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Da Lorenzo Brescia ad Alfonso Bruno: quando a Foggia c'era lo scrivano 

Il racconto di Ettore Braglia

Un’altra caratteristica esclusiva figura è scomparsa dal quadro della vita cittadina: lo scrivano, da non confondersi con quello napoletano, anch’esso travolto dai tempi, che sostava sotto ii portici del Teatro San Carlo, vicino al palazzo Gravina, ex sede delle Posta centrale: seduto dietro al tavolinetto, attendeva la cameriera provinciale o il soldatino, per scrivere dietro il compenso di pochi soldi la lettera alla famiglia o alla fidanzata. Il nostro scrivano era tutt’altra cosa: egli aveva mansioni contabili e di fiducia commerciali. 

IL MERCATO. A Foggia i negozianti all’ingrosso di frutta si limitavano alle ditte Lorenzo Doria e Giuseppe Frisoli: il primo era con il deposito in Corso Garibaldi in un magazzino che per erezione del palazzo del Governo si era trasformato in ingresso di servizio del Cinema Dante e l’altro in piazza XX Settembre, dove c’era un negozio di scarpe. Il mercato si svolgeva all’aperto in piazza XX Settembre, nei pressi della scalinata del palazzo Filiasi. Alle prime luci del giorno i facchini delle due ditte allineavano i cesti (“collette”) della frutta che per mezzo di, traini giungeva dai comuni vicini, oppure era prelevata allo scalo merci della stazione ferroviaria. Vi convenivano tutti i fruttivendoli della città che a dir del vero non erano numerosi come quelli attuali, i quali per mancanza di mercati rionali, avevano lo spaccio nella propria abitazione. La merce dopo la pesatura era consegnata all’acquirente senza alcun pagamento; il pesatore a voce alta forniva i dati allo “scrivano” che, seduto dietro al tavolo, li riportava su di un voluminoso registro di formato stretto e lungo. Degli incaricati di tale contabilità ne ricordiamo alcuni: Lorenzo Brescia dall’alta esile figura, Pasquale D’Angiò, Giovanni Radogna, Alfonso Bruno.

LA FRUTTA. Terminate non più delle sette ore le operazioni di vendita, la piazza era prontamente sgombrata dai carretti, tavoli, sedie, basculle, cesti vuoti e pieni di merce invenduta per passare nelle mani degli spazzini. Come si è già detto, la frutta era data ai rivenditori sulla parola poiché erano tutte persone conosciute che avevano fiducia delle ditte, però il credito si limitava ad una decina d’ore, dato che nel pomeriggio lo “scrivano” - accompagnato da un garzone che recava un pacchetto di tela in mano col registro sotto il braccio e il “lapis” sotto l’orecchio - cominciava il giro d’esazione. Il giro terminava quasi sempre dopo “l’Ave Maria”, ora in cui, egli, ritornava in magazzino per regolarizzare la posizione contabile dei singoli debitori, contare circa mezzo quintale di monete di rame, da uno o due soldi e fare in relativi rotoli da cinque lire ognuno. 

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di Redazione 


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