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Braccianti stranieri sfruttati nel Foggiano, 16 arresti: coinvolta la moglie del prefetto Michele Di Bari

Il dirigente ha rassegnato le dimissioni da capo dipartimento immigrazione

Braccianti sfruttati e costretti a lavorare per pochi euro dalla mattina alla sera, impiegati in maniera illecita in aziende del Foggiano. La complessa e articolata attività d’indagine denominata “Terra Rossa”, coordinata dalla Procura della Repubblica di Foggia e condotta dai militari del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Manfredonia e da quelli del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Foggia, ha portato all'adozione di 16 misure cautelari personali nei confronti di altrettante persone accusate di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. L’operazione ha portato anche al controllo giudiziario di 10 aziende agricole. Tra le persone coinvolte vi è Rosalba Bisceglia, titolare di un oleificio in contrada Giorgio a Mattinata, moglie di Michele Di Bari, prefetto e capo dipartimento libertà civili e immigrazione, incarico da cui ha rassegnato le dimissioni a seguito dell'operazione.

LE INDAGINI. Gli inquirenti hanno sottoposto al vaglio le condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti numerosi braccianti extracomunitari provenienti dall’Africa, impiegati a lavorare nelle campagne della Capitanata, tutti “residenti” nella nota baraccopoli di Borgo Mezzanone dove sono accampate circa 2000 persone che vivono in precarie condizioni igienico-sanitarie e in forte stato di bisogno. Le indagini sono partite alla fine di luglio 2020 e fanno seguito all’operazione dell’aprile precedente “Principi o Caporali” che portò all’esecuzione di una misura cautelare nei confronti di 10 persone e al controllo giudiziario di alcune aziende agricole. Durante i servizi di appostamento presso dei terreni agricoli siti nel Comune di Manfredonia e riconducibili ad un’azienda con sede in Trinitapoli, i Carabinieri hanno notato che un soggetto, poi identificato, 33enne gambiano, mentre gli altri braccianti erano intenti al lavoro, si avvicinava a dei cassoni pieni di pomodori e annotava qualcosa su un quaderno; poi, alla vista dei Carabinieri, si allontanava velocemente facendo perdere le proprie tracce. I braccianti presenti sul posto, identificati e sentiti a sommarie informazioni, riferivano che erano stati reclutati e portati sul posto proprio dal fuggitivo. Aggiungevano che il gambiano si era occupato anche del profilo burocratico dell'assunzione, provvedendo all'invio dei documenti (a lui consegnati dai braccianti) e curando, per il suo tramite, anche la corresponsione della relativa retribuzione. Non solo, i braccianti precisavano che sempre lui si occupava del loro trasporto, conducendoli sui campi e ricevendo da loro 5 euro al giorno per ogni bracciante trasportato. Le informazioni apprese dai lavoratori, supportate da ulteriori servizi di osservazione e pedinamento, permettevano di accertare che detti braccianti vivevano all’interno della "ex pista" di Borgo Mezzanone, in "pessime condizioni igienico sanitarie" e che percepivano, a titolo di retribuzione per il lavoro prestato sui campi, 5 euro per ogni cassone di pomodori riempito, lavoravano privi dei previsti dispositivi di sicurezza e sotto controllo serrato, non risultavano sottoposti alle prescritte visite mediche e venivano trasportati sui campi con mezzi inidonei, in pessime condizioni d'uso, pericolosi per la circolazione stradale e per la incolumità degli stessi lavoratori; venivano infine individuati anche dei lavoratori privi di ogni contratto di lavoor. Tali importanti accertamenti, unitamente alle attività tecniche disposte dalla Procura di Foggia, hanno permesso di avviare l’indagine, attiva da luglio a ottobre 2020, grazie alla quale è stato possibile far luce sul sistema di selezione, reclutamento, utilizzo e pagamento della manodopora messo in piedi dai caporali e proprietari delle aziende, indagati per Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

LE AZIENDE AGRICOLE. In sostanza, attraverso l’indagine è stato verificato che per diverse aziende agricole, ben 10 in totale, il predetto gambiano, coadiuvato per gran parte delle sue illecite attività da un 32enne senegalese, anch’egli domiciliato nell’ex pista, era "l’anello di congiunzione" tra i rappresentanti delle varie aziende agricole operanti nel territorio nel settore agricolo e i braccianti. Alla richiesta di forza lavoro avanzata dalle aziende, i due extracomunitari si attivavano e reclutavano i braccianti all’interno della baraccopoli, provvedevano al loro trasporto preso i terreni e li sorvegliavano durante il lavoro, pretendendo, come detto, sia 5 euro per il trasporto, sia 5 euro da ogni bracciante per l’attività di intermediazione. Ancora, è stato accertato che il principale dei due reclutatori si occupava anche di dare specifiche direttive ai braccianti sulle modalità di comportamento in caso di accesso ispettivo da parte dei Carabinieri. Caporali, titolari e/o soci delle aziende avevano messo in piedi un apparato “quasi perfetto”, che andava dall’individuazione della forza lavoro necessaria per la lavorazione dei campi, al reclutamento della stessa, fino al sistema di pagamento, risultato palesemente difforme rispetto alla retribuzione stabilita dal CCNL, nonché dalla tabella paga per gli operai agricoli a tempo determinato della provincia di Foggia. Le buste paga, infatti, sono risultate non veritiere, poiché nelle stesse venivano indicate un numero di giornate lavorative inferiori a quelle realmente prestate dai lavoratori, senza tener conto dei riposi e delle altre giornate di ferie spettanti. I lavoratori, tra l’altro, non venivano neanche sottoposti alla prevista visita medica. I PROVVEDIMENTI. Agli indagati, 16 in totale, di cui 2 in carcere, 3 agli arresti domiciliari e 11 sottoposti all’obbligo di dimora e di presentazione alla p.g., viene contestato -a vario titolo- l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, di cui all’art. 603 bis del codice penale, poiché quali intermediatori illeciti e reclutatori della forza lavoro, quali utilizzatori della manodopera, addetti al controllo sui campi dei braccianti, in concorso, assumevano, utilizzavano o comunque impiegavano manodopera costituita da decine di lavoratori africani, allo scopo di destinarla alla coltivazione di terreni agricoli di proprietà, o comunque nella disponibilità delle suddette imprese e società, sottoponendo i predetti lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie e dalla circostanza che essi dimorano presso baracche e ruderi fatiscenti all’interno della zona denominata "ex pista" di Borgo Mezzanone, pretendendo dagli stessi anche del denaro sia per il trasporto che per l’intermediazione, con l'aggravante di aver commesso il fatto impiegando un numero di lavoratori superiori a tre. Contestualmente, in esecuzione della medesima ordinanza, il GIP di Foggia ha disposto il controllo giudiziario di aziende agricole, riconducibili a 10 dei soggetti colpiti da misura cautelare, con un volume d’affari complessivo di 5milioni di euro. Nelle aziende l'amministratore giudiziario affiancherà l'imprenditore nella gestione dell'azienda fino alla completa regolarizzazione di tutti i rapporti di lavoro intrattenuti ed alla rimozione di tutte le irregolarità riscontrate. Sarà sempre l’amministratore, poi, ad autorizzare lo svolgimento degli atti di amministrazione utili all'impresa, riferendo al giudice ogni tre mesi, e comunque ogni qualvolta emergano irregolarità circa l'andamento dell'attività aziendale. Tutto questo, nell’ottica del legislatore è imprescindibile percorso da seguire per impedire che si verifichino ulteriori e censurabili situazioni di grave sfruttamento lavorativo.

IL PREFETTO DI BARI. Tra le persone coinvolte vi è Rosalba Bisceglia, moglie del prefetto e capo dipartimento Libertà Civili e Immigrazione Michele Di Bari nonchè proprietaria della società semplice agricola che conduce un oleificio in contrada Giorgio a Mattinata. A seguito dell’operazione il prefetto Di Bari ha rassegnato le immediate dimissioni dalla carica.

di Redazione 


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