Fino agli inizi degli anni ’50, a Foggia vi erano una decina di addetti al rifornimento idrico cittadino con regolare licenza rilasciata dal Comune: svolgevano la pubblica funzione di venditore d’acqua. Un mestiere antichissimo, basti pensare alla celebre canzone “Fenèsta vascia” del 1600: “Vorria arreventare nu picciuotto co la lancella a ghi vennenno acqua”.
L’ultimo acquarùle, Paulùcce, garzone di Antonio Mimmo titolare del pozzo di via Tiro a Segno, acquistò proprio da lui un carro, cavallo, boccature, mantegne e catenàzze.
Girava con un carretto più lungo del normale trainato da un cavallo, con una enorme botte di 600 litri dove si riempivano le mantegne, piccole botti da 15 e 18 litri.
Ogni mantegna, all’epoca costava 10 lire.
Questi acquaruli ossedevano pozzi e cisterne al Piano delle Fosse, vicino a Frisoli, sotto l’Arco Consalvo e in via Tiro a Segno dai quali prelevavano l’acqua che poi vendevano alla popolazione.
L'ACQUEDOTTO. Alcune case avevano “u puzzàcchije” personale, rifornito di acqua piovana che arrivava dal tetto attraverso un pluviale o alimentato da acqua sorgiva, ma l’acqua, spesso, era inquinata e infettata.
Nel 1924 a Foggia arrivarono le tubature dell’acquedotto che però rifornivano solo alcuni punti di prelievo dati in gestione agli acquaroli e quindi le gente si rifornì di sarole, anfore da 60/70 litri, che venivano opportunamente riempite. Spesso fra gli acquaroli si ingaggiavano corse pazze per arrivare prima al pozzo e fare rifornimento, l’acqua serviva anche per i muratori, e in occasione dell’apertura annuale del Santuario dell’Incoronata per i pellegrini.
Questa attività si è esaurita intorno alla metà degli anni ’60, ma a Foggia ancora è rimasto in voga il detto: “Addummànne a l’acquarùle si l’àcque è frèsc’ke!!".
Si stava bene quando si pensava di stare male, Anni 50 Cera rispetto di tutto e di tutti nel nostro piccolo eravamo orgogliosi di quel poco che si realizzava.
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