In una terra come quella della nostra Provincia,legata ad antiche tradizioni,non poteva non essere forte e radicato nei popoli che li abitano, il culto per i defunti. Ecco alcune delle tradizioni più “consolidate”, soprattutto a tavola.
IL GRANO COTTO. E' un piatto che ha, appunto, come ingrediente principe il grano, che in tutte le culture e religioni ha sempre simboleggiato la fertilità e la vita stessa. Secondo alcune interpretazioni il grano rappresenta “la vita che nasce dalla morte”: infatti il grano, cuocendo, muore ma, dallo stesso grano, morto, noi viventi traiamo nutrimento per la nostra vita. Un modo per affermare che dalla morte nasce la vita. La ricetta del “grano cotto”, è molto rigida, Questo perché ogni ingrediente che lo compone ha un suo specifico significato. Fondamentale, in questa preparazione dopo il grano, è il vin cotto che deve essere esclusivamente di uva. Le nostre nonne non avrebbero mai permesso che si usasse, ad esempio, vin cotto di fichi o, il vin cotto che si acquista oggi al supermercato. In alcuni Paesi, come a Monte Sant’Angelo, invece del grano spesso usano il mais.
LE ''CALZE''. Se, dunque, si “offre” la cena alle anime dei nostri avi, è anche uso, dalle nostre parti pensare che i defunti, la notte del 1^ novembre portino, a loro volta, dolci e regali vari ai loro parenti. E’ questa la tradizione delle ”calze dei morti”. In ogni casa, si prendono le calze, quelle di lana, magari fatte ai ferri dalla nonna o dalla mamma e si appendono vicino al camino o sui mobili della casa per far si che i morti vi depongano i loro doni, dopodichè si siederanno intorno alla tavola apparecchiata per mangiare. Le nostre nonne, miniere inesauribili di notizie, ci raccontavano che quando nelle calze non si trovava nulla e anche il tavolo restava intatto, voleva dire che c’era qualcosa che non andava nei rapporti tra defunti e famiglia; i primi non erano rimasti contenti del comportamento che avevamo nella vita, oppure che non si erano presi cura delle loro tombe nei cimiteri o non avevano fatto dire le messe in quantità opportuna!
L'EPIFANIA. L’uso della “calza dei morti” appare a molti in contrasto con l’altrettanta diffusa tradizione di portare la calza alla “Befana” il 6 gennaio. Secondo le nostre tradizioni, specie del Subappennino Dauno, come, per esempio a Roseto, la circostanza che le calze vengano offerte e preparate il 6 gennaio anziché il 2 novembre nasce dalla credenza che i defunti si trattengano tra i vivi, per tutto quel periodo e vanno via solo il 6 gennaio. La befana ( strega vecchia e brutta) rappresenterebbe, così, la morte, mentre le calze con i doni la vita che continua. Nella nostra provincia, una delle tradizioni più conosciute è quella di Orsara di Puglia. Qui la notte del 1^ novembre si celebra la famosa “notte dei fuochi” che vede protagonisti : Il fuoco e le teste del purgatorio (Fucacoste e cocce priatorje) portati in processione.
LE ANIME CHE VAGANO. I lumi nascosti dentro le zucche ( che rappresentano le teste dei morti) indicano la strada; il cammino delle anime che dal Purgatorio transitano verso il Paradiso purificandosi attraverso il fuoco dei tanti falò che riempiono il percorso processionale. In tutto il Paese si preparano tavolate con cibi poveri ma carichi di significati simbolici. Anche in questo caso, come già avviene per il grano cotto, i lumi che vengono accesi e i falò, rappresentano la vita più che la morte, perché la morte è resurrezione. A San’Agata di Puglia si tiene una processione molto significativa e antica. Qui si vuole che le anime dei morti tornino e vaghino per il Paese, ma non tutti possono vederle: solo chi ha l’anima pura e la coscienza pulita. Per questo, a mezzanotte bisogna mettersi davanti alla finestra, riempire una bacinella di acqua, accendere due lumi ai lati, procurarsi un cestino di fave secche da contare. Quando si saranno finite di contare le fave, nell’acqua si vedranno i morti in processione. I bambini partecipano alla festa con le zucche a forma di teschio e candele al loro interno.
COCC DE MORE. A Faeto la sera del 2 novembre c’è la processione delle “Cocc de more” dovei bambini portano zucche intagliate con i lumini all’interno che, anche qui, rappresentano la vita (la luce) che vice sulla morte. E’ un’antica tradizione celtica che, tramite i Provenzali, è stata adottata dalla comunità faetana. La processione termina al cimitero, dove ogni zucca viene deposta accanto alla lapide del proprio caro.
SPAGHETTI E FUNGHI. A Roseto Valfortore, invece, c’è una tipica tradizione “culinaria” che resiste ai secoli. La sera del 1^ novembre si aspettano le anime dei morti consumando , in lunghe tavolate, cene a base di spaghetti e funghi. Una devozione particolare per le “Anime del Purgatorio” è invece quella di San Marco in Lamis. In tale comune la festività dei morti dura quasi tutto il mese di novembre. In questo mese in tutte le chiese del Paese si tengono messe e, per sette giorni, prima della festa di Tuttisanti, al pomeriggio ci si reca a pregare e partecipare alla messa nel cimitero. Il 1^ novembre, invece, si cena e si canta a dorso degli asini che girano per il Paese chiedendo doni. E’ importante, oggi, che queste tradizioni vengano trasmesse ai nostri figli, affinché si continui ad onorare e commemorare quanti ci hanno lasciati su questa terra.