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Il Totocalcio e i nostri sogni... vanno in soffitta CRONACHE DAL PASSATO

Il racconto di Salvatore Agostino Aiezza

Dunque, anche la vecchia amata schedina del totocalcio, compagna inseparabile delle nostre domeniche di qualche decennio fa, se ne va in pensione: Per decreto! Con la “schedina” va in pensione anche un pezzo del nostro passato: addio al “12”, al “13”, al sogno milionario, anzi miliardario, che ha tenuto con l’orecchio incollato alla radio per seguire gli eventi calcistiche della domenica, intere generazioni, piccoli e grandi. Un rito celebrato da grandi registi, come Vanzina, e grandi attori come Lino Banfi. Un altro simbolo dell’Italia felice e spensierata degli anni 60 resta solo un ricordo. 

IL RITO. Era, quello del totocalcio e della schedina, un rito. Si iniziava dal mercoledi o giovedi, quando ai gestori dei tabacchini e bar autorizzati, venivano consegnate i pacchi di schede che ogni settimana cambiavano colore. Allora si andava nei luoghi suddetti e si ritirava un congruo numero di schedine che sarebbero servite per studiare quelle che sarebbero state poi le colonne definitive. Al rientro a casa, giornale sportivo e calendario alla mano, iniziava il lungo rito della “compilazione” della scheda. non era cosa da poco: che fossero 2,4,8 o più colonne, ci impegnava per diverse ore. Molti, anche in ufficio o a scuola, nei ritagli di tempo libero, approfittavano per scrivere qualche colonna. Lo stesso avveniva tra i tavolini dei bar dove, tra il gruppo di amici che partecipavano al gioco si decidevano i pronostici che avrebbero potuto cambiare la nostra vita. Spesso, infatti, le schedine venivano giocate tra due o più persone “a società”. Potevano essere amici o colleghi di lavoro o di scuola: si metteva una certa somma a testa in un fondo cassa, da dove si prendevano i soldi per giocare la domenica, oppure si versavano le vincite, quando gli importi erano molto bassi e non vi era convenienza a dividerli tra i partecipanti. 

I SISTEMI. C’erano i patiti dei c.d. “sistemi”: I sistemisti, li chiamavano. Erano persone particolarmente preparate, e anche più economicamente disponibili, che studiavano, con complicati calcoli, le varie possibilità e probabilità di incroci dei risultati, per poi giocarsi sui singoli incontri, le c.d. “fisse”; cioè i risultati secchi, che non avevano alternative, oppure le doppie o le triple addirittura, che consentivano più possibilità di “prendere” la partita. Solo che al tempo del totocalcio, non era come oggi: computer, programmi specializzati ecc, no! I sistemi bisognava svilupparli, cioè compilare, a mano tante colonne per quante fossero le possibili varianti e, se pensate che per esempio solo per giocare una tripla occorreva compilare tre colonne, immaginate cosa volesse dire giocarsi più doppie o triple insieme: si parla dell’ordine di centinaia di colonne da trascrivere. Oddio, si poteva optare per il sistema c.d. “ridotto”, ma non dava le stesse garanzie di vincita di quello integrale. Le colonne, inoltre andavano ricopiate sia su tutte e tre le parti nelle quali erano suddivise le schedine: matrice, madre figlia e ricevuta e, ovviamente dovevano essere integralmente uguali. 

LA COMUNITA'. Il totocalcio, con la schedina, era un delle fonti di aggregazione sociale di maggior rilevanza. Ovunque, in Italia, anche nel più piccolo e remoto villaggio in cima ai monti, vi era un tabacchino o bar dove si poteva giocare la schedina. Nelle serate fredde, e nei pomeriggi al ritorno dal lavoro, gli uomini si rinchiudevano in quei luoghi e trascorrevano intere serate tra schedine e bicchieri di birra. Ed era inutile tentare di nascondere una eventuale vincita perché lo si veniva a sapere presto nelle piccole comunità dove tutti sapevano di tutti. Sarebbe bastato modificare anche di poco il proprio modo di vivere o il comportamento in pubblico che si veniva scoperti… 

