Don Ciotti: “Trecento morti di mafia in Capitanata sono il bilancio di una guerra”
Il sacerdote ha incontrato la comunità di San Michele
Nell'ambito delle iniziative in preparazione della “Giornata nazionale della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti della mafie” del 21 marzo, Don Luigi Ciotti ha incontrato la comunità della Parrocchia di San Michele Arcangelo di Foggia, prima concelebrando la Messa e poi parlando in una Chiesa gremita.
IL PERCORSO. Dopo i saluti della comunità rivolti da Padre Giuseppe Minisci, Raffaele Identi e dai giovani Fabrizio, Lucia e Alessandro il sacerdote torinese ha portato la sua testimonianza e raccontato il percorso che ha portato un giovane di Azione Cattolica a diventare prima sacerdote, poi a fondare il Gruppo Abele che si occupa di tossidipendenze e infine a promuovere l'associazione anti-mafia Libera.
LA GIORNATA. Proprio da Libera è nata l'idea della Giornata della Memoria, il cui impulso è arrivato dalla madre di Antonio Montinaro, agente di scorta di Giovanni Falcone. In una celebrazione ad un anno dalla strage di Capaci - ha ricordato don Ciotti - la donna si chiedeva perchè nessuno pronunciasse mai il nome di suo figlio. La giornata non vuole quindi essere solo una marcia, ma un abbraccio ai parenti delle vittime, di cui appunto vengono letti tutti i nomi.
LA SCELTA DI FOGGIA. Don Ciotti ha inoltre ricordato che la decisione di celebrare a Foggia la giornata del 2018 era stata presa a maggio, prima della strage di San Marco in Lamis dell'agosto scorso, che ha attirato i riflettori sulla situazione locale. La volontà era quella di parlare delle organizzazioni criminali di Foggia, del Gargano e di Cerignola che in tutto hanno causato almeno 300 morti, il bilancio di una guerra, e che per molto tempo sono state sottovalutate. E oltre ai morti ufficiali bisogna considerare – ha aggiunto il sacerdote – i tantissimi “morti vivi”, quelli costretti a tenere la testa bassa per le estorsioni e le minacce delle mafie.
I BENI CONFISCATI. A una domanda sui motivi precisi per cui non si riescano a riutilizzare i beni confiscati ai mafiosi locali, Don Ciotti ha invitato ad approfondire con i referenti locali, ma si è accalorato quando ha detto che “è uno scandalo che, dopo le giuste pratiche burocratiche, si debba alzare la voce per restituire alla collettività i beni confiscati, il modo più forte per colpire i mafiosi”.
I TESTIMONI. Don Ciotti è innanzitutto un sacerdote, e il suo impegno per gli ultimi nasce dalla fede. “In parrocchia discutevamo degli ultimi e dei poveri, ma poi bisognava incontrarli” e cita i tanti cattolici che ha incontrato nel suo percorso, in particolare i vescovi Michele Pellegrini, Carlo Maria Martini e don Tonino Bello, per poi chiudere con le parole e alcuni aneddoti su Papa Francesco. Poi la conclusione con l'appello finale a partecipare tutti alle iniziative del 21 marzo. "E chi non viene lo vengo a prendere", ha aggiunto sorridendo.
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