del Prefestival abbiamo curato il lavoro con il Teatro dei Limoni, proponendo per la prima volta a Foggia la rassegna ´NU.D.I´ (nuove drammaturgie indipendenti), con l'obbiettivo di prospettare al pubblico foggiano tre giorni di spettacoli teatrali allestiti da compagnie indipendenti quali i modugnesi Teatroscalo con lo spettacolo "Muccia" e la Compagnia Mutamenti con lo spettacolo "Il macero". La Piccola Compagnia impertinente ha curato i laboratori conclusi con uno spettacolo finale dal titolo “Il bello di noi bestie”, l'associazione "Musica è" i balli folkloristici e poi l'intervento di molti altri artisti quali Salvatore Rotolo e Maria Grazia De Rosa e compagnie come quella dei burattinai oltre che i laboratori di equilibristi straordinari quali i Barili vaganti.
Il barbonaggio teatrale è ampiamente praticato in grandi città italiane, ma anche all'estero in città come Madrid. Da noi è nato per esigenze burocratiche o fa parte di una filosofia di vita di un certo tipo d'artista?
Ippolito Chiarello ha inventato questa formula denominata barbonaggio teatrale, ed è stato anche ospite del Festival. Ci sono diverse esigenze, da una parte avere contatto con un pubblico diverso al di fuori di uno spazio chiuso qual è il teatro. Dall'altra poter fare questo lavoro più frequentemente, visti i costi che comporta un teatro dal punto di vista organizzativo.
Può una manifestazione portata al grande pubblico essere un mezzo per educare la cittadinanza al bello e a meravigliarsi e scoprire ciò che la propria città possiede di bello?
Certo. Scopo di questo Festival è sì la voglia di allestire serate d'intrattenimento, ma anche la riscoperta del centro storico della città. Possiamo essere orgogliosi dei benefici apportati dal Festival che per quattro giorni ha visto il popolarsi delle piazze della città e lo svuotarsi di queste dalle auto. Si pensi a Piazza Purgatorio e alla Chiesa dei morti che in molti percorrono, ma pochi ne hanno consapevolezza. Si è puntato ad una riqualificazione di questa chiesa e di queste piazze, sperando nel contempo di sollecitare l'amministrazione a rivalutarla architettonicamente e ad effettuare una straordinaria pulizia delle piazze, passando in un secondo momento ad una loro pulizia puntuale che permanga nel tempo.
La Piccola Compagnia impertinente ha proposto al termine dei laboratori uno spettacolo intitolato “Il bello di noi bestie”. Durante lo spettacolo i personaggi, rivestiti da sacchi da pattumiera, svestivano i panni dello sporco e del qualunquismo e indossavano quello della bellezza e della consapevolezza e capacità di saperla vedere. E' questo l'atteggiamento che punta ad ottenere nel tempo il Festival e in genere l'arte?
Il qualunquismo va combattuto in maniera singola, abbiamo lottato per il semplice cambio di una lampadina a Piazza purgatorio, ottenuta il 24 Agosto, per poi vederla rotta nella notte tra il 24 e il 25, segno che nel quartiere è il cittadino che, pur sentendo la mancanza di risorse, non sempre le denuncia efficacemente. Occorre poi un lavoro di autocritica da parte dell'amministrazione comunale per avere una città più organizzata. In realtà da Nord a Sud possiamo osservare che l'atteggiamento collettivo fa la differenza. Dove non si gettano carte a terra è lo stesso pulito che ti invita a non sporcare. E poi occorre lavorare su più fronti, anche sul vandalismo, con progetti di integrazione sociale e con la denuncia.
Quella di presentarsi ad un pubblico ampio, affrontandone gli applausi così come eventuali dissapori, è una necessità o potrebbe anche essere un modo per affinare l'umiltà dell'artista di porsi al servizio della gente?
