Charlot non vuole morire. E nemmeno Chaplin, se è per questo. Vecchio o giovane che sia. Pupazzo stremato dalla vita e agganciato ad una flebo, o giovane guitto seduto sulla riva di un fiume, alla prima, vera resa dei conti della sua fragile esistenza. Il “Vagabondo” è vivo e la sua vicenda, lungi da una mera rappresentazione biografica o, meno che mai, agiografica, rivive e palpita nel tributo del Teatro dei Limoni, in “To be or not to be Chaplin”, in scena lo scorso week-end dallo spazio di via Giardino e in riproposizione anche sabato 8 e domenica 9 novembre. Primo spettacolo della stagione Giallocoraggioso 2015.
LO SPETTACOLO. Sulla scena, da solo, Giuseppe Rascio: l'attore della compagnia foggiana, tra i fondatori insieme con Leonardo Losavio e Roberto Galano (sua la regia), dà un saggio notevole del suo repertorio mimico e attoriale, forte della propria esperienza decennale anche a livello didattico (i suoi corsi riguardano proprio “Tecniche di mimo e improvvisazione”). Sulla sua faccia, trascorre e lascia il segno Charles Spencer Chaplin, dall'infanzia alla vecchiaia senza mai, e qui c'è tutta l'onestà dell'opera, accartocciarsi in futile didascalia: un equilibrio che non involve, né rallenta ad attendere “il segno” dello spettatore. Questi, difatti, è letteralmente trascinato, come “a spasso” con l'attore sul palco il quale, attraverso un gioco di tempi scenici ben accordato, infonde alla piéce un ritmo che è l'essenza stessa di questo omaggio scevro di retorica al caro, grande Charlot: toccate e fughe dentro e fuori la sua arte, dentro e fuori i suoi personaggi, dentro e fuori la sua triste uscita di scena. Quando questa avviene poi, è con un “coupe” interessantissimo: un pupazzo finemente lavorato e a grandezza naturale (opera di Rosanna Giampaolo) viene trascinato sul palco, provenendo dalle quinte, vecchio, vecchissimo, letteralmente agganciato ad una flebo. Il faccia a faccia con l'attore-narratore, dopo una serie di rimandi, finalmente si completa: “Io esisto”, dice Charlot; “Io esisto”, dice Chaplin. E il resto, è solo vita.
REGIA, MUSICA E TESTO. Essenziale e ben governata la regia di Roberto Galano (sua anche quella del prossimo spettacolo in cartellone, “Sancho”, scritto da Losavio e incentrato sulla famosa spalla del Chiosciotte, a dicembre al teatro), agevolata dalla straordinaria mimica di Rascio il quale, sulla scena, si avvale unicamente di una corda-cappio e di una sorta di “girandola” posta al centro del palco. Di rilievo le musiche originali dei Solisti Dauni (scritte dal maestro Mario Rucci), tra ragtime, lievi dodecafonie e archi imponenti, valorizzate dai movimenti dell'attore del Teatro dei Limoni. Menzione a parte poi, per l'efficace testo di Francesco D. Nikzad: un buon esempio di come si possa sottendere la poesia anche in una grande storia di vita, per giunta senza mai cadere nella retorica e nella vaca idolatria di un personaggio come quello rappresentato, tanto affascinante quanto difficile da rendere.
Charlot non vuole morire. E nemmeno Chaplin, se è per questo. Vecchio o giovane che sia. Pupazzo stremato dalla vita e agganciato ad una flebo, o giovane guitto seduto sulla riva di un fiume, alla prima, vera resa dei conti della sua fragile esistenza. Il “Vagabondo” è vivo e la sua vicenda, lungi da una mera rappresentazione biografica o, meno che mai, agiografica, rivive e palpita nel tributo del
Teatro dei Limoni, in “To be or not to be Chaplin”, in scena lo scorso week-end dallo spazio di via Giardino e in riproposizione anche sabato 8 e domenica 9 novembre. Primo spettacolo della stagione Giallocoraggioso 2015.
LO SPETTACOLO. Sulla scena, da solo, Giuseppe Rascio: l'attore della compagnia foggiana, tra i fondatori insieme con Leonardo Losavio e Roberto Galano (sua la regia), dà un saggio notevole del suo repertorio mimico e attoriale, forte della propria esperienza decennale anche a livello didattico (i suoi corsi riguardano proprio “Tecniche di mimo e improvvisazione”). Sulla sua faccia, trascorre e lascia il segno Charles Spencer Chaplin, dall'infanzia alla vecchiaia senza mai, e qui c'è tutta l'onestà dell'opera, accartocciarsi in futile didascalia: un equilibrio che non involve, né rallenta ad attendere “il segno” dello spettatore. Questi, difatti, è letteralmente trascinato, come “a spasso” con l'attore sul palco il quale, attraverso un gioco di tempi scenici ben accordato, infonde alla piéce un ritmo che è l'essenza stessa di questo omaggio scevro di retorica al caro, grande Charlot: toccate e fughe dentro e fuori la sua arte, dentro e fuori i suoi personaggi, dentro e fuori la sua triste uscita di scena. Quando questa avviene poi, è con un “coupe” interessantissimo: un pupazzo finemente lavorato e a grandezza naturale (opera di Rosanna Giampaolo) viene trascinato sul palco, provenendo dalle quinte, vecchio, vecchissimo, letteralmente agganciato ad una flebo. Il faccia a faccia con l'attore-narratore, dopo una serie di rimandi, finalmente si completa: “Io esisto”, dice Charlot; “Io esisto”, dice Chaplin. E il resto, è solo vita.
REGIA, MUSICA E TESTO. Essenziale e ben governata la regia di Roberto Galano (sua anche quella del prossimo spettacolo in cartellone, “Sancho”, scritto da Losavio e incentrato sulla famosa spalla del Chiosciotte, a dicembre al teatro), agevolata dalla straordinaria mimica di Rascio il quale, sulla scena, si avvale unicamente di una corda-cappio e di una sorta di “girandola” posta al centro del palco. Di rilievo le musiche originali dei Solisti Dauni (scritte dal maestro Mario Rucci), tra ragtime, lievi dodecafonie e archi imponenti, valorizzate dai movimenti dell'attore del Teatro dei Limoni. Menzione a parte poi, per l'efficace testo di Francesco D. Nikzad: un buon esempio di come si possa sottendere la poesia anche in una grande storia di vita, per giunta senza mai cadere nella retorica e nella vacua idolatria di un personaggio come quello rappresentato, tanto affascinante quanto difficile da rendere.