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Mons. Ferretti "sorpreso" dall'affetto dei foggiani: "Anche la Chiesa ha il suo ruolo in politica. Il mio impegno sarà per legalità e difesa dei deboli" INTERVISTA

Le priorità del nuovo vescovo: lotta alla mafia e ascolto di tutti

Lotta alla mafia, difesa dei più deboli, dialogo reciproco e cooperazione con le Istituzioni, ognuno nel proprio ruolo. Questi i punti focali del nuovo ministero come guida dell’Arcidiocesi di Foggia-Bovina di mons. Giorgio Ferretti. Raggiunto al telefono per una intervista esclusiva a Foggia Città Aperta, il presule classe 1967, che trascorrerà le feste di Natale in Mozambico, terra dove è stato missionario fino alla scelta di Papa Francesco di consacrarlo arcivescovo, racconta le emozioni che ha provato nel momento in cui il Pontefice lo ha scelto come pastore di Capitanata: “Inizialmente ho provato stupore e paura, poi tristezza”. 'Don' Giorgio, infatti, pensava “di continuare la missione in Mozambico. Poi, però ho avvertito un senso grande di obbedienza e fiducia nel Santo Padre e nella Chiesa. Se Papa Francesco aveva pensato a me dovevo dire sì. E ho detto prontamente sì”.

NUOVA 'TERRA DI MISSIONE'. Direzione Foggia: “Aspetto di incontrare i foggiani e passare un lungo cammino della mia vita con loro e non vedo l’ora di raggiungervi in Puglia”. Già, la Puglia, una terra, come ha ricordato il cardinal Zuppi il giorno dell’ordinazione episcopale di Ferretti, “ricca di storie di santi” che continua ancora oggi con quelli che Papa Bergoglio chiama “i santi della porta accanto”. Eppure i dati rivelano che sono sempre meno le persone che si recano a messa o che partecipano alla vita della Chiesa. Anche l'Italia di oggi, dunque, si può considerare terra di missione? “Tutto il mondo – sottolinea mons. Ferretti – è terra di missione. Ci sono ancora terre di prima evangelizzazione ma in Europa parliamo di 2mila anni di storia del cristianesimo e ogni generazione ha il compito di trasmettere all’altra aiutando così il mondo contemporaneo. E questo è un rapporto che vale a ogni latitudine e per ogni generazione. Il Covid e altre vicende storiche hanno inciso sul cristianesimo, si può quindi parlare dell’Italia come terra di missione”.

L'ORDINAZIONE. In quest’ottica rientra anche la scelta del Laterano, la Cattedrale di Roma, la chiesa che è Caput et Mater di tutte le chiese del mondo: “Ho scelto San Giovanni perché è un luogo significativo. Per tradizione gli arcivescovi sono ordinati a Roma dal Papa che poi dà anche la dispensa per essere ordinati in altri luoghi. Ma al Laterano ci sono parecchio affezionato”. E non solo perché c’è la Cattedra del Papa ma anche perché “è l’inizio della Comunità di Sant’Egidio di cui faccio parte, mi ricorda gli anni trascorsi a Roma, e poi perché è al centro. Possono arrivare tutti, dal nord (molti i fedeli liguri presenti alla cerimonia perché la Liguria è la regione che ha visto i natali del nuovo vescovo di Foggia, ndr) dal sud ma anche dall’Africa vista la presenza dell’aeroporto”. A Foggia, invece, la data d’ingresso è fissata a domenica 14 gennaio: “Lì vivremo invece un momento che sarà tutto nostro. Sono rimasto stupito e contento della grande partecipazione dei foggiani, mi hanno detto che erano quasi quattrocento, c’erano i sacerdoti, il vicario, mons. Pelvi che in queste settimane è stata una presenza molto cara per me”.

LA POLITICA E LE ISTITUZIONI. Durante l’ordinazione ha subito teso una mano alle Istituzioni locali, affermando che sarebbe iniziata “già da oggi” una collaborazione per il bene della città: “Vengo da una tradizione di collaborazione con le Istituzioni molto forte. Sia con Sant’Egidio che in Mozambico. A Maputo, in cattedrale, erano sempre presenti ministri o il presidente, per me è naturale collaborare e dialogare con chi ricopre un ruolo di guida”. E sottolinea: “Ognuno sempre nel suo ruolo. La Chiesa non ha intenzione di amministrare la cosa pubblica sta al suo posto e a Foggia starà al suo posto. Proprio perché è Chiesa, però, può consigliare, incoraggiare, sostenere, pregare. E non dimentichiamo che la comunità ha una rete grande su tutto il territorio, dalle caritas alle parrocchie. Sicuramente possiamo fare molto insieme. Del resto la polis, cioè la politica è fare il bene comune e lo devono fare tutti ogni suo ruolo”.

IL MOTTO. Un arcivescovo non è tale senza uno stemma. Ma per quello di mons. Ferretti bisognerà aspettare ancora un po’: “Per quello ci vuole un po’ di tempo, il dialogo con gli araldisti è lungo. Sono però felice del motto (“C’è più gioia nel dare che nel ricevere”, detto che si trova in bocca a San Paolo nel libro degli Atti degli Apostoli, ndr). In questi anni ho capito che l’egoista che fa solo il suo interesse, anche violento, alla fine è un uomo perdente. Solo mettendosi insieme e cercando il bene si può andare avanti. È nel dare che c’è la felicità per l’uomo che è chiamato a essere fratello e non lupo tra i lupi”. Se si parla di violenza, la città di Foggia spicca sulle pagine dei quotidiani, locali e nazionali. Tra le problematiche più evidenti c'è poi la mafia. Come può la Chiesa oggi lottare la criminalità organizzata? Mons. Ferretti non nega il problema e subito chiarisce: “Sto per arrivare in una terra che non conosco. Il mio obiettivo quindi è venire, capire, ascoltare ed essere consigliato per comprendere al meglio un popolo e una terra a me sconosciuta. Di certo la legalità, la giustizia verso i deboli e i poveri e la difesa di un popolo che soffre sono al primo posto è devono essere al primo posto sempre”. Ma qual è la sfida più grande per un vescovo oggi? Per il nuovo pastore è quella di “tenere insieme tutti, in una grande comunità di fede perché non siamo isole. Se ognuno va da solo nella sua direzione si va verso l’annientamento. È insieme che si costruisce. Oggi credo che un vescovo debba fare questo: tenere tutti uniti, deve essere come un fratello e un padre che non impone, fa il bene e dà per il primo l’esempio”.
 
Fabio Beretta

di Redazione 


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