Tre mesi di inutili sofferenze, per il piccolo Davide fu “accanimento terapeutico”: condannato medico foggiano
I trattamenti a cui fu sottoposto il piccolo Davide “concretarono un accanimento terapeutico che non comportava alcuna possibilità di risultati utili”. Per tale motivo, due medici, tra cui un neonatologo foggiano all'epoca in servizio presso l'ospedale universitario, sono stati giudicati colpevoli dal tribunale di Bari “per la scelta di aver voluto procedere con i trattamenti nonostante l'ineluttabilità della prognosi infausta”.
LA SENTENZA. La sentenza è stata pubblicata nello scorso febbraio ed è divenuta definitiva una volta scaduti i termini di impugnazione. I medici dovranno corrispondere alla famiglia un risarcimento danni. L'aspetto più importante, tuttavia, è un altro. Massimo Marasco e Maria Rita Vigilante, i genitori foggiani del piccolo Davide, hanno atteso dieci anni, pieni di tormenti e di battaglie, per vedersi riconosciuto da un tribunale dello Stato quello che a loro era sembrato chiaro sin dall'inizio della loro dolorosa storia: al proprio figlio furono inferte inutili sofferenze lungo tutto l'arco della sua breve vita durata tre mesi.
LA STORIA.La vicenda del piccolo Davide fu al centro delle cronache nazionali nel 2008. Il bimbo nacque il 28 aprile affetto da sindrome di Potter come fu diagnosticato solo pochi giorni dopo la nascita a seguito di un'ecografia dell'addome. Una malattia che, come riconosciuto unanimemente dalla comunità scientifica, è incompatibile con la vita. Una serie di comportamenti colpevoli, tuttavia, resero il suo destino se possibile ancor più atroce. Davide, infatti, fu sottoposto a una serie di cure invadenti contro la volontà della madre e del padre, ai quali fu addirittura tolta per 20 giorni la potestà genitoriale.
GENITORI 'SOSPESI'. È la stessa sentenza a ripercorrere le tappe di questa incredibile storia. Il medico foggiano, Rosario Magaldi, dopo un lieve miglioramento del piccolo che cominciò a respirare da solo, propose ai genitori il trasferimento in un reparto nefrologico specializzato per sottoporre il piccolo a emodialisi in attesa di un eventuale trapianto renale. Dinanzi alle titubanze e al successivo dissenso di madre e padre, lo specialista chiese allora al tribunale dei minori di Bari di revocare la potesta genitoriale. La richiesta fu accolta dai magistrati che nominarono tutore di Davide proprio il medico ora condannato.
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LE TERAPIE. La sentenza del febbraio scorso non contesta questa decisione ma tutte quelle che seguirono. Davide fu trasferito a Bari per l'inizio delle terapie e ciò avvenne nonostante il parere contrario del dott. Querques, nefrologo dell'ospedale di Foggia, il quale, come è emerso nel corso del processo, consigliò “di soprassedere visto il quadro clinico complessivo”. Durante il ricovero al Policlinico barese– anche in questo caso con il parere contrario di alcuni medici – il neonato fu sottoposto a intubazione, drenaggio pleurico, continui esami ecografici e radiografici, impianto di catetere venoso centrale, trattamento emodialitico giornaliero oltre a un intervento per una ritenzione testicolare.
L'ACCANIMENTO. Ebbene, secondo il tribunale di Bari che ha deciso sulla scorta della perizia del prof. Buccelli “le terapie praticate tanto dall'ospedale universitario di Foggia quanto in quello di Bari furono sproporzionate rispetto alle ragionevoli attese di benefici conseguibili in termini di efficacia sul processo patologico e di prolungamento significativo della vita del piccolo Davide” anzi le terapie “protrassero penosamente in via artificiale la sopravvivenza del piccolo Davide inutilmente contrastando l'evoluzione naturale della gravissima patologia malformativa, facendolo contrariamente alle acquisite cognizioni scientifiche sulla stessa”: Davide morì il 18 luglio dopo 81 giorni di travaglio durante i quali “si realizzò un accanimento terapeutico inteso come insistenza o quanto meno inappropriatezza terapeutica”.Furono trattamenti “accaniti” ed ostinati” in quanto “la gravissima patologia di Davide legata all'agenesia renale bilaterale, allo stato delle conoscenze cliniche e terapeutiche comporta prognosi costantemente infausta in quanto, nel giro di pochi giorni, sopravviene il decesso". Infine “la sospensione della potestà genitoriale fu ingiusta. La scelta terapeutica prospettata dal direttore del dipartimento materno-infantile dell'ospedale di Foggia integrò l'accanimento terapeutico e impedì ai genitori di contrastare il protrarsi di terapie eccessive sul corpo del figlio neonato”.
LA BATTAGLIA DELLA MAMMA. La mamma, Maria Rita Vigilante, è ormai abituata a lottare: “Abbiamo subìto tanto– racconta a Foggia Città Aperta – anche nel corso del processo a causa dei tempi lunghi e delle sofferenze a dover rivangare la storia di Davide, ma vado avanti”. Le sue battaglie hanno un preciso scopo: “Non voglio che possa accadere a nessun altra mamma una cosa del genere. Nessuno potrà ridarmi mio figlio ma la mia storia deve essere di monito per tutti. Ciò che avvenne fu paradossale: fui prima io a pregare i medici di salvare mio figlio ma i medici mi dissero “Lo lasci morire in pace”. Quando avevo ormai compreso che per lui non c'era nulla da fare, me lo hanno sottratto impedendomi di poterlo tenere tra le braccia quanto più tempo possibile”.
Massimo e Maria Rita, all'epoca, dovettero subire anche attacchi mediatici crudeli sino a essere definiti in un articolo a firma del parlamentare Luca Volontè 'i'genitori cinici'. Ora la sentenza restituisce loro quanto meno giustizia.
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