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Interdittiva Tre Fiammelle, per il prefetto 'contiguità soggiacente' alla mafia: nella famiglia D'Alba un “patto per non parlare”

L’impresa Tre Fiammelle rappresenta un’entità economica ‘adiacente’ a organizzazioni mafiose e ha costituito lo strumento per l’attuazione di logiche mafiose nell’economia legale; ciò in quanto tra l’imprenditore a cui fa capo, Michele D’Alba, e i vertici della Società foggiana vi è un evidente rapporto di 'contiguità soggiacente' che rasenta quello di 'contiguità compiacente' per il fatto di aver nascosto il pagamento di tangenti e di aver invitato il figlio e il genero a negare alle forze dell’ordine di essere vittima di estorsione.

L’INTERDITTIVA. Sono queste le motivazioni principali che hanno indotto il prefetto di Foggia, Maurizio Valiante, a emettere nei confronti della storica società il provvedimento di interdittiva antimafia che, in pratica, sterilizza la possibilità di intrattenere rapporti con la Pubblica Amministrazione. È un vero e proprio terremoto quello che colpisce la Tre Fiammelle visto che la cooperativa ha in piedi numerosi contratti con diversi Comuni della Capitanata e non solo. Spicca il fatto, poi, che il Comune di Foggia, in periodo di commissariamento, abbia affidato all’impresa, senza aver atteso il provvedimento espresso antimafia, l’appalto plurimilionario per il servizio di manutenzione di strade e marciapiedi dell'intero territorio comunale per un periodo di cinque anni.

IL GRUPPO DELLA FAMIGLIA D’ALBA. La cooperativa Tre Fiammelle è una delle principali aziende del gruppo di imprese che fa capo alla famiglia D’Alba: il padre Michele, vice presidente della Tre Fiammelle sino a novembre 2022 quando si è fatto da parte dopo aver ricevuto dalla prefettura la notizia delle verifiche in corso; il figlio Lorenzo, presidente della Lavit spa, impresa leader nel campo della lavanderia industriale; il genero Raffaele Pio De Nittis, titolare della cooperativa nel campo della sanità, San Giovanni di Dio. Ma le tre imprese hanno un altro tratto comune di importanza rilevante. Sono legate al gruppo Telesforo-Vigilante essendo socie di minoranza della Universo Salute srl, la società cui è stato assegnato nel 2016 il complesso ospedaliero del Don Uva. Fino al 2019, infine, Tre Fiammelle ha fatto parte dell’impresa COSAP- Consorzio Stabile Appalti Pubblici con sede in Napoli, destinataria anch’essa di informazione interdittiva antimafia.

LE MOTIVAZIONI. Le risultanze dell’inchiesta “Decima Azione” – riporta il provvedimento d’interdittiva antimafia – hanno fatto emergere l’impresa Tre Fiammelle tra quelle presenti nella cosiddetta “lista delle estorsioni”, l’elenco degli imprenditori taglieggiati detenuto dalla Società Foggiana. Tale circostanza è stata poi confermata da una perquisizione avvenuta il 20 marzo 2018 nell’abitazione di un parente di esponenti di spicco della mafia, durante la quale su un manoscritto, è stata rinvenuta la scritta “Tre Fiammelle” con accanto la dicitura “4000 ogni tre mesi”.

LE INTERCETTAZIONI TRA MAFIOSI. Secondo quanto ricostruisce il prefetto, la conferma che la società Tre Fiammelle sia assoggettata all’attività estorsiva deriva dalla captazione di conversazioni tra Francesco Tizzano e Alessandro Aprile, elementi di spicco rispettivamente della batteria Moretti-Pellegrino e del clan Sinesi-Francavilla, avvenute tra l’ottobre e il dicembre 2017. L’11 ottobre 2017, intercettati, i due noti pluripregiudicati dialogano parlando di D’Alba. Alessandro Aprile “schiattamurt” ne chiede conto a Tizzano. “Compà tu me l’hai chiesto?” risponde quest’ultimo. “Sì sono andato a parlare io con Michele D’Alba, però io se arriva il marsupio, io ho lasciato detto che il marsupio glielo deve mandare a….” aggiungendo una serie di nomi di esponenti mafiosi tra cui suddividere la tangente. Un’ulteriore conversazione tra Aprile e Tizzano, in questo caso alla presenza di Ciro Francavilla, è intercettata dagli inquirenti il 16 dicembre 2017. Tizzano dice esplicitamente. “Sto aspettando a quello.. sto chiudendo con Michele D’Alba”. Aprile puntualizza: “Deve portare una cosa di soldi”. E Tizzano di rimando: “Non lo so se sono venti, trenta… non lo so quello che mi porta. Guagliù, questo abbiamo avuto”.

