Giovanni Panunzio e “Il coraggio di dire no”, l'incontro con gli studenti del Giannone-Masi
Il coraggio di dire no, il coraggio di un uomo, il coraggio di Giovanni Panunzio, simbolo nazionale della lotta al racket delle estorsioni, saranno i temi di un convegno-dibattito organizzato dall’istituto Giannone-Masi di Foggia e in programma martedì 24 gennaio nell’aula magna in via Sbano.
GLI OSPITI. All’incontro, moderato dalla docente Barbara Doronzo, parteciperà la dirigente scolastica del Giannone-Masi Roberta Cassano, Dimitri Cavallaro Lioi, presidente dell’associazione “Giovanni Panunzio", la sua vicepresidente Giovanna Belluna, Michele Panunzio, figlio dell’imprenditore assassinato nel 1992 e Michela Magnifico, giornalista di Telefoggia e autrice del libro “6 novembre 1992, il coraggio di un uomo” (ed. La Meridiana, Collana: paceinsieme… alle radici dell’erba).
IL RACCONTO DEGLI STUDENTI. Durante l’incontro, oltre alle proiezioni del docufilm di Michela Magnifico e del video "Aufhebung" di Collettivo Mediant, al monologo dell’attore Stefano Corsi (Teatro della Polvere) gli alunni della 1^ A SIA dell’istituto foggiano si cimenteranno nella lettura del racconto breve "Il coraggio di dire no", che ripercorre le ultime ore di vita di Panunzio. Il protagonista si chiama Giovanni P, ma non si tratta di una dissimulazione, giacché è evidente che la vicenda narrata sia quella accaduta a Panunzio. La narrazione insinua nel lettore il dubbio che non si sia trattato della squallida realtà di un territorio occupato dalla violenza, ma soltanto di un brutto incubo, dal quale la città di Foggia si desta. Nell'intenzione degli autori c’è il desiderio di porgere un omaggio a tutte le vittime di mafia, che hanno voluto opporsi alla violenza e prevaricazione. Questo racconto è stato premiato al concorso “Mi impegno per la legalità”, promosso dalla commissione regionale di studio e di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata in Puglia, insediata presso il Consiglio regionale della Puglia
IL CORAGGIO DI UN UOMO. Una data può segnare una fine, una svolta, un nuovo inizio. La data del 6 novembre del 1992 rappresenta per la città di Foggia tutto questo insieme. La fine è quella della vita di Giovanni Panunzio, l’imprenditore edile che non si era limitato a dire no al pizzo, ma da subito aveva reso pubblico il suo rifiuto rompendo lo schema che vedeva l’imprenditoria del mattone nella Capitanata sotto scacco della mafia. Un sistema solido e perverso, condizione necessaria per costruire a Foggia. La mafia controllava e assicurava. Panunzio sceglie di farsi proteggere dallo Stato. Denuncia. Collabora. Per questo deve morire ammazzato. E muore.
LA MAFIA ESISTE. L’omicidio Panunzio è stato un punto di svolta per polizia e magistratura, la conferma che la mafia foggiana esisteva e che i primi segnali risalivano a un decennio prima. Una mafia che, per scelta, aveva tenuto, fino all’assassinio dell’imprenditore, un profilo basso, tessendo tutta una serie di legami con la parte sana della società civile. La stessa che non si era mai ribellata al potere mafioso, che non aveva mai creato uno spartiacque preciso tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Il salto di scala fatto dalla mafia negli anni, con l’omicidio Panunzio diviene manifesto. Come anche diviene manifesto che qualcosa di sano è possibile nella società civile. Panunzio, imprenditore sano viene ucciso e Mario Nero, cittadino che per caso assiste alla fuga dell’assassino, racconta ciò che ha visto divenendo testimone di giustizia. Per questo il 6 novembre del 1992 è una data che segna un nuovo inizio ancora possibile per Foggia. Grazie alla testimonianza di Mario Nero, il processo viene non solo celebrato ma anche concluso arrivando a condanne definitive. La fine di Giovanni è l’inizio anche di una costante, attiva, continua testimonianza della famiglia e di quanti intorno a lei hanno fatto del no alla mafia di Giovanni la ragione per immaginare una città diversa che parla e non tace, che spezza catene di omertà e disegna legami con la società civile sana. Che anche a Foggia c’è e ha bisogno di riconoscersi e ritrovarsi. Trent’anni dopo, ricordare con un libro Giovanni è non rendere vano il coraggio di un uomo. E ripartire ancora.
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