LE PARTITE. Uno dei momenti più belli, se non il più bello in assoluto, che tutti noi ricordiamo con immensa nostalgia, è quello delle domeniche pomeriggio, quando si giocavano le partite. Alle 14,30 o, a primavera alle 15,30, tutte insieme senza pasticci e spezzatini, come oggi. Sia allo stadio, se si giocava in casa, che a casa, se si giocava in trasferta, la domenica , subito dopo pranzo non esisteva più nessuno, tranne lei: lA radio e il mitico, inimitabile, leggendario “TUTTO IL CALCIO MINUTO PER MINUTO”. Nato nel 1956 e preceduto dalla famosa pubblicità dello “stock” o del “Cavallino Rosso”, l’appuntamento con “Roberto Bortoluzzi dallo studio centrale” era imperdibile. Si iniziava con la presentazione dei campi collegati e, quando capitava il Foggia era una grande festa. Su quelli principali venivano inviati i due più grandi radiocronisti di sempre: Enrico Ameri e Sandro Ciotti, con le loro voci inconfondibili e gli intercalari che hanno fatto la storia. Sandro Ciotti, per esempio, molto scaramantico, non diceva mai, quando capitava il collegamento in quei momenti, il 17° minuto, ma usava dire: “Siamo l minuto che intercorre tra il 16° e 18°..”. C’erano poi gli altri bravissimi commentatori: De Luca, spesso inviato a Foggia, Corsini, Provenzali e gli altri. Era una emozione e un piacere ascoltarli quando si passavano la linea tra di loro o interrompevano il collega per segnalare una rete, un rigore, una espulsione o altro; oppure quando dallo studio centrale irrompeva Bortoluzzi per segnalare una nuova situazione sui campi non collegati. Immaginate l’ansia, le aspettative di quanti erano con l’orecchio alla radio e gli occhi sulla schedina, pronti ad aggiornare il risultato della partita. Le schedine del totocalcio erano composte da 13 partite delle quali si doveva indovinare l’esito finale (1.x.2) per la vittoria pareggio o sconfitta in casa. Oltre alle 8 di serie A vi erano 3 partite di serie B e 2 della C. Alle 17.00 della domenica era tutto compiuto. Partite finite risultati acquisiti e verifica della schedina fatta. Anche allo stadio era la stessa cosa, si aveva l’orecchio incollato alla radiolina portatile per sapere i risultati delle altre partite e gli occhi sul campo dove giocava la nostra squadra. Alla fine del primo tempo era uno sventolio di migliaia di schedine che ciascuno tirava fuori dalla giacca per controllare i punti realizzati sino ad allora. Erano, insomma, quelli della domenica pomeriggio, i 90 minuti che ci tenevano con il fiato sospeso e a rischio tachicardia. Tutti a controllare i risultati e il “segno” che avevamo messo sulla schedina, si contavano le partite indovinate (“prese” sii diceva) e quando erano più di 9 si iniziava a sperare in qualcosa di più; a volte diventavano 11 e allora il cuore batteva fino al fischio finale dell’ultima partita. Spesso però le partite prese scendevano di numero, ed allora si cominciava a pregare che cambiassero i risultati in senso a noi favorevoli e… a tirare i piedi alle squadre secondo il nostro interesse.

LA SPERANZA. E che dire quando, magari sino a pochi minuti dalla fine delle gare, la nostra schedina portava un bel 12, e poi un gol all’ultimo minuto infrangeva i nostri sogni e le nostre speranze. Quelle rare volte nelle quali invece si realizzava il punteggio vincente,12, perché il 13 era praticamente rarissimo, era una grande gioia e subito iniziava un’altra di attesa: quella di sapere quando si era vinto. Anche in questo caso la fantasia non mancava di sognare vincite strepitose, salvo poi doversi accontentare di qualche migliaio di lire, specie quando non vi erano risultati clamorosi che facevano saltare il banco. Oggi, un “decreto” ha ufficializzato la fine della nostra vecchia amata schedine del totocalcio; fine in verità già formalmente decretata dall’avvento delle nuove tecnologie, e del moltiplicarsi illimitato delle tipologie di scommesse e possibilità di giocare tutto e su tutto. Salutiamo dunque questo fogliettino di carta colorata che ci ha fatto compagnia per tanti anni e,forse, ci rendeva felici, anche se non vincevamo, perché ci teneva legati ad un modo di vivere, a tradizioni, persone, cose e fatti oramai scomparsi.
(Salvatore Aiezza)

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di Redazione 


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