LA RETICENZA DI D’ALBA. Michele D’Alba non ha mai parlato di tali incontri alle forze dell’ordine. Presso la questura di Foggia si è recato solo il 27 ottobre 2017 per denunciare le minacce ricevute telefonicamente due giorni prima dalla moglie, dal genero e dal figlio. In quella occasione, annota il prefetto, non riferisce di alcun incontro con Tizzano e alla domanda: “Lei ha mai corrisposto somme di denaro a titolo di tangente?” risponde “Mai”. L’altro episodio controverso è legato alle minacce mafiose ricevute da Cristian Vigilante, fratello di Luca, manager di Sanità Più. Intimidazioni, quest’ultime, prontamente denunciate e, purtroppo, divenute la causa di una serie di attentanti nei confronti della Rssa “Il Sorriso”. Nel gennaio 2018, Francesco Tizzano con Ernesto Gatta si recano proprio presso “Il Sorriso” da Cristian Vigilante per riferirgli che anche Paolo Telesforo avrebbe dovuto pagare il pizzo e che “questa palla se la doveva tenere D’Alba”. Dopo la denuncia sporta da Cristian Vigilante, l’8 febbraio 2018 Michele D’Alba, socio dei Telesforo-Vigilante, è convocato in questura come persona informata dei fatti presso gli uffici della squadra mobile insieme a suo figlio Lorenzo e al genero Raffaele Pio De Nittis. Nel corso del suo interrogatorio, alla domanda su eventuali ulteriori sviluppi dopo la denuncia fatta nell’ottobre precedente, Michele D’Alba risponde negativamente. Gli viene chiesto inoltre se conosce Francesco Tizzano ed Ernesto Gatta. L’imprenditore risponde di sì soltanto avendone letto sui giornali: “Sono due pregiudicati appartenenti alla criminalità. Ho visto la loro foto sui quotidiani in occasione di articoli che parlavano di loro”. Gli inquirenti incalzano chiedendo se abbia “parlato mai personalmente con queste persone”. E la risposta è netta: “No”. Stessa risposta al quesito su ulteriori richieste di estorsioni ricevute e/o pagamenti effettuati a tale titolo. Di fronte, infine, alla domanda sul perché avesse avvertito i soci Paolo Telesforo e Luca Vigilante delle minacce telefoniche ricevute a ottobre 2017 solo tre mesi dopo, nel gennaio 2018, D’Alba si giustifica dicendo che non aveva voluto “allarmare le persone che lavoravano con lui”.

IL PATTO DI NON PARLARE. È proprio nella sala d’attesa della squadra mobile negli uffici della questura di Foggia che quell’8 febbraio del 2018 – secondo il prefetto Valiante – si consuma un vero e proprio “patto di non parlare” tra Michele D’Alba, suo figlio Lorenzo e suo genero Raffaele Pio De Nittis. Gli inquirenti captano una conversazione in cui Michele D’Alba, appena interrogato, si rivolge prima al genero e poi al figlio, invitandoli a non riferire nulla di quanto a loro conoscenza a proposito dei contatti avuti per il pagamento del pizzo alla Società Foggiana. Il primo dialogo è tra Michele D’Alba e il genero Raffaele Pio De Nittis, presidente della San Giovanni Di Dio. D’Alba gli dice: “Vedi che io ho detto che non c’eri.. tu non hai pagato niente… o hanno intercettato pure a quelli là…; De Nittis risponde a voce molto bassa: “O sanno che tu hai”… sanno che tu li hai tirati fuori”. D’Alba ribatte: “No non credo, li tengono sotto controllo”. E Raffaele Pio De Nittis: “Quelli vogliono prendere a… quei due” e “no… no io non parlo”.
Michele D’Alba rassicura il genero di aver avvisato anche il figlio: “Ho fatto segno a Lorenzo, non penso che ha detto qualcosa… ma penso che ha capito”.
Con il figlio Lorenzo, Michele D’Alba è ancora più esplicito: “Ci dobbiamo trovare con le stesse cose” esorta, poi insieme si soffermano a cercare di comprendere il motivo della chiamata in questura: “Ma perché ci hanno chiamato se non ha fatto la denuncia, non posso dire che sta una denuncia”, chiedendosi come fanno gli inquirenti a conoscere certi particolari: “Stanno le microspie al Don Uva” si ipotizza. Effettivamente tutti i componenti della famiglia D’Alba in quella occasione negano categoricamente di aver mai accettato richieste estorsive. Un dialogo di famiglia che il prefetto Valiante considera, come detto, un “patto di non parlare” stretto tra i tre che ha portato come conseguenza all’impunità di Ernesto Gatta e Francesco Tizzano, elementi di spicco della mafia foggiana.

LE CONTRADDIZIONI. Le contraddizioni nel comportamento di D’Alba sono definite dal prefetto “preoccupanti” ai fini della valutazione del pericolo di condizionamento dell’impresa Tre Fiammelle. Michele D’Alba fa un’unica denuncia di contenuto generico quando invece le emergenze investigative rivelano un contatto specifico con Francesco Tizzano. Informa, senza alcuna ragionevolezza, i suoi soci in affari del groppo Telesforo-Vigilante delle minacce ricevute a ottobre 2017 solo mesi dopo e solo dopo aver saputo della visita alla Rssa “Il Sorriso” di emissari mafiosi. Il fatto che venga chiamato in causa per sistemare i conti con i soci Telesforo, nella ricostruzione dell’interdittiva, è sintomo che D’Alba considerasse risolte le questioni con la Società foggiana e venisse ritenuto affidabile. D’altronde – ritiene il prefetto - mentre si sono susseguiti attentati ai danni del gruppo Telesforo-Vigilante, nei confronti del gruppo imprenditoriale D’Alba c’è stata una “franchigia” rispetto alle attenzioni esplosive e ciò “non può avere altro significato che l’adesione degli imprenditori al modello estorsivo”.

LA CONTIGUITA'. Michele D’Alba si difende e ha già annunciato ricorso al Tar. Ha già provato a farlo in sede di contraddittorio nel corso dell’istruttoria della prefettura. Nella memoria difensiva presentata, Michele D’Alba ha provato ad accreditarsi come imprenditore illuminato alla luce del caso relativo a Universo Salute e alle denunce dei Vigilante. Il prefetto smonta questa ricostruzione e definisce “volo pindarico” l’affermazione secondo cui si sarebbe “acclarato definitivamente l’estraneità di Michele D’Alba rispetto a qualsivoglia ambiente criminale”. Viceversa, secondo il prefetto, è evidente un rapporto di 'contiguità soggiacente' tra D’Alba e i vertici della Società Foggiana dimostrato dalla timidezza espositiva dell’unica denuncia fatta dall’imprenditore della multiservizi. Ma vi è di più. Scrive il prefetto che la condotta di D’Alba rasenta la 'contiguità compiacente' nel momento in cui nega e invita i suoi parenti e affini a negare di essere vittima di estorsione come quando dice al genero di tacere circa il pagamento di una somma di denaro “a quei due”. Di fatto, ciò denota la condivisione con la mafia di un sistema di illegalità volto a ottenere benefici sia pure sotto la forma della ‘protezione’.

PERICOLO DI INFILTRAZIONE MAFIOSA. In fin dei conti, dunque, il pericolo di condizionamento derivante dal comportamento di D’Alba è stabile e non occasionale. L’impresa Tre Fiammelle ha costituito lo strumento per l’attuazione di logiche mafiose nell’economia legale e rappresenta un’entità economica ‘adiacente’ a organizzazioni mafiose, in quanto suscettibile di apprestare a soggetti appartenenti alla criminalità organizzata un contributo agevolatore anche indiretto, attraverso il pagamento della ‘tangente’, che finisce per rafforzare la percezione collettiva di un potere del clan di riferimento. I continui contatti tra Francesco Tizzano e Michele D’Alba e la volontà di quest’ultimo di nascondere l’adesione alle richieste estorsive per salvaguardare la propria impresa, secondo il prefetto evoca una direzione dell’attività imprenditoriale orientata ad alimentare gli interessi economici del gruppo criminale di riferimento e una agevolazione sistematica alla affermazione del potere del gruppo mafioso stesso.

di Michele Gramazio


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