L'arte di strada è un ramo dell'arte circense e gli artisti di strada di solito nascono con questa filosofia, che ti forma perché non ti protegge come il palco, l'unica protezione al massimo è un tendone da circo. La loro mission è proprio quella, seppure non sia facile relazionarsi con il pubblico, da molti artisti sono giunti complimenti per il pubblico foggiano, educato e generoso. Questa è stata l'occasione di congiunzione di altre realtà nazionali con quelle locali, per scambiarsi contatti utili.
Abbiamo ricevuto telefonate dai cosiddetti artisti off, ovvero quelli non contrattualizzati che fanno "cappello" (richiesta di contributi economici volontari da parte di un pubblico che li pone in un cappello). Ma in realtà è una formula che ci viene da lontano dalla Commedia dell'arte, dove i contributi potevano essere addirittura in termini di cibo.
Quali sono le aspettative future riguardo l'Oda teatro e gli eventuali miglioramenti che intendete apportare al Festival?
Speriamo che il Festival faccia smuovere le acque delle amministrazioni locali. Da ventun'anni ci poniamo come scopo quello di proporre eventi ed attività culturali per il territorio, è un danno perdere questa possibilità e rinunciare a persone con delle competenze, le strutture teatrali chiuse in città faranno la differenza nel soddisfare le esigenze di una parte della cittadinanza foggiana. Speriamo in un'apertura di strutture come il Teatro Giordano e il Teatro del fuoco, che il bisogno culturale sia così forte da spingere ad un progetto culturale modellato sui bisogni della città
C'è stata una connessione con associazioni attive sul territorio in merito a suggerimenti per la prossima edizione?
Abbiamo avuto contatti con il pubblico e associazioni attraverso i social- network, e ci hanno chiesto di impegnare anche altre piazze, come l'anno scorso abbiamo impegnato piazza Baldassare. Seppure la nostra intenzione sia frutto di una politica di localizzazione e concentrazione del Festival in una determinata area, è nostra intenzione allargare il Festival ad altri artisti impegnando anche altre piazze della città. Tutto ciò presuppone una riqualificazione di queste piazze ovviamente. Porre qualcosa di bello accanto al brutto equivale a svalutarne la bellezza, o quanto meno a non farla esaltare. Roccaforte da espugnare è Piazza Mercato e il Piano delle Fosse, come già ha ricordato Saverio Russo nella conferenza stampa di presentazione del Festival. Rappresenta l'accesso alle porte della città e rappresenta un traguardo da raggiungere insieme alla politica. Ma, con la politica, sarebbe meglio utilizzare il condizionale. Per il momento il vero successo sta nell'appoggio del pubblico e l'accoglienza dei cittadini, che si è detta favorevole a rinunciare volentieri al parcheggio residenziale per far spazio al Festival.
Quali elementi hanno suscitato riflessioni e evidenziato lacune nell'organizzazione di questo Festival?
La comunicazione. Molto presente quella locale. Assente quella regionale. Sembra che per passare agli onori della cronaca regionale occorra fare il Festival col morto, solo in occasioni di dramma e non, anche, in occasioni come questa di festa. Foggia non è al Sud per questa stampa, ma a Nord dell'Africa, e in questo c'è sia la colpa dei vertici regionali, sia un'amministrazione locale che non fa abbastanza lotta politica. Eppure siamo con la Regione, perché essa ha investito il denaro, però è anche vero che dal punto di vista comunicativo va rivista la visione di Foggia, non siamo solo il Far West. Sarebbe davvero importante vedere Foggia su Rai tre per una giornata di festa, per un riscatto sociale che veda anche la nostra buona realtà, non solo il Petruzzelli di Bari o la taranta di Lecce, occorre una compensazione tra brutto e bello, altrimenti rischiamo di essere solo il brutto. Perché il bello bisogna anche crearlo. E farlo vedere. Perché una cosa bella che si crea, ma non è vista. è come se non esistesse.