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Foggia - Avellino: tra ritardi, porte chiuse e "obiettivo raggiunto"

Nel provvedimento del giudice sportivo che ha deciso le porte chiuse per Foggia e Avellino c'è un inciso piccolo, breve ma particolarmente emblematico: "i tifosi dell'Avellino, entrati in ritardo...". Già, perché tranne una sparuta rappresentanza di sostenitori biancoverdi, il grosso degli irpini, allo Zaccheria ci è entrato dopo una abbondante mezz'ora di partite. E se va fatta una doverosa e ovvia premessa - ovvero che gli incidenti avvenuti durante il match tra Foggia e Avellino vadano perseguiti, come già sta avvenendo, con sanzioni pesanti -, è altrettanto vero che all’analisi di quanto accaduto manca, da giorni, un pezzo: la gestione dell’ordine pubblico. Prima, durante e dopo la partita.

I BIGLIETTI. Il prima, in realtà, parte in anticipo rispetto al giorno della gara. Nelle ultime ore precedenti alla partita, infatti, era stato disposto l'aumento del tagliandi messi a disposizione dei tifosi avellinesi, a cui erano stati inizialmente destinati 220 biglietti, poi saliti a 300. Un numero reputato comunque insufficienti dagli irpini, anche in considerazione dei 500 tagliandi concessi ai rossoneri per la sfida playoff dello scorso maggio. Una decisione presa dal prefetto di Foggia, poi elogiato per la disponibilità dal presidente della Lega Pro, Francesco Ghirelli, contestualmente al suo definire “delinquenti” gli avellinesi.

L’ARRIVO. Il ‘pre-partita’, però, per i tifosi avellinesi è durato talmente tanto, da occupare anche un terzo del match. Come evidenziato anche dal rapporto della Procura Federale, la maggioranza dei sostenitori avellinesi ha fatto l’ingresso allo stadio dopo la mezz’ora. E qui le versioni, nessuna ufficiale, sono discordanti: i tifosi avellinesi sono arrivati in ritardo al centro di raccolta/parcheggio per poi raggiungere lo Zaccheria e quindi l’ingresso tardivo è addebitabile a loro o, come riportato dagli stessi sostenitori biancoverdi, sono stati tenuti lontani dal settore per il timore che ci fossero contatti tra le due tifoserie? È il primo punto cui fare chiarezza anche perché si porta dietro un violento (ma ingiustificabile) ‘effetto domino’, con altri tasselli che hanno contribuito alla guerriglia avvenuta in occasione di Foggia - Avellino: l’ingresso in campo, sostanzialmente, senza controlli alle porte, permettendo così l'accesso e il successivo lancio di petardi, fumogeni, bottiglie, che ha concorso a un arrivo fragoroso e tumultuoso.

IL PRECEDENTE. Di quanto avvenuto durante il match è noto e deprecabile. Lancio di fumogeni, petardi, i tentativi di invasione, la partita sospesa, tutte azioni che non trovano alcuna giustificazione. E non lo trovano nemmeno le scene dei poliziotti colpiti con mazze e calci e “chiusi fuori” dal settore, per quella (discutibile) legge non scritta per cui le forze dell’ordine non possono/non devono invadere lo spazio dei tifosi. Ma quella scena prestava il fianco anche un brutto precedente, quello di Foggia – Barletta di fine 2014, quando le forze dell’ordine entrarono inopinatamente nel settore, alzando la tensione e coinvolgendo, colpevolmente, inermi tifosi arrivati solo per vedere il derby. È proprio quel precedente, quello che venne salutato dall’allora questore Silvis con un inopportuno tweet “#obiettivoraggiunto” (perché a suo giudizio l’importante era evitare scontri tra tifosi, peccato che nel frattempo la zona della città attorno allo stadio fosse ostaggio di una guerriglia), che fa riflettere. Perché, ribadita la presa di distanza dai comportamenti violenti assunti da entrambe le tifoserie (e di cui alcuni gruppi si sono assunti la responsabilità, chiedendo di non punire l’intero stadio), restano tante perplessità sulla gestione dell’ordine pubblico, che doveva essere ancor più stringente considerato il fatto che la partita fosse in serale. Così come il non essere riusciti a evitare i contatti a fine gara tra le tifoserie, con riprese video amatoriali che immortalano tifosi dell'Avellino che addirittura hanno superato la cancellata di protezione riservata agli ospiti.  anche i contatti a fine gara tra le tifoserie, con in mezzo una cancellata a dividerle, potevano essere evitati.

LE DOMANDE. Ora, però, ci troviamo con la seconda partita a porte chiuse: una per ordine del prefetto, una per decisione del Giudice sportivo. Con buona pace di quella stragrande fetta di tifosi che a metà dicembre si ritroverà ad aver saltato 2 partite su 9. Perché con “un sì t’impicci e un no ti spicci”. Vietare è molto più facile. E magari, vietare dopo gli scontri diventa ancora più credibile. Ma almeno una domanda, senza rischiare l'accusa di lesa maestà, sia concessa: ma chi doveva gestire l’ordine pubblico, almeno pensando a chi il giorno dopo si è svegliato e ha trovato l’auto danneggiata, una piccola autocritica l’ha fatta?

di Redazione